Antoni Gaudí – “La retta è la linea degli uomini e la curva è la linea di Dio”

di Sergio Bertolami

27 – Gaudí espressione massima del modernismo catalano

Corsi e ricorsi caratterizzano la Storia. Per cui anche Antoni Gaudí i Cornet, dal secondo dopoguerra, è stato progressivamente “riscoperto”, così com’è accaduto per l’Art Nouveau che in Spagna ritroviamo sotto il nome di Modernismo. Molteplici le ragioni. La prima, in modo assoluto, è dovuta all’imporsi del razionalismo sulle numerose correnti del primo Novecento. Poi, sotto il profilo politico, occorrerebbe considerare le ripercussioni della guerra civile spagnola e i lunghi anni di autarchia e di governo franchista. Nel caso specifico di Gaudí, uomo dal carattere riservato, una più ampia conoscenza fu ostacolata dalla sua stessa resistenza ad intervenire agli eventi espositivi e culturali acclamati in Europa. Quando nel 1910 il suo maggiore mecenate, il conte Güell, spendendo una cifra folle per l’occasione, organizzò una sua mostra di fotografie e di progetti all’interno del Salon parigino, Gaudí escluse del tutto l’idea di parteciparvi. Oggi Gaudí – considerato uno dei più grandi architetti del Novecento, precursore di altri grandi artisti catalani come Picasso, Dalì e Buñuel – è diventato un’icona d’integrità artistica e genialità, di pietà religiosa e di amore incondizionato per la sua terra natale, la Catalogna. È assurto a larga fama più per le sue eccentricità piuttosto che per l’effettivo intendimento della sua architettura. «Era un ecologista: riciclava piastrelle rotte, stoviglie, giocattoli per bambini, vecchi aghi di fabbriche tessili, nastri metallici per imballare stoffe di cotone, reti da letto e le sagome dei forni industriali per creare i suoi edifici». Lo racconta Gijs van Hensbergen nella sua biografia critica (Antoni Gaudí, a biography, 2001).

Ritratto fotografico di Antoni Gaudí nel 1878 anno del diploma
alla scuola di Architettura di Barcellona

Eppure, il 7 giugno del 1926, riverso in strada sui binari di un tram nessuno lo riconobbe: «Sembrava un senzatetto ubriaco», dichiarò alle autorità il conducente che lo aveva appena travolto. C’era da credergli: al tempo, gli architetti di Barcellona dovevano essere ben vestiti, la piega del pantalone impeccabile, anche tra la polvere del cantiere. Ma nella vita come nella morte, Antoni Gaudí visse sempre di gesti stravaganti e di una creatività che forse rasentava la follia, di certo era espressione del suo grande misticismo. Tutti lo conoscono per la Sagrada Família, l’edificio al quale dedicò quaranta anni di vita. Dei 18 campanili progettati vide solo quello di san Bernabè. Nondimeno, il plauso non sempre è stato unanime. George Orwell, nel 1938, in Omaggio alla Catalogna, parlando proprio della Sagrada Família, la stroncava così: «Sono andato a vedere la cattedrale, una cattedrale moderna, e uno degli edifici più orribili al mondo. Ha quattro guglie merlate esattamente a forma di una bottiglia di vino del Reno. A differenza della maggior parte delle chiese di Barcellona non è stata danneggiata durante la Rivoluzione: è stata risparmiata a causa del suo “valore artistico”, si diceva. Penso che gli anarchici abbiano mostrato cattivo gusto nel non farla esplodere quando ne hanno avuto la possibilità». Per un attimo, immaginate cosa avrebbe risposto Gaudí ad Orwell. A un giovanotto che criticava la sua opera – sì molto bella e pienamente artistica, ma che a lui comunque non piaceva – Gaudí, ribatté bruscamente: «Non lavoriamo per far piacere a voi». Una delle caratteristiche più conosciute di Gaudí era proprio il carattere impulsivo e scontroso e per questo si giustificava: «Ho dominato tutti i miei vizi, meno il cattivo temperamento». La sua effettiva personalità, la sua figura solitaria, ​​è stata sempre poco accessibile. Rimane ancora un enigma. La sua architettura, viceversa, è un libro aperto. «Il grande libro, sempre aperto e che bisogna sforzarsi di leggere – ripeteva – è quello della natura; gli altri libri derivano da questo e contengono, inoltre, interpretazioni ed equivoci degli uomini. Ci sono due rivelazioni: una, quella dei principi della morale e della religione; l’altra, che guida mediante i fatti, è quella del grande libro della natura […] L’imitazione della natura arriva fino alle membrature architettoniche, dal momento che gli alberi furono le colonne; solo in un secondo momento vediamo i capitelli ornarsi di foglie. Questa è un’ulteriore motivazione della struttura della Sagrada Família».

