William Hogarth: Marriage à-la-mode / La toletta della signora

di Sergio Bertolami

In questa scena salta all’occhio la provenienza dei personaggi. Lady Squanderfield, come l’avvocato Silvertongue, fanno parte di una borghesia rampante che tende a scalzare, pur imitandola, una nobiltà che mostra lampanti i segni della decadenza. Mr. Fox Lane e signora si atteggiano ad intenditori del bel canto, ma non si sono ancora scrollati di dosso la loro provenienza paesana. Aleggia nella scena l’aria di un preziosismo francese ormai demodé, perché a Parigi non si pratica più dalla fine del secolo precedente, vale a dire da almeno una cinquantina d’anni. Nondimeno, incontriamo in queste immagini tanti riferimenti francesi. La seconda scena si intitolava Tête à Tête, questa Toilette. È indubbio che Hogarth l’abbia preso in prestito persino il titolo del Ciclo pittorico da Marriage à la Mode, commedia di John Dryden rappresentata per la prima volta a Londra nel 1673. In quest’opera il drammaturgo dà vita al personaggio di una donna pretenziosa di nome Melantha, che intercala nel suo discorso espressioni affettate come “mon cher, voyage, bete, honnête, homme, bien tourné, obligeant, charmant, ravissant”, cioè “mio caro, viaggio, stupido, onesto, uomo, ben tornato, cortese, affascinante, adorabile”. In breve, Melantha preferisce prestiti francesi a parole inglesi assolutamente esistenti. Gli scrittori satirici come Dryden dicevano che queste donne dell’aristocrazia inglese parlavano “à la Mode de Paris“. Al di là di questi prestiti lessicali, Hogarth deride soprattutto l’infatuazione, da parte di una cerchia elegante inglese, per tutto ciò che proviene dal continente. In primo luogo, dalla Francia, come quel dottore ciarlatano che abbiamo incontrato nella scena precedente, ma anche dall’Italia rappresentata da tutta quella profusione di copie dai dipinti rinascimentali o da tutti quei cantanti lirici applauditi nei teatri.

Scena quarta – La toletta della signora

(S.B.) La precedente scena descriveva le conseguenze della vita dissoluta del marito, la quarta scena, che s’intitola The Toilette (il nome appare sulla cornice), riguarda invece la condotta della moglie, attorniata dagli amici fin dal momento del risveglio, la levée, per usare un termine di moda alla francese. Nonostante l’affollamento di estimatori nella stanza, manca la figura del marito, costantemente assente. Solo un particolare lo richiama all’attenzione: il visconte ora ha assunto, finalmente, il titolo nobiliare di conte. Lo possiamo constatare dalla corona comitale che campeggia sulla cornice del baldacchino e sulla specchiera della toletta adorna di un drappo. Questo significa che il conte padre è passato a miglior vita, raggiungendo nell’aldilà i suoi diletti antenati. L’eroina di questa scena è, dunque, la signora che, avendo raggiunto il titolo di contessa, a tutti gli effetti può assaporare il frutto maturo della propria ambizione. La sua stravaganza spensierata fornisce precisa indicazione, da parte di Hogarth, che la rovina si avvicina con rapidità. La contessa è presentata qui subito dopo essersi alzata. Che sia una signora alla moda è percepibile dal suo letto ad alcova, ovvero incassato nel muro, del quale distinguiamo le cortine pendenti dal celino. È una trasformazione che ha apportato alla stanza dopo che il conte è deceduto e lei è divenuta a pieno titolo la padrona del palazzo. Lo testimoniano il grande arco che sormonta il letto, appartenente a un precedente accesso a una camera attigua, e le cornici a stucco delle pareti sulle quali sono stati affissi dei nuovi quadri fuori misura. Ancora una volta vediamo la giovane in deshabillé, mentre un parrucchiere procede a curarne l’acconciatura. Con nonchalance siede con le spalle agli ospiti, del tutto disinteressata a loro, e appoggia un braccio sullo schienale da cui ciondola un corallo da dentizione o un sonaglio per bambini, giacché oltre che contessa è diventata anche madre.

