Un omaggio dell’Associazione Storia della Città – Roma

Dalla NOTA INTRODUTTIVA di Marco Cadinu: “A Cortona nel 1325 lo statuto cittadino normava le attività durante le ore serali e notturne, secondo segnali emessi dalla “campana del popolo” in tre momenti:
«[…] ai secondi le guardie s’avviavano ai castelli, ed i tavernieri chiudevano i loro locali; ai terzi rintocchi, detti del coprifuoco, in tutte le case doveva essere spento il fuoco, e coperto col testo, specie di catino dagli orli bassi, o di gran coperchio in terracotta. La mancanza del testo nelle case veniva multata con 20 denari (IV, 81). Dopo il coprifuoco incorreva nella multa di 20 soldi chiunque passeggiasse nelle strade urbane. Nei sobborghi e nelle vicinanze, e di 10 soldi le donne non rientrate in casa, essendo loro vietato di trattenersi a scaldarsi o filare fuori della propria abitazione. […] Nei soli casi d’estrema necessità i preti, i medici, gli speziali, i notari, le levatrici, i manescalchi, gli abbigliatori di cadaveri, ed i banditori dei morti circolassero di notte col lume acceso […] (III, 75)»1.
Noi, dopo settecento anni, non ricompresi in nessuna di queste ultime categorie, e come cultori di biblioteche, archivi, aule universitarie, musei e circoli culturali, quindi indefessi viaggiatori attraverso paesaggi e centri storici, siamo stati sfavoriti sia dalla pandemia sia dalle disposizioni ministeriali, tese a limitare al massimo proprio attività di questo genere. È stato, anche per noi, l’anno delle riunioni telematiche, in cui ci siamo ritrovati con immutato piacere.

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IL TESORO DELLE CITTÀ – Strenna 2020

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine tratta della copertina del volume

Rovigo – Vedere la musica. L’arte dal Simbolismo alle avanguardie

01 Aprile 2021 – 04 Luglio 2021 – Rovigo, Palazzo Roverella
VEDERE LA MUSICA. L’arte dal Simbolismo alle avanguardie
Mostra a cura di Paolo Bolpagni

Avviso. La situazione sanitaria è in continua evoluzione. Consigliamo di verificare le informazioni su giorni, orari e modalità di visita sul sito web della Mostra.

Aubrey Beardsley, Isolde, illustrazione sulla rivista “Pan”, v.5, Berlino 1899-1900, libro a stampa

Il tema dei rapporti tra la musica e le arti visive nell’età contemporanea ha conosciuto negli ultimi decenni una rinnovata fortuna critica, ma non è stato oggetto di mostre importanti, in grado di presentare l’argomento nei suoi aspetti fondamentali. È giunto perciò il momento di dedicare un’esposizione di vasto respiro alle molteplici relazioni tra queste due sfere espressive, dalla stagione simbolista fino agli anni Trenta del Novecento. A colmare questa lacuna è la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con l’Accademia dei Concordi e il Comune di Rovigo, con una grande mostra in programma a Palazzo Roverella dal primo aprile al 4 luglio, affidata alla curatela di Paolo Bolpagni.

Bolpagni ricorda come, “alla fine del XIX secolo, si assista all’affermarsi in tutta Europa di un filone artistico che si ispira alle opere e alle teorie estetiche di un compositore carismatico e affascinante come Richard Wagner: i miti nibelungici, la leggenda di Tristano e Isotta, l’epopea del Graal, il tutto spesso condito di implicazioni esoteriche.
A partire dal primo decennio del Novecento, però, la riscoperta di Johann Sebastian Bach e il fascino esercitato dalla purezza dei suoi contrappunti vengono a sostituirsi al modello wagneriano, non solamente in campo musicale. Infatti, il cammino in direzione dell’astrattismo troverà riscontro nell’aspirazione della pittura a raggiungere l’immaterialità delle fughe di Bach, alluse nei titoli delle opere di Vasilij Kandinskij, Paul Klee, František Kupka, Félix Del Marle, Augusto Giacometti e molti altri”.

Del resto, se è vero che il wagnerismo non esaurisce la questione per quanto concerne l’età simbolista, qualche anno prima dell’esplosione degli “ismi” la Secessione viennese conobbe un momento fondamentale nella mostra del 1902 dedicata a Ludwig van Beethoven, che aveva come fulcro il famoso Fregio di Gustav Klimt ispirato all’Inno alla gioia della Nona sinfonia.