Gaudì, volta della navata longitudinale della basilica

L’immagine più diffusa della basilica è quella esterna, ma ad entrarci, a guardare le colonne arboriformi che sorreggono la copertura, chiunque comprende che quel bosco di fusti e di rami unisce davvero “la terra al cielo”: «Le colonne della Sagrada Família seguono una linea di forza che costituisce la traiettoria della loro stabilità, ossia il loro equilibrio. Sono generate da una sezione a stella che ruota salendo; il suo movimento è, dunque, anche elicoidale (proprio come nei tronchi degli alberi). Le stelle vanno e vengono, dato che le orbite sono linee chiuse; la colonna va e viene perché ha un doppio movimento elicoidale; essa, infatti, ruota in entrambi i sensi». Ascoltare la voce dell’artista fa tutt’altro effetto. Le sue Idee per l’architettura. Scritti e pensieri raccolti dagli allievi (a cura di Maria Antonietta Crippa e Isidre Puig Boada, 2011) restituiscono il vero senso dell’architettura di Gaudí. Qualcuno, per assurdo, mette in dubbio persino la profonda fede cristiana, confondendo le sue simbologie con quelle della massoneria. Il compasso e la squadra che comparivano sulle sue fatture. La stella a cinque punte del Parco Güell. Nella Sagrada Família, il pellicano che si squarcia il petto sulla porta della Nascita – simbolo dell’eucarestia, ma anche 18° grado della scala gerarchica massonica – oppure il quadrato magico sulla facciata della Passione, dove righe o colonne sommano sempre 33 – gli anni di Cristo, ma anche il massimo grado del rito scozzese –. Per non parlare del fatto che Eusebi Güell era un riconosciuto massone e che, secondo Apeles Mestres, scrittore suo contemporaneo, Gaudí cominciò ad accettare solo progettazioni dal carattere religioso, riservandosi di assumere altri incarichi se non dopo essersi raccolto in preghiera di fronte alla Moreneta, la Vergine Nera di Montserrat.

Criptograma posto sulla facciata della Passione

La questione, in verità, era strettamente legata alla vita personale dell’artista, che nel corso degli anni maturò una spiritualità sempre più profonda, fino ad abbracciare integralmente la fede cattolica in età matura. Quello che lo cambiò intimamente fu il rapporto di amicizia con l’eccentrico Josep María Bocabella y Verdaguer, proprietario di una libreria/tipografia religiosa a Barcellona. Questo per due motivi – uno viscerale, l’altro razionale – che possono spiegare molte più cose di quanto non appaia. Facciamo un passo indietro. Uno dei primi incarichi di Gaudí, a testimonianza del suo approccio al socialismo utopico in quel periodo, fu il progetto di una fabbrica in un quartiere operaio di Matarò, la Società Cooperativa La Obrera Mataronense (1878-1882). Come spesso accade, il progetto non venne completato e solo la fabbrica, l’edificio di servizio e un magazzino furono costruiti. Il fatto viscerale fu che, a Matarò, Gaudí visse l’unica storia sentimentale della propria vita, che gli procurò una immensa delusione: l’innamorata scelse un altro pretendente e Gaudí si votò al celibato. Per questa ragione entrò, più tardi, nell’associazione religiosa del libraio Bocabella, il quale, reduce da un pellegrinaggio a Roma nel 1861, cinque anni più tardi fondò l’Associació Espiritual de Devots de Sant Josep. Anche Gaudì aderì all’associazione, celebrando la famiglia, in comunione con gli altri membri, nel nome di Maria «unita a Giuseppe, uomo giusto, da un vincolo di amore sponsale e verginale» (Collectio Missarum de Beata Maria Virgine). Lo scopo comune era di promuovere la costruzione di un tempio dedicato alla Sacra Famiglia.

