Il patrimonio artistico della Camera dei deputati accessibile a tutti

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Con la pubblicazione sul sito web della Camera dei deputati del portale arte.camera.it, il patrimonio artistico custodito dalla Camera dei deputati diventa accessibile a tutti. Si realizza così un importante avanzamento sul piano della fruizione e della valorizzazione delle opere d’arte presenti all’interno delle sedi della Camera. Si tratta di beni – quali dipinti, sculture, arazzi – di proprietà dell’Istituzione o alla medesima pervenute a titolo di deposito dalle più prestigiose istituzioni museali e artistiche del Paese nel corso del tempo, in particolare a seguito dell’ampliamento realizzato nelle prime decadi del Novecento da Ernesto Basile.

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Fregio della Camera dei deputati, 1912, Palazzo Montecitorio, Roma (Wikipedia e sito Camera dei deputati)

IMMAGINE DI APERTURA – Studente innamorato Mario Mafai (Roma 1902 – Roma 1965)

ENIT e ADSI per rilanciare la rete delle dimore storiche

di Francesca Cicatelli

L’Associazione Dimore Storiche Italiane ed ENIT – Agenzia Nazionale del Turismo hanno siglato un protocollo d’intesa per l’individuazione di strategie finalizzate a coniugare l’attività di promozione turistica svolta dall’ENIT con la vocazione turistica della rete delle dimore del circuito ADSI e del territorio in cui sono collocate. Le attività previste dalla convenzione vanno dalla partecipazione a eventi fieristici di promozione dell’offerta turistica all’elaborazione di itinerari volti a scoprire l’identità storica, culturale e artistica italiana; dallo sviluppo di itinerari enogastronomici alla messa a punto di percorsi per la valorizzazione dei paesaggi intatti. ADSI ed ENIT, inoltre, si impegnano a coordinare le proprie attività di collaborazione con gli organismi centrali statali e gli enti locali (con particolare riguardo alle Regioni).

«ADSI ha in essere un’intensa attività di promozione del territorio attraverso itinerari dedicati alla scoperta del patrimonio immobiliare privato e delle importanti testimonianze artistiche, storiche, di tradizioni, di identità e cultura che esso racchiude», ha dichiarato Giacomo di Thiene, Presidente di ADSI. «Per tali ragioni è importante l’intesa raggiunta con ENIT, che valorizza l’intero circuito ADSI, ubicato su tutto il territorio peninsulare ed in particolare nei borghi: in questo modo, si contribuisce alla diversificazione e all’ampliamento dell’offerta turistica verso destinazioni meno note al grande pubblico. La rete delle dimore dell’ADSI, inoltre, fornisce un accesso specifico al mondo dell’enogastronomia italiana, elemento fondamentale della nostra cultura e tradizione da sempre apprezzato anche all’estero. Un patrimonio la cui diffusione e qualità potrebbe davvero diventare strategico per la ripartenza del Paese se adeguatamente sostenuto”.

«Vogliamo potenziare il patrimonio identitario della rete delle dimore storiche come presidi di memoria e cultura. Un particolare valore aggiunto per investire sul turismo di prossimità e una leva strategica per declinare i nuovi trend dinamici del turismo post emergenza Covid. L’Italia è la prima al mondo per numero di beni culturali e di siti riconosciuti patrimonio dall’Unesco, ben 55. Merito di una tradizione storica e culturale che spinge ogni anno milioni di turisti a visitare le nostre città, rendendoci la destinazione turistica tra le prime al mondo, ha dichiarato il Presidente Enit Giorgio Palmucci.

IMMAGINE DI APERTURA  

Palazzo Blu a Pisa – Giorgio de Chirico e la pittura metafisica

Se a Pisa andate sul Lungarno Gambacorti, nei pressi della chiesa di Santa Cristina, non avrete bisogno di chiedere, perché Palazzo Blu spicca su tutti. La particolare colorazione “celeste color del cielo” dell’esterno del palazzo, risalente al Settecento barocco, è divenuta la caratteristica subito percepibile dall’esterno, dopo i restauri che hanno riproposto la tecnica “a fresco” tipica dell’epoca. Il palazzo è stato abitato dai Conti Giuli fino al 2001, quando la Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa, lo ha acquistato per trasferirvi la propria sede, con la volontà di valorizzarlo, trasformandolo in un centro aperto al pubblico, denominato per l’appunto “BLU – Centro d’Arte e Cultura”. Il progetto di recupero, che si è concluso già da vari anni, nel 2007, ha tenuto conto delle caratteristiche dei corpi di fabbrica che costituiscono il complesso, suddiviso in aree con diverse funzioni. Il corpo principale, che si affaccia su Lungarno, è stato destinato al piano primo alla originaria dimora nobiliare e alla Collezione Simoneschi, al secondo piano all’esposizione permanente delle collezioni d’arte. A queste si aggiungono la sezione dedicata all’archeologia e alla storia medievale (poste nel seminterrato) ed un ulteriore spazio per usi diversi al piano attico.