Poco dopo sarebbero arrivate le avanguardie. Nel Cubismo emerge l’orientamento dei pittori a prediligere come soggetti gli strumenti musicali. Nel Futurismo ha una grande importanza la componente sonora: Luigi Russolo, oltre che artista visivo, fu compositore e inventò gli “intonarumori”. È con Vasilij Kandinskij e con Paul Klee, però, che la musica diventa davvero centrale, facendosi paradigma di una pittura che vuole liberarsi definitivamente dal concetto di rappresentazione. Negli anni del Bauhaus, peraltro, entrambi, allora colleghi di insegnamento, sperimentarono la traduzione grafica di ritmi e melodie in linee, punti e cerchi. Anche nel Neoplasticismo troviamo una presenza importante della musica, in particolare come richiamo, in opere di Piet Mondrian e Theo van Doesburg, ai ritmi della danza moderna.

La stagione delle avanguardie storiche è chiusa dal Dadaismo e dal Surrealismo, dove la componente sonora si manifesta in vari modi: con Kurt Schwitters nella Ursonate, con Francis Picabia nel celebre capolavoro La musica è come la pittura, mentre Salvador Dalí ci offrirà esempio di riferimento al pianoforte in funzione di un automatismo psichico esercitato in assenza del controllo della ragione, per svelare l’autentico funzionamento del pensiero.
Ad essere evidenziata da “Vedere la Musica. L’arte dal Simbolismo alle avanguardie.” è la lunga storia di relazioni, intrecci e corrispondenze. Evidenziando le infinite, originali sfaccettature delle interazioni tra l’elemento musicale e le arti visive. Proponendo esempi emblematici di entrambe le arti, creando così una mostra-spettacolo di assoluto fascino.

IMMAGINE DI APERTURA – Koloman Moser, Il viandante (Wotan), 1918, olio su tela, Vienna, Wien Museum.

L’Associazione degli artisti visivi della Secessione di Monaco – 1892

di Sergio Bertolami

11 – Le Secessioni di Monaco e Dresda.

Come è vero che il 1892 in Germania è segnato dal cosiddetto “Caso Munch”, che porterà sei anni dopo a un movimento berlinese orientato al rinnovamento del gusto estetico, così è altrettanto vero che la prima secessione ebbe luogo a Monaco nel medesimo anno. Dall’inizio del secolo, Monaco era diventata una delle principali metropoli d’arte in Germania e nel mondo. Questo grazie alla edificazione della Glyptothek, con la sua collezione di sculture antiche, e all’attrazione dei suoi più importanti musei, l’Alte Pinakothek e la Neue Pinakothek. Nell’Accademia di Belle Arti, ricoprivano cattedre prestigiose professori come Karl Theodor Piloty, Wilhelm Lindenschmit e Wilhelm Diez, e questo rappresentava un grande richiamo non solo per gli artisti tedeschi, ma anche per numerosi giovani stranieri. Sei imponenti Saloni per esposizioni erano stati predisposti, tra il 1858 e il 1888, nella sede del Glaspalast, di cui ben quattro a carattere internazionale. Questo spettacolare Palazzo di vetro era stato eretto nel 1854 da Massimiliano II re di Baviera sul modello del Crystal Palace di Londra. Dal 1889 il palazzo fu destinato quasi esclusivamente alle mostre d’arte, anche a fini commerciali, costituendo così un importante centro della vita sociale, artistica e culturale della città. In altre parole, Monaco splendeva. La definizione è di Thomas Mann in Gladius Dei, novella ambientata in una luminosa giornata di giugno a Monaco di Baviera: «Il cielo è di seta azzurra, l’arte è in fiore, l’arte ha il controllo, l’arte stende sulla città il suo scettro cinto di rose e sorride».

Planimetria del Palazzo di vetro (Glaspalast) per le Esposizioni ufficiali di Monaco