Progetto del 1877 di Francisco de Paula del Villar y Lozano per la Sagrada Familia

Nel 1881 l’associazione acquistò il terreno e diede avvio alla costruzione del primo nucleo della chiesa, laddove ora si trova la cripta (e la tomba dello stesso Gaudí). Il 19 marzo 1882, giorno di San Giuseppe, il vescovo Urquinaona posò la prima pietra del tempio espiatorio neogotico progettato dal diocesano Francisco de Paula del Villar y Lozano. A luglio i primi problemi portarono alle dimissioni del progettista. Bocabella sognò che un architetto dagli occhi azzurri avrebbe assunto i lavori. Nell’autunno del 1883, Bocabella entrò nello studio di Joan Martorell i Montells – designato a sostituire Villar – e si trovò faccia a faccia con Gaudí, suo collaboratore. Era il “prescelto” del Signore. Naturalmente, accettando l’incarico, chiese di apportare modifiche al progetto iniziale. A conti fatti avrebbe dovuto edificare la chiesa in pochi mesi. Sappiamo bene che è ancora in costruzione. Prima del Covid, si programmava il termine dei lavori intorno al 2030, confidando sul mantenimento di un flusso costante di donazioni ed entrate. In verità, i lavori procedono lentamente, a causa delle difficoltà di un progetto i cui disegni e modelli sono stati distrutti nel corso della guerra civile (1936-1939). A tutt’oggi, però, non si è ancora affrontato il vero problema, dal momento che la pianta basilicale a croce latina dovrà essere completata per realizzare l’ingresso con la scalinata. Oggi si usufruisce delle altre due entrate monumentali poste sulle testate del transetto. Vari edifici circostanti, dunque, dovranno essere abbattuti. Espropri multimilionari, nuovo assetto urbano, ricostruzioni. Nessun problema, lo stesso architetto amava dire: «I lavori della Sagrada Família procedono lentamente, perché il suo Padrone non ha fretta».

Progetto piazza stellata per la Sagrada Familia (1916)

È facile comprendere perciò che per Gaudì la forma architettonica non era sicuramente la priorità, essendo completamente subordinata al suo significato religioso. A suo modo anticipava quello che per i razionalisti sarebbe diventato un assioma: la forma segue la funzione; ma per Gaudí la funzione dell’uomo è realizzare «un’opera posta nelle mani di Dio e affidata alla volontà del popolo». Attraverso il suo percorso di vita, col tempo, era andato trasformandosi in un oblato, dedito ad opere grandiose che scaturivano dalla sua estasi mistica. Ecco perché oggigiorno il Vaticano, due mesi e mezzo dopo la richiesta del cardinale di Barcellona Ricard Maria Carles, ha dato via libera alla beatificazione dell’architetto catalano. Il processo religioso è in corso. Non esiste, però, solo il Tempio di Dio, ma ci sono anche le opere per gli umani, giacché Gaudí ha arricchito la sua città pure di una decina di palazzi e varie opere di urbanistica. Ad esempio, le opere realizzate per l’industriale Eusebi Güell i Bacigalupi, di madre genovese, suo grande amico e munifico mecenate. Uomo di una ricchezza assoluta, aveva accumulato fortune smisurate aprendo nuove aziende nei settori più promettenti del momento: una fabbrica di tessuti che diverrà la futura Colonia Güell, una fabbrica per asfalti e cementi Portland, una Compagnia per trasporti marittimi e una Compagnia mineraria in Nord Africa, presidente di una banca.

Gaudì, vetrina per esporre la produzione della Guanteria di Esteve Comella (1878)

Güell conobbe il neolaureato Gaudí nel 1878, colpito dalla Vetrina per la Guanteria Comella, che quell’anno vinse una medaglia d’argento all’Esposizione Universale di Parigi. La prima commessa fu un padiglione di caccia vicino a Sitges, ma rimase solo sulla carta. Lo compensò allora facendogli realizzare il nuovo muro di proprietà, avendo allargato il giardino della propria casa estiva. Per la Finca Güell, Gaudí concepì la famosa Porta del Drago, sulla sinistra la portineria e sulla destra le scuderie e il maneggio. Per realizzare la Porta lavorò personalmente a Reus con suo zio. Il tema del dragone era ossessivo per il giovane architetto. Sin dai primi lavori – anche da collaboratore di Josep Fontseré i Mestres, nel progetto della cascata del Parco della Cittadella (1875-1881) – continuerà ad inserirlo ovunque, quale elemento