La parte del complesso edilizio maggiormente degradata, come spesso accade, era quella degli edifici di scarso pregio retrostanti il Palazzo principale. Come dicono le note sul sito web, «Una serie d’interventi ha recuperato numerosi ambienti destinati, assieme alle scuderie, alle esposizioni temporanee e all’auditorium. È stato realizzato anche un suggestivo spazio, una corte interna, coperto da un grande lucernario, e sono stati recuperati lo spazio retrostante del cortile e il prospetto dipinto delle scuderie». Da allora, chi vista Pisa, non solo può ammirare le straordinarie bellezze del “campo dei Miracoli dove spicca la Torre pendente, ma non può fare a meno di percorrere gli spazi espositivi di Palazzo Blu, che in meno di quindici anni ha dato vita a mostre di altissimo livello internazionale. L’arte del Novecento è stata presentata nelle sue poliedriche sfaccettature, dal Futurismo, a Dalì, Chagall, Warhol, Mirò, Kandinski, Picasso, Modigliani, Escher. Nel 2015 è stato, invece, Toulouse Lautrec a raccontare attraverso le sue opere il quartiere bohémien di Montmartre di fine Ottocento.

In questi giorni, nonostante le difficoltà dovute alla pandemia, in tutta sicurezza, la mostra “De Chirico e la Metafisica” racconta l’opera del Pictor Optimus, intraprendendo “un lungo viaggio attraverso immagini e parole, una navigazione fatta di partenze e ritorni lungo l’arco del Novecento”. Ancora di più: per chi si propone di visitare Pisa prossimamente, già da ora ha un ulteriore modo di ammirare i tesori della Mostra Permanente di Palazzo Blu e di ripercorrere spazi e mostre degli anni passati, aperti al pubblico online. Basta andare sul sito web ufficiale: semplicemente stupendo!

VISITA IL SITO WEB di Palazzo Blu

VIRTUAL TOUR DELLA COLLEZIONE PERMANENTE

La facciata del Palazzo Giuli Rosselmini Gualandi

IMMAGINE DI APERTURA Palazzo Giuli Rosselmini Gualandi oggi Palazzo Blu (Fonte Wikipedia)

Joris Karl Huysmans: il sublimato di un’arte diversa

di Sergio Bertolami

5 – À rebours, per diletto dello spirito.

Per comprendere i primi anni del Novecento nell’arte, occorre considerare le oscillazioni fra due secoli. In qualche modo, occorre afferrare i concetti di baricentro e stabilità dell’equilibrio, come quando da bambini destava in noi meraviglia vedere due forchette conficcate in un tappo di sughero che rimaneva fluttuante su di un filo. Per comprendere l’arte che si svilupperà è necessario, perciò, tornare indietro e poi di nuovo avanti e poi ancora indietro, in un continuo processo di feedback. Il Simbolismo, al quale si è accennato, è il terreno in cui infatti affonderanno le radici artisti come Picasso, Duchamp, Ernest, Delvaux e tanti altri ancora. Interessa le arti figurative, così come interessa la letteratura. Per questo motivo, ci attarderemo nella casa di Jean Floressas Des Esseintes. È un personaggio immaginario, nato dalla penna di uno scrittore visionario e stravagante come Joris Karl Huysmans, che all’età di 54 anni deciderà di seguire la regola benedettina e da oblato laico prendere il nome di frère Jean, proprio come il suo famoso personaggio. Aveva presagito bene Jules Amédée Barbey d’Aurevilly dopo aver letto “À rebours“, in Italia conosciuto col titolo di “Controcorrente”: «Dopo un libro come questo, non resta altro all’autore che scegliere tra la canna di una pistola e i piedi della croce». L’opera evidenziava, infatti, il malessere esistenziale, una malattia dell’anima che in modo stravolgente ripetutamente si proporrà nel corso del Novecento.