Nonostante tutto questo, il panorama artistico era dominato dalla cultura conservatrice della Munich Artists’ Cooperative (MKG) e dei suoi patrocinatori nel governo bavarese. La situazione divenne problematica quando nel 1891 il principe reggente Luitpold di Baviera istituì la Fondazione Prinzregent-Luitpold per la promozione dell’arte, delle arti applicate e dei mestieri, indirizzata all’impulso della pittura storica tradizionale sotto l’egida ufficiale. Se da una parte la Fondazione portava a un maggiore livello qualitativo i lavori dell’Accademia di Belle Arti, dall’altra creava contrarietà la rigida posizione contro le tendenze che avevano come riferimento l’Impressionismo e le sue evoluzioni artistiche. Tale politica conformista, considerata da molti ormai arretrata, determinò una serie di polemiche interne all’associazione degli artisti, alle quali si aggiunse un ulteriore fattore destabilizzante: il completo fallimento finanziario della mostra annuale del 1888 al Glaspalast. L’aspro dibattito che ne scaturì, su responsabilità e contenuti, attrasse persino l’attenzione del Ministero per la Scienza e l’Arte. In opposizione alle concezioni conservatrici dell’associazione ufficiale, 96 membri annunciarono, pertanto, di dissociarsi per fondare, il 4 aprile 1892, la Verein bildender Künstler Münchens A.V. associazione indipendente di “artisti visivi”. Non era un caso del tutto nuovo. In Renania, nel corso dell’anno precedente, era stata costituita la Libera Associazione degli artisti di Düsseldorf, formata da una cinquantina di componenti alla ricerca di un proprio spazio espositivo: durò poco meno di una decina d’anni. In Baviera, al contrario, grazie all’efficiente organizzazione monacense l’evento suscitò una vera e propria rivoluzione.

Catalogo della Esposizione di Monaco del 1893
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A testimoniarlo fu il fatto che dopo appena qualche mese si pensò bene di modificare il nome in Verein bildender Künstler Münchens A.V. Secession. L’aggiunta del termine Secessione, in verità, rese ancora più evidente che la decisione separatista era irreversibile. La denominazione completa comparve l’anno successivo quale intestazione del catalogo della prima mostra ufficiale e presto il movimento divenne popolare sotto la forma abbreviata di Munich Secession ossia Secessione di Monaco. La nuova associazione operò da subito come una cooperativa, costituita per garantire gli interessi economici e gli obiettivi artistici dei propri componenti. Non potendo più contare sugli aiuti del governo, per allargare il raggio d’influenza si interessò a promuovere contatti sociali, che fin dall’inizio riscossero grande favore fra gli investitori, galvanizzati dalle idee audaci e innovative, così come ottennero l’appoggio dei galleristi. Sulle pagine dei principali quotidiani le recensioni furono subito favorevoli. D’altra parte, i nomi dei partecipanti non mancavano di richiamare l’attenzione. I principali portavoce di questo nuovo movimento d’avanguardia furono l’editore Georg Hirth e lo scrittore Fritz von Ostini. Quando nel 1896 Hirth fondò la rivista d’arte e letteratura Jugend, Ostini ne divenne il capo redattore. Tra i membri più attivi del movimento spiccarono il critico d’arte e collezionista Wilhelm Uhde e il pittore Franz von Stuck, ai quali si unirono artisti come Bruno Piglhein, Lovis Corinth, Peter Hahn, Hugo von Habermann, Peter Behrens, Adolph Hölzl, Max Liebermann, Hans Olde, Leo Samberger, Tony Stadler.

Ingresso al Palazzo delle Esposizioni

In breve, la Secessione di Monaco si oppose al provincialismo e alle opere d’arte concepite per compiacere le masse. Aveva lo scopo di allestire mostre più piccole, ma di qualità superiore, con un ampio spazio riservato agli artisti stranieri. Il primo grande evento internazionale fu la partecipazione l’anno successivo, il 1893, alla Fiera Mondiale di Chicago, la World’s Columbian Exposition, in occasione delle celebrazioni per i 400° anni di Cristoforo Colombo, scopritore del Nuovo Mondo nel 1492. Sin dall’inizio, tuttavia, si comprese che l’indipendenza dalla cultura ufficiale comportava una serie di complicazioni. Ad esempio, era difficile trovare un edificio adatto ad ospitare mostre, non avendo più disponibili le ampie sale del Glaspalast. Al contrario, molte città erano propense a concedere i propri spazi espositivi e persino un appropriato sostegno finanziario. Fra queste Francoforte, pronta a versare 500.000 marchi d’oro se la nuova associazione avesse deciso di trasferirvisi. Nel 1893 si preferì, invece, allestire una mostra nella galleria d’arte della Stazione Lehrter a Berlino. La stampa commentò: «Qui puoi vedere l’arte fresca, vitale e moderna…Si può sperare che la situazione artistica di Berlino subisca un miglioramento radicale… I secessionisti di Monaco sono una grande risorsa per Berlino». Con il sostegno finanziario dell’editore Hirth e di altri apprezzabili imprenditori come sponsor, la prima mostra d’arte internazionale della Secessione vide luce il 16 luglio 1893 a Monaco di Baviera: 297 artisti esposero più di 876 opere.