La sua piccola corte è costituita quasi esclusivamente da stranieri, nel mero rispetto della moda del tempo. In primo piano un cantante paffuto, vestito in modo splendido e pomposo, esageratamente ingioiellato. Con apprezzato timbro femminile, esegue qualche romanza nel ruolo di contralto, proprio dei cantanti lirici castrati. È forse Francesco Bernardi, noto col soprannome di Senesino, poiché proveniente da Siena, presente a Londra dal 1735. In alternativa, altri studiosi indicano Giovanni Carestini, in Inghilterra dal 1733. Ambedue, a lungo, hanno interpretato opere del compositore Georg Friedrich Hendel. Accompagna il melodico controtenore il tedesco Weidemann, con il suo flauto traverso. Accanto ai due, nell’atto di sorbire una tazza di cioccolata calda (bevanda anche questa alla moda), con i capelli stranamente arricciati, è il diplomatico prussiano Michel, infatuato della “poesia anacreontica”, genere letterario che caratterizzò il XVIII secolo europeo. Vicino siede un intenditore in estasi: con una faccia sciocca e rapita, tiene una tazza in una mano e nell’altra un ventaglio gli pende dal polso. Alle spalle il panciuto Mr. Fox Lane, vecchio gentiluomo di campagna, amico di famiglia, con aria trasognata (se non addirittura addormentata), agita di tanto in tanto il frustino da caccia che tiene in mano, come farebbe un maestro di musica con la sua bacchetta. Al centro della scena, con un cappello a larghe tese, la moglie di Fox Lane, futura Lady Bingley, sedotta dai gorgheggi del cantante italiano. Invano il domestico nero porge anche a lei una tazza di cioccolata.

La contessa, le cui naturali frivolezze e distrazioni la portano ad interessarsi di ben altro, è invece attratta dall’argomentare del seduttivo avvocato Silvertongue, sdraiato su di un divano. L’avvocato non è certo presente nella stanza da letto della signora appena alzata per ragioni professionali. A riprova (caso mai non l’avessimo ancora capito) spunta sulla poltrona una copia di “Sopha”, racconto licenzioso di Jolyot de Crébillon, pubblicato in inglese nel 1742. Vi sono descritte fantasie e sfrenatezze di una corte indiana, attraverso la quale riconoscere la nobiltà rappresentata da Hogarth. Si svela così l’esistenza di una relazione intima fra i due, intuibile già dalla prima scena. Con fare mellifluo Silvertongue porge alla sua adorata il biglietto d’invito per una festa in costume e indica la mascherata dipinta sul paravento: per l’esattezza, gli abiti burleschi da frate e da monaca dei personaggi. Altri biglietti d’invito a serate danzanti e feste trasgressive sono sparsi per terra, ai piedi degli ospiti. Offrono un’idea del contenuto di queste serate: “Il conte Basset non vuole sapere se Lady Squanderfield abbia dormito la scorsa notte”. “La compagnia di Lord Squanderfield è richiesta da Lady Townly, il prossimo lunedì”. “La compagnia di Lady Squanderfield è desiderata da Miss Hairbrain”. “La compagnia di Lady Squanderfield è ambita di Lady Heathon, domenica prossima”.

Che la “Lingua d’argento” dell’avvocato sia più che apprezzata dalla giovane contessa è evidenziata da un piccolo domestico africano che mostra le corna di un Atteone in porcellana, il mitologico cacciatore trasformato da Diana in cervo, dopo averla sorpresa nuda con le sue ninfe al bagno. Chiaro segno d’infedeltà nei confronti di Lord Squanderfield. Il valletto (dal copricapo orientale) sta osservando una serie di chincaglierie appena acquistate. Fuori della cesta in vimini è, infatti, aperto il “Catalogo dell’intera collezione del defunto Dott. Timothy Babyhouse in vendita all’asta”. Fatto salvo un piatto decorato con “Leda e il cigno” che porta la firma “Julio Romano”, sono tutti oggetti scadenti come vasi, piattini, statuette, del tutto simili a quelli che avevamo osservato sulla mensola del caminetto nel salone della seconda scena. I quadri stessi che ornano le pareti della stanza sono adatti più alla camera da letto di una donna licenziosa che a quella di una dama perbene. Giove, che seduce Io figlia del re di Argo ad imitazione di Correggio. Loth con le sue figlie, che ubriacano il padre in modo da compiere atti incestuosi, copia dell’opera all’epoca attribuita a Caravaggio. Sotto le sembianze di un’aquila osserviamo Zeus che rapisce Ganimede per farne il suo amante, opera che vorrebbe rievocare la pittura di Michelangelo. Al contrario di tutti questi dipinti, quello posto più in alto raffigura un compassato uomo di legge che guarda esterrefatto i decadenti costumi dall’epoca.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato alla National Gallery di Londra