Joris Karl Huysmans

Des Esseintes, raffinato quanto inquietante aristocratico, conta tra le sue passioni quella per l’arte. Erede di una fortuna familiare, decide d’immergersi nel silenzioso riposo di Fontenay, impegnato ad arredare la sua nuova casa in modo fastosamente stravagante, desideroso di sottrarsi a un’odiosa epoca d’ignobile volgarità. Troveremo in queste pagine ricerche estetizzanti: ambienti, mobilio, colori, abbinamenti, rispondono ai contrasti avvertiti nello spirito e nella mente. «Dopo essersi disinteressato dell’esistenza contemporanea, si era risolto a non introdurre nella sua cella larve di ripugnanze o di rimpianti; aveva quindi voluto una pittura penetrante, raffinata, che fosse immersa in un antico sogno, in un’antica corruzione, distante dai nostri costumi, distante dai nostri giorni». Des Esseintes ricerca soluzioni legate più alle idee che alla realtà oggettiva. Nella sua collezione pittorica annovera quadri che non hanno affatto lo scopo di adornare la sua solitudine. Al contrario: «aveva voluto, per il diletto dello spirito e la gioia degli occhi, alcune opere suggestive che lo gettassero in un mondo sconosciuto, gli svelassero le tracce di nuove congetture, gli scuotessero il sistema nervoso con eruditi isterismi, con complicati incubi, con visioni languide e atroci». È nel simbolismo di Gustave Moreau e di Odilon Redon che trova il rapimento di lunghe estasi. Acquista i loro capolavori.

La Salomé di Gustave Moreau nella visione di Des Esseintes

Per notti intere sogna davanti a Salomé che chiede ad Erode la testa di Giovanni Battista. «Nell’opera di Gustave Moreau, concepita al di fuori di tutti i dati del Testamento, Des Esseintes vedeva realizzata la Salomè sovrumana e insolita che aveva vagheggiato. Non era più soltanto la ballerina che strappa a un vecchio, con una torsione indecente delle reni, un grido di desiderio e di foia; che sfinisce l’energia, fiacca la volontà di un re, ondeggiando i seni, scuotendo il ventre, facendo vibrare le cosce; diventava, in un certo qual modo, la divinità simbolica dell’indistruttibile Lussuria, la dea dell’immortale Isteria, la Bellezza maledetta, eletta fra tutte dalle catalessi che le irrigidiva le carni e induriva i muscoli; la Bestia mostruosa, indifferente, irresponsabile, insensibile, che avvelena, come Elena di Troia, chiunque le si avvicini, chiunque la veda, chiunque ne venga toccato». Salomé, dunque, come una divinità simbolica è raffigurata fuori dal tempo, in uno straordinario palazzo dallo stile fantastico e maestoso, con abiti sfarzosi e chimerici. Cosa rappresentavano i simboli di foggia orientale che indossava? «Annunciava al vecchio Erode un dono di verginità, uno scambio di sangue, una piaga impura sollecitata, offerta all’espressa condizione di un omicidio? O rappresentava l’allegoria della fecondità, il mito indù della vita, un’esistenza tenuta fra dita di una donna, strappata, sciupata da frementi mani d’uomo colto da demenza, travagliato da una crisi della carne?». Non i vangeli di Matteo, né di Marco, né di Luca, si dilungavano sulle grazie deliranti e sulle attive perversioni della carnale danzatrice. Al contrario, era il pennello di Moreau a lasciarle intendere, a sollecitarle.

Odilon Redon, L’occhio, come un pallone bizzarro, si dirige verso l’infinito, litografia

Una serie di opere di Redon decorava, invece, le boiserie del vestibolo. Paesaggi secchi e aridi, pianure calcinate, nubi in rivolta, cieli lividi e stagnanti, soggetti sovrastanti come incubi. Questi disegni inauguravano un genere fantastico del tutto particolare, un fantastico fatto di malattia e di delirio, di miraggi allucinatori, terribili. «E, infatti, certi volti, divorati da occhi immensi, da occhi folli; certi corpi cresciuti oltremisura o deformati come attraverso una caraffa, evocavano nella memoria di Des Esseintes ricordi di febbre tifoidea, ricordi tuttavia rimasti nelle notti ardenti, delle orribili visioni della sua infanzia». La stessa febbre tifoidea che si porterà via Aurier, padre del Simbolismo pittorico.