Planimetria dell’esposizione di Monaco del 1893

L’eccezionalità fu che la manifestazione inaugurava anche l’edificio appositamente costruito su Prinzregentenstrasse e all’angolo con Pilotystrasse. La risposta del pubblico fu ottimale. Raccontano le cronache che la prima domenica l’affluenza fu di oltre 4000 visitatori. Il gradimento confermava la qualità dell’esposizione e le giuste ragioni degli organizzatori, che avevano raccolto opere di artisti di varie correnti e di varie nazionalità. La manifestazione fu così indicativa che nel 1898 Pablo Picasso esaltò con entusiasmo questa diversità della mostra di Monaco e si rammaricò, al contrario, della disputa tra i parigini sulla varietà degli stili non conformi alla visione unica dell’accademia.

Manifesto di Franz von Stuck per la Settima Esposizione Internazionale d’Arte a Monaco di Baviera, 1897

Il termine Secession fu ripreso ben presto anche da parte di altri gruppi progressisti, fuori dalla città di Monaco. Secession divenne rapidamente sinonimo di affrancazione dell’arte, a tutti gli effetti, attraverso una rivoluzione culturale che contemplava non solo pittura, scultura, architettura, ma in uguale misura arti applicate, musica e letteratura. In brevissimo tempo seguì una nuova separazione, la Secessione di Dresda. All’opposto di quella di Monaco non fu, però, una decisione irreversibile. Il gruppo di artisti della Dresdner Secession fu costituito nel 1893 da alcuni membri della colonia di Goppeln, uno stuolo di pittori che si erano dedicati alla pittura all’aperto. A influenzarli fu Carl Bantzer, che ne assunse la guida. Anche questi secessionisti erano concordi in critiche negative nei confronti dell’accademismo. Il loro orientamento era chiaramente rivolto verso la pittura en plein air praticata dagli impressionisti francesi. Non durò più di tre anni. Quando Bantzer nel 1896 assunse una cattedra all’Accademia (Hochschule für Bildende Künste) di Dresda, la Secessione perse il suo spirito critico e si sciolse. Gotthardt Kuehl, che ne aveva fatto parte, nel 1905 – esattamente vent’anni dopo il suo incarico d’insegnamento – tentò di nuovo l’esperienza, fondando il circolo Die Elbier (L’Elba), insieme ad un nutrito gruppo di studenti del corso di pittura di genere all’Accademia d’arte di Dresda. In quanto pioniere dell’impressionismo in Germania, arrivò tuttavia in ritardo. Nel 1905 proprio a Dresda nascerà Die Brücke (Il Ponte) e con questo gruppo di artisti dell’avanguardia tedesca da quel momento in poi si parlerà ormai di Espressionismo tedesco.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Andrea Ghirardini – Diario di un computer forenser

 

Direttamente da una directory cifrata di Andrea Ghirardini, autore del primo manuale italiano sulla Computer Forensics (pubblicato a maggio 2007), un simpatico e avvincente mini-racconto per entrare nel mondo dei professionisti delle investigazioni informatiche. Andrea Ghirardini è uno dei precursori della Computer Forensics in Italia. Certificato CISSP e socio CLUSIT, presta la sua opera di consulenza sia a Forze dell’Ordine, sia a organizzazioni private, e sino a oggi ha partecipato a oltre 300 indagini che spaziano dalla violazione informatica in senso stretto, a reati come lo spaccio di stupefacenti, la criminalità eversiva e le frodi fiscali.

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IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Gerd Altmann da Pixabay 

Massimiliano Savorra – Storiografia del design come “opera aperta”

Autunno 1963-Inverno 1964: dall’analisi di questo arco di tempo dovrebbe partire una riflessione sulla genesi di una rinnovata storiografia del design. Durante l’allestimento della XIII Triennale di Milano, dedicata al tema del Tempo Libero, è nata l’esigenza di affrontare sistematicamente lo studio del Design, identificandolo – come scrive Vittorio Gregotti – in una metodologia progettuale unitaria, non solo in ambito esclusivo delle arti decorative e industriali. Ma soprattutto si sentiva l’esigenza di “aggredire i problemi” della giovane disciplina del Design, lontano da un “assestamento definitivo” come afferma Gregotti, che fu tra i protagonisti, con Umberto Eco, dello spettacolare estate 1964. Nasce così in questo periodo l’idea di un numero monografico della rivista “Edilizia Moderna”, esclusivamente dedicato alle tematiche del Design. In questo periodo si cerca di costruire una “alternativa” alla narrazione storica del prodotto industriale. Questo articolo esplora l’influenza dello “sperimentalismo” del Gruppo 63 nella costruzione storiografica del Design.

CONTINUA A LEGGERE SU ACADEMIA.EDU (OPPURE SCARICA IL SAGGIO):
Milano 1964 – Vittorio Gregotti, Umberto Eco e la storiografia del design come “opera aperta” (2019)

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine della copertina della rivista

Un tour virtuale – La Grotta del Buontalenti nel Giardino di Boboli

VIRTUAL TOUR

La grotta del Buontalenti, o Grotta Grande, è uno degli ambienti più pregevoli e famosi del giardino di Boboli a Firenze. Fu iniziata da Giorgio Vasari, che creò la parte inferiore della facciata, ma la sua costruzione si deve soprattutto a Bernardo Buontalenti, che la realizzò tra il 1583 e il 1593, su incarico di Francesco I de’ Medici. La grotta artificiale è un capolavoro dell’architettura e della cultura manierista e rappresenta una singolarissima commistione tra architettura, pittura e scultura. Non a caso vi erano collocati fino al 1924 i quattro Prigioni incompiuti di Michelangelo, oggi conservati alla Galleria dell’Accademia.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA Grotta del Buontalenti

VISITA IL SITO WEB UFFICIALE  Le Gallerie degli Uffizi

VIRTUAL TOUR Un tour virtuale con foto a 360°

IMMAGINE DI APERTURA – Interno della grotta del Buontalenti (Wikipedia)

Non è il ritratto di Madame Matisse, ma la caricatura demente di un ritratto!

The Green Line, esposto allo Statens Museum for Kunst di Copenhagen, in Danimarca, è stato dipinto da Henri Matisse ed è noto anche come il Ritratto di Madame Matisse, Amélie Noellie Matisse-Parayre. È, senza dubbio, uno dei capolavori che caratterizzeranno il primo Novecento. Questo piccolo quadro (40,5 x 32,5 cm) si contraddistingue, infatti, per i forti contrasti cromatici. La striscia verde, che dà nome al quadro, divide il viso della donna in due distinte metà: una caratterizzata da colori freddi e l’altra da colori una caldi. L’espediente contribuisce a dare una certa prospettiva volumetrica, senza però utilizzare l’ombreggiatura tradizionale, ma al contrario impiegando una stesura ad effetto piatto, che rende il ritratto molto simile ad una maschera astratta. Il dipinto non è, quindi, una restituzione naturalistica della moglie. L’artista non tenta di dipingere nel modo più accurato possibile ciò che è puramente visibile, alla ricerca di elaborare un ritratto psicologico. Il pittore è interessato, piuttosto, a manifestare in modo differente gli effetti di luce, ombra e volume.

Il quadro è stato probabilmente eseguito tra settembre e ottobre del 1905, quando tornò a Parigi dopo una estate trascorsa nel villaggio di pescatori di Collioure, nel sud della Francia. In compagnia del suo amico André Derain, provò a sperimentare in che modo liberare il colore dalla sua funzione descrittiva, lasciandolo agire come una forza autonoma e svincolata dalla realtà visiva. Per questo motivo il dipinto è oggi considerato un capolavoro, in quanto mostra una forza espressiva graffiante. Quando, infatti, fu esposto a Parigi nel 1906, non fece che confermare che le sue creazioni erano selvagge e primitive, tanto che l’opera fu definita non un ritratto ma “la caricatura demente di un ritratto”. Il 1905 è per Henri Matisse l’anno della sua grande svolta artistica. Al Salon d’Automne di quell’anno, presentò altri due dei suoi quadri più famosi: Finestra aperta e Donna con il cappello. La nuova produzione esprimeva, in verità, una grande forza visiva attraverso colori violenti e dissonanti. Per questo le sue opere vennero etichettate in modo derisorio come le creazioni di Les Fauves ovvero delle Bestie selvagge. Al gruppo dei Fauves si unirono artisti come André Derain, Georges Braque, Raoul Dufy e Maurice de Vlaminck.