L’idea di Des Esseintes non si ferma ai contemporanei. Per la sua camera da letto sceglie infatti un’opera di Theotokopulos, meglio conosciuto come El Greco. Una pittura sinistra, dai toni del lucido da scarpe e del verde cadavere, che ben si addice all’arredamento immaginato per la sua camera da letto. Solo due erano per lui le soluzioni: o farne uno eccitante alcova, come quella che un tempo aveva a Parigi, un luogo di depravazione notturna all’assalto di vergini dal finto candore; oppure allestire una sorta di cella monastica, un luogo di solitudine e raccoglimento. Combattuto con la sua nevrosi, Des Esseintes scioglie il nodo esistenziale: «A forza di girare rigirare la questione sotto tutti i suoi aspetti, concluse che lo scopo da raggiungere poteva riassumersi in questo: allestire con oggetti gioiosi una cosa triste, o piuttosto, pur conservandole il carattere di bruttezza, imprimere all’insieme della stanza, così trattata, una sorta di eleganza e di distinzione; ribaltare l’ottica del teatro dove miseri ornamenti fanno la parte di tessuti di lusso e costosi; ottenere l’effetto totalmente opposto, servendosi di stoffe magnifiche per dare l’impressione di cenci; in una parola, disporre una cella di certosino che avesse l’aria di essere vera e che, beninteso, non lo fosse». Lascio al lettore il piacere di scoprire nel libro colori e materiali utilizzati, mobili e accessori, per condurre questa esistenza da eremita, grazie alla quale godere dei vantaggi della clausura, senza però soffrirne gli inconvenienti: l’austerità, la disciplina militaresca, il sudiciume, la promiscuità, l’inoperosa monotonia.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Dino Finetti, Feroce Saladino – Mai dire mail – 1 (HALF-Book)

MAI DIRE M@IL, eccentrico “Racconto letterario”, come argutamente recita il sottotitolo, poiché la conversazione fra i due protagonisti avviene attraverso “lettere” virtuali – corrispondenza  di amorosi sensi –, essendo la trascrizione integrale di uno scambio di mail fra l’Autore e una sua “amica di penna” (o meglio: “di tastiera”) conosciuta in una community di Internet.
Si tratta, formalmente, di un epistolario, ma sarebbe più corretto definirlo un pamphlet, un dialogo improvvisato, una recita a soggetto fra un uomo e una donna sulla tematica dell’Amore e del Sesso, dove però si trova ben altro che l’ennesima stucchevole apologia delle emozioni sentimentali/erotiche: è un Simposio post-moderno in cui si denuncia l’inafferrabilità, l’assenza, la crudeltà, la disperazione del sentimento amoroso. Il carteggio privato che qui si dà in pasto alle più morbose curiosità, si rivolge a un vasto pubblico di onnivori ed eterogenei lettori, ai voyeur della parola scritta di genere erotico, alle smaniose ricercatrici di emozioni, agli incontinenti sentimentali, ai bulimici divoratori di passioni altrui, agli intossicati del sesso virtuale, alle sensibili creature perdute nei loro sogni d’amore: qui troveranno pane per i loro denti, avranno di che banchettare e sfamarsi.

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IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Gerd Altmann da Pixabay 

E. Palazzotto – Il progetto del restauro del Moderno

Con questo testo, frutto delle attività svolte nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica presso la facoltà di Architettura dell’Università di Palermo, è possibile affrontare il tema del restauro del moderno. Cesare Ajroldi, nell’introdurre il Quaderno dedicato al compianto prof. arch. Pasquale Culotta, spiega: «Diviene esplicito come lo studio di questi edifici non possa prescindere da una analisi delle fasi di formazione del progetto, e d’altra parte debba porsi la questione della possibile variazione d’uso, che quasi sempre (o sempre) è connessa con il tema di un rapporto con la contemporaneità di edifici che in genere hanno almeno 50 anni di vita. Si tratta pertanto di confrontarsi con un sistema costruttivo moderno, fatto per lo più di strutture intelaiate, e quindi in continuità con gli attuali modi di costruzione: anche se quasi sempre si pone comunque il problema delle tecniche, divenute obsolete, e/o dei materiali, per lo più fuori commercio. Si tratta di scegliere un uso, nel caso di variazioni, che sia compatibile con la qualità degli spazi esistenti. Si tratta di mantenere, fatte proprie queste premesse, il carattere dell’edificio da restaurare, pur apportando le necessarie modifiche. Si tratta, infine, così come per ogni tipo di restauro, di elaborare un progetto, sia pure di carattere particolare, in grado di mettere in luce le qualità migliori dell’edificio sul quale si interviene, attraverso un progetto che abbia tutti i caratteri della contemporaneità. In questo senso, non c’è una sostanziale differenza tra restauro e progetto, in quanto ogni progetto si trova davanti a vincoli di varia natura, su cui bisogna scegliere».