LEGGI SUL SITO DEL MUSEO – Ritratto di Madame Matisse. La striscia verde, 1905

Mamiano di Traversetolo (Parma) – MODIGLIANI. Opere dal Musée de Grenoble

27 Marzo 2021 – 04 Luglio 2021
Mamiano di Traversetolo – Parma, Fondazione Magnani-Rocca
MODIGLIANI. Opere dal Musée de Grenoble
www.magnanirocca.it

Avviso. La situazione sanitaria è in continua evoluzione. Consigliamo di verificare le informazioni su giorni, orari e modalità di visita sul sito web della Mostra.

Amedeo Modigliani, Portrait d’homme, circa 1915, matita su carta.

Amedeo Modigliani fra disegno e pittura
Femme au col blanc e altri ritratti dal Musée de Grenoble

Sono da poco passati cent’anni dalla scomparsa di Amedeo Modigliani che, appena trentacinquenne, si spegneva a Parigi con la mente in preda al delirio, dopo una vita breve ma bruciante e artisticamente compiuta.
L’esposizione, grazie alla collaborazione col Musée de Grenoble, di sei opere di Modigliani, consente di analizzare il rapporto fra disegno e pittura e di cogliere i principali riferimenti culturali nel suo lavoro di ritrattista.
Dal 27 marzo al 4 luglio 2021 presso la Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo, presso Parma, vengono infatti esposti il dipinto Femme au col blanc, olio su tela del 1917, raffigurante Lunia Czechowska, moglie dell’amico d’infanzia di Léopold Zborowski, mercante d’arte e mecenate di Modigliani, e cinque ritratti a matita di personaggi della capitale francese degli anni Dieci, dove egli fu al centro della scena artistica, al tempo all’avanguardia internazionale.

Nella poetica pittorica di Modigliani (Livorno 1884 – Parigi 1920) il ritratto rappresenta l’unico veicolo d’espressione possibile del furore creativo dell’artista e il vitale strumento di esternazione dell’ansia, profondamente umana, d’intrecciare uno scambio relazionale con altri esseri. Partendo da una profonda fascinazione per l’essenzialità stilistica della tradizione trecentesca e quattrocentesca senese, per le qualità plastiche della scultura e per la stilizzazione del tratto grafico, Modigliani elabora una concezione assolutamente originale del ritratto, tenendo conto anche dell’insegnamento di Paul Cézanne e delle maschere africane. Per sottolineare queste influenze, importanti esempi della pittura senese e cezanniana vengono accostati in mostra ai lavori di Modigliani, come anche una maschera africana.

Amedeo Modigliani, Femme au col blanc, 1917, olio su tela.

I capolavori dell’arte francese del periodo in cui egli visse e operò, appartenenti alle raccolte della Fondazione Magnani-Rocca (oltre a Cézanne, anche Renoir, Monet, Matisse e Braque; ma anche l’italiano Severini, che in quegli anni viveva a Parigi), offrono al pubblico una visione ampia della scena artistica del tempo.

Inquieto, sempre in bilico tra genio e sregolatezza, un dandy moderno e un raffinato artefice del proprio tragico destino, perfetto stereotipo dell’artista maledetto, Modigliani, oltre che grande pittore, fu eccellente disegnatore, riuscendo, con un tratto volumetrico e allo stesso tempo bidimensionale, a catturare la sensibilità e la psicologia degli effigiati; coloro che gli fecero da modello ebbero a dire che farsi ritrarre da lui era come “farsi spogliare l’anima”. Il tratto più caratteristico e affascinante dell’opera di Modigliani risiede proprio nel suo talento introspettivo, che gli permetteva di portare a espressione le qualità più intime della persona, trasformando ogni singolo ritratto in una sorta di specchio interiore.

Di gran lunga più celebri di quelli maschili, i ritratti femminili sono i maggiori esempi della sensibilità artistica di Modigliani; i tratti delicati, i colli affusolati ed eleganti, sono divenuti identificativi dell’arte stessa del pittore e la Femme au col blanc ne è uno splendido esempio. Pur utilizzando un linguaggio prettamente moderno, egli non dimentica mai la tradizione italiana; l’ideale femminile con il collo lungo era stato infatti vagheggiato e dipinto da altri grandi artisti del passato, uno fra tutti, il Parmigianino, con la sua Madonna dal collo lungo dipinta proprio a Parma fra il 1534 e il 1540.

IMMAGINE DI APERTURAAmedeo Modigliani, Femme au col blanc, 1917, olio su tela (particolare).

Alessandro Barbero – Dante e la guerra

“Ci riesce difficile immaginare Dante a cavallo, con la cotta di maglia di ferro addosso, col grande elmo calato a nascondergli tutta la faccia e il nasone […]. Eppure Dante in vita sua ha indossato l’armatura e imbracciato lo scudo molto più spesso di quanto non gli sia capitato di mettersi in testa una corona d’alloro – cosa che probabilmente nella realtà non gli è capitata mai.”

Il più noto storico italiano disegna un ritratto di Dante a tutto tondo, avvicinando il lettore alle consuetudini, ai costumi e alla politica di una delle più affascinanti epoche della storia: in questo video, primo di una serie realizzata dalla casa editrice, Alessandro Barbero ci racconta il rapporto tra Dante e i suoi antenati. Un video ideato e prodotto dagli Editori Laterza e realizzato da Mu Produzioni.

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Rhodan59 da Pixabay 

Alessandro Barbero racconta Dante

Secessioni – “A ogni tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”

di Sergio Bertolami

10 – L’opposizione alle concezioni conservatrici.

Il termine, scelto per definire la volontà di separarsi dai canoni tradizionali e conservatori, fu quello di Secessione. Termine che rimase circoscritto principalmente ai paesi di lingua tedesca e che identificò uno strappo insanabile. Sembra che sia stato usato per la prima volta da Georg Hirth, giornalista ed editore di Jugend (Gioventù), la rivista che darà nome alla nuova corrente artistica Jugendstil. Il “settimanale illustrato di arte e vita” Jugend nacque a Monaco di Baviera nel 1896. Non fu, però, l’unica rivista pubblicata con lo scopo di favorire l’arte moderna. In Inghilterra si cominciò con The Studio (Londra 1893), in Germania oltre a Jugend si pubblicarono anche Pan (Berlino 1894) Simplicissimus (Monaco 1896), Dekorative Kunst (Stoccarda 1897); in Austria Ver sacrum (Vienna 1898). Tutto ciò, a dimostrazione che non si potevano sostenere nuove idee senza specifici mezzi di informazione e diffusione. Soprattutto perché occorreva far comprendere che tali scissioni artistiche non erano il frutto di uno stile omogeneo, né di un programma estetico definito, quanto l’effetto di una opposizione da parte degli artisti più giovani, culturalmente schiacciati dal pensiero corrente.

Otto Eckmann, Jugend n. 14, 4 aprile 1896

Esempi evidenti provenivano, come s’è detto, da Parigi dove era stata istituita la Société nationale des Beaux arts (tutt’ora operante) e da Bruxelles dove le nuove idee erano sostenute da Les XX. Negli ultimi anni dell’Ottocento, in Francia l’impressionismo era stato finalmente accettato da pubblico e stampa e non creava più occasione di scandalo, anche se chi patrocinava e difendeva l’Arte accademica continuava a sollevare le sue critiche. Come accadde nel 1884, quando all’Ecole des Beaux-Arts vennero esposte le tele di Manet, ad un anno dalla morte, per interessamento di Antonin Proust, già ministro della Cultura nel governo di Léon Gambetta. Manet, che dell’Impressionismo era stato un precursore, morto prematuramente non passerà il secolo, come invece accadrà per i più longevi Pissarro, Renoir, Degas, che proseguiranno il proprio impegno artistico anche nel nuovo secolo. Cézanne compirà la sua ricerca solitaria nel ritiro di Aix-en-Provence, documentata al Salon d’Automne di Parigi nel 1907 con una retrospettiva a lui dedicata a qualche mese dalla scomparsa. Monet trascorrerà gli ultimi quarant’anni a Giverny, fino al 1926, dipingendo ninfee d’acqua anticipatrici di soluzioni pittoriche al tempo inimmaginabili.