CONTINUA A LEGGERE SU ACADEMIA.EDU (OPPURE SCARICA IL QUADERNO): E. Palazzotto (a cura di), Il progetto del restauro del Moderno

IMMAGINE DI APERTURA – Copertina del Quaderno   

I viaggi del futuro? Così li raccontavano a fine Ottocento

Siete curiosi di sapere come se la immaginavano la vita quotidiana a fine Ottocento? Ad esempio, come sarebbe stato viaggiare? Magari alla pazzesca velocità di 150 chilometri orari? Leggiamo una parte del primo capitolo di un libro nato dalla fantasia di Paolo Mantegazza, scrittore, ma anche medico fisiologo e igienista. È uno dei precursori della fantascienza italiana, che nel 1897 descrisse una utopica società del futuro. Il suo viaggio immaginario avviene nell’anno 3000. Ogni problema è stato risolto da una tecnologia meccanica che ha fatto superare anche le vecchie ideologie. Nel suo romanzo ci si imbatte nei temi che nel corso del Novecento diventeranno nodi da sciogliere, come pacifismo, internazionalismo, eugenetica, controllo demografico, libertà sessuale per entrambi i sessi, sperimentazione farmacologica umana e animale. Se vi interessa potete andare a leggerlo per intero.

Paolo e Maria partono per l’Andropoli

«Paolo e Maria lasciarono Roma, capitale degli Stati Uniti d’Europa, montando nel più grande dei loro aerotachi, quello destinato ai lunghi viaggi.

È una navicella mossa dall’elettricità. Due comode poltrone stanno nel mezzo e con uno scattar di molla si convertono in comodissimi letti. Davanti ad esse una bussola, un tavolino e un quadrante colle tre parole: moto, calore, luce.

Toccando un tasto l’aerotaco si mette in moto e si gradua la velocità, che può giungere a 150 chilometri all’ora. Toccando un altro tasto si riscalda l’ambiente alla temperatura che si desidera, e premendo un terzo si illumina la navicella. Un semplice commutatore trasforma l’elettricità in calore, in luce, in movimento; come vi piace.

Nelle pareti dell’aerotaco eran condensate tante provviste, che bastavano per dieci giorni. Succhi condensati di albuminoidi e di idruri di carbonio, che rappresentano chilogrammi di carne e di verdura; eteri coobatissimi, che rifanno i profumi di tutti i fiori più odorosi, di tutte le frutta più squisite. Una piccola cantina conteneva una lauta provvista di tre elisiri, che eccitano i centri cerebrali, che presiedono alle massime forze della vita; il pensiero, il movimento e l’amore.

Nessun bisogno nell’aerotaco di macchinisti o di servi, perchè ognuno impara fin dalle prime scuole a maneggiarlo, a innalzare o ad abbassare secondo il bisogno e a dirigerlo dove volete andare. In un quadrante si leggono i chilometri percorsi, la temperatura dell’ambiente e la direzione dei venti.

Paolo e Maria avevano portato seco pochi libri e fra questi L’anno 3000, scritto da un medico, che dieci secoli prima con bizzarra fantasia aveva tentato di indovinare come sarebbe il mondo umano dieci secoli dopo.

Paolo aveva detto a Maria:

— Nel nostro lungo viaggio ti farò passar la noia, traducendoti dall’italiano le strane fantasie di questo antichissimo scrittore. Son curioso davvero fin dove questo profeta abbia indovinato il futuro. Ne leggeremo certamente delle belle e ne rideremo di cuore.

È bene a sapersi che nell’anno 3000 da più di cinque secoli non si parla nel mondo che la lingua cosmica. Tutte le lingue europee son morte e per non parlare che dell’Italia, in ordine di tempo l’osco, l’etrusco, il celtico, il latino e per ultimo l’italiano.

Il viaggio, che stanno per intraprendere Paolo e Maria, è lunghissimo. Partiti da Roma vogliono recarsi ad Andropoli, capitale degli Stati Uniti Planetarii, dove vogliono celebrare il loro matrimonio fecondo, essendo già uniti da cinque anni col matrimonio d’amore. Essi devono presentarsi al Senato biologico di Andropoli, perché sia giudicato da quel supremo Consesso delle scienze, se abbiano o no il diritto di trasmettere la vita ad altri uomini.

Prima però di attraversare l’Europa e l’Asia per recarsi alla capitale del mondo, posta ai piedi dell’Imalaia, dove un tempo era Darjeeling, Paolo voleva che la sua fidanzata vedesse la grande Necropoli di Spezia, dove gli Italiani dell’anno 3000 hanno come in un Museo raccolte tutte le memorie del passato.

Maria fino allora aveva viaggiato pochissimo. Non conosceva che Roma e Napoli e il pensiero dell’ignoto la inebriava. Non aveva che vent’anni, avendo data la mano d’amore a Paolo da cinque anni.

Il volo da Roma a Spezia fu di poche ore e senza accidenti. Vi giunsero verso sera, e dopo una breve sosta in uno dei migliori alberghi della città, cavarono fuori dall’aerotaco una specie di mantello di caucciù, che si chiama idrotaco e che gonfiato da uno stantuffo in pochi momenti si converte in un barchetto comodo e sicuro. Anche qui nessun bisogno di barcaiuolo e di servi. Una macchinetta elettrica, non più grande di un orologio da caminetto, muove l’idrotaco sulle onde, colla velocità che si desidera».

LEGGI L’ORIGINALE SU WIKISOURCE: Paolo Mantegazza – L’anno 3000 (1897)

IMMAGINE DI APERTURA di Karen Nadine da Pixabay 

Keith Haring – Andy Mouse, 1986

Andy Mouse è la fusione tra il Topolino della Disney, un personaggio preferito di Haring dalla sua infanzia, e Andy Warhol, amico intimo di Haring e uno dei principali artisti della Pop Art. Ogni opera fa parte di una serie di quattro serigrafie su carta , tutte firmate sia da Keith Haring che da Andy Warhol. Le immagini di Andy Mouse in stile cartone animato e le banconote da un dollaro rappresentano l’ironia che si trova in una società capitalista guidata dal denaro. Le firme di entrambi gli artisti segnano un ponte tra due generazioni diverse.

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Triennale di Milano – Enzo Mari a cura di Hans Ulrich Obrist

Dal 2 febbraio, la Triennale Milano ha riaperto al pubblico: puoi visitare il Museo del Design Italiano e la retrospettiva su
Enzo Mari a cura di Hans Ulrich Obrist con Francesca Giacomelli.

La retrospettiva che Triennale Milano dedica ad Enzo Mari rappresenta un’occasione unica per conoscere il pensiero e il lavoro di uno dei principali progettisti, artisti, critici e teorici italiani.

VISITA IL SITO DELLA TRIENNALE DI MILANO
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Lo sguardo personale di Stefano Boeri sull’opera di Enzo Mari

In questo video il Presidente di Triennale Stefano Boeri offre uno sguardo personale sulla mostra ma soprattutto sull’opera di Mari, soffermandosi su alcuni dei lavori esposti, dal gioco per bambini 16 animali al vassoio Putrella, dal progetto di allestimento Vodun, African Voodoo all’Autoprogettazione.

IMMAGINE DI APERTURA – Copertina del catalogo edito da Electa.

Luciano Canfora: Che cos’è la democrazia?

Il dizionario Treccani definisce il termine “democrazia” [dal greco δημοκρατία, composto di δῆμος «popolo» e -κρατία «-crazia»], come la “Forma di governo in cui il potere risiede nel popolo, che esercita la sua sovranità attraverso istituti politici diversi”. Questa sovranità popolare dovrebbe garantire a ciascun cittadino la partecipazione, in piena uguaglianza, all’esercizio del potere pubblico. Se rimaniamo legati al significato letterale, la democrazia ha come referente la Polis (la città-comunità), tuttavia con l’evolversi dei tempi l’attuale democrazia moderna è oggi organizzata in Stato territoriale, molto più esteso e rivolto a vastissime collettività multietniche. Rispetto alla democrazia antica, che si configurava essenzialmente come “democrazia diretta”, quella moderna si connota pertanto come una “democrazia rappresentativa”. Qui le cose cominciano ad articolarsi in modo più complesso. Per questo motivo vorremmo ascoltare e riflettere. Approfittiamo di questo interessante video di Davide Maria Marucci, per sentire cosa ne pensa un prestigioso storico e filologo classico come Luciano Canfora, intervistato da Roberto Pierri e Paolo Granata, ideatori di Maestri & Compagni.

IMMAGINE DI APERTURA di Gerd Altmann da Pixabay