Manifesto del Salon d’Automne 1907

Pur tuttavia, in molte parti d’Europa, architettura, pittura, scultura – identificate ancora come le tre principali arti del disegno – continuavano a legarsi ai modelli passatisti eternati dalle accademie. Con la conseguenza che a tali modelli si atteneva espressamente anche l’estetica ufficiale di Stato. «L’arte – commentava Edgar Degas – non è ciò che vedi, ma ciò che fai vedere agli altri». Questa arte, appositamente orientata ad esaltare gli ideali del sistema di governo, valeva specialmente nei paesi di cultura tedesca. Nel 1893 il Kaiser Guglielmo II – salito al trono cinque anni prima a soli 29 anni, quindi un giovane, ma dalle idee conservatrici – riferendosi alle poetiche impressioniste, affermava: «I pittori en plein air avranno, da me, vita difficile: li terrò sotto la mia frusta». La cultura ufficiale dell’epoca, difatti, era ancorata a un naturalismo di maniera, enfatico e monumentalistico, che rimarrà insito nella cultura germanica anche a seguire, almeno fino alla metà degli anni Trenta del Novecento quando rifiorirà l’ideologia encomiastica e nazionalista, che si scaglierà contro la nuova arte “degenerata” (entartete Kunst), la medesima arte di cui a larghi tratti sto delineando le fasi iniziali. In modo netto e deciso le libere associazioni di artisti dettero, perciò, vita a movimenti secessionisti, che in verità non potevano contare di proporre un nuovo stile, e non ne avevano neppure l’intenzione. Piuttosto miravano a un dibattito intorno ad espressioni artistiche che fossero al passo coi tempi, nel tentativo di schiudere un panorama culturale restio alle novità che in quegli anni stavano investendo l’intera Europa: dall’Impressionismo alle sue molteplici evoluzioni, fino al Simbolismo. Tali idee rapidamente andavano conquistando il favore di molti critici e oltretutto di sostenitori finanziari. Questo perché ciò che spesso si dimentica è che il concetto di arte non può ridursi soltanto agli artisti, ma va allargato, considerando la sua intera filiera: dai mecenati (pubblici o privati) agli investitori, dai galleristi ai collezionisti.

Joseph Maria Olbrich, Palazzo della Secessione, Vienna

Nei paesi di lingua latina il secessionismo non ebbe alcun riscontro, salvo certuni esperimenti per trapiantarlo in Francia. Fu il caso della galleria L’Art Nouveau aperta nel 1895 a Parigi da Samuel Bing, mercante di Amburgo naturalizzato francese. Grazie a questa iniziativa, e alla sua rivista Le Japon artistique, lo Jugendstil ispirò il nome al movimento che in Francia sarà appunto chiamato Art Nouveau. Ciò vale anche per una simile attività commerciale, La Maison Moderne, introdotta dal critico Julius Meier-Grafe. Al contrario riscossero maggiore successo gli esperimenti che gli esponenti ragguardevoli della nuova tendenza fecero in Germania e Austria. Sono artisti come Otto Eckmann, ricordato per l’invenzione di un nuovo carattere tipografico o come disegnatore di apprezzate copertine di riviste; oppure Hans Christiansen, che aprì un atelier per la progettazione di mobili e oggetti d’arte; o ancora l’architetto Bernhard Pankok, fondatore dei Laboratori uniti per l’arte nell’artigianato. Laboratori che ritroveremo in Austria con l’attività di Koloman Moser, designer e decoratore, che insieme all’architetto Josef Hoffmann costituirà a Vienna la Wiener Werkstätte, l’officina per l’arte e il design, le cui progettazioni rimangono esemplari nella storia dell’arte del primo Novecento. Senza dimenticare un altro architetto, Josef Olbrich, che nel 1898 edificò proprio la casa d’esposizione della secessione viennese. Sull’entrata principale fu inciso il motto: Der Zeit ihre Kunst, Der kunst ihre Freiheit (A ogni tempo la sua arte, all’arte la sua libertà). Destava stupore il coronamento dell’edificio per una singolare cupola intrecciata da foglie d’alloro in bronzo dorato, appellata dai detrattori Krauthappell ossia “Testa di cavolo”. E dire che la costruzione del palazzo stesso è testimonianza della partecipazione viscerale degli intellettuali dell’epoca, giacché il lotto edificabile fu donato dall’industriale e mecenate Carl Wittgenstein, padre del filosofo Ludwing Wittgenstein.

Koloman Moser, progetto originale per l’apertura dello showroom Wiener Werkstätte (1905)

Il primo gruppo di artisti tedeschi che si riunirono sotto la denominazione di Secessione fu costituito a Monaco nel 1892, e si distinse soprattutto per l’opera di Franz von Stuck. Fu seguito dal movimento di Berlino del 1899, composto da artisti come Max Liebermann, Lovis Corinth e Walter Leistikow. Il più famoso dei gruppi si formò, tuttavia, a Vienna nel 1897, sotto la spinta di Gustav Klimt, il quale preferì uno stile altamente ornamentale che si riverberò per tutta l’Europa. Anche nel suo caso, i dipinti proposti al tempo per il soffitto dell’Auditorium dell’Università di Vienna furono respinti come scandalosi a causa del loro simbolismo erotico. Di tutto questo avremo modo di parlare nelle prossime pagine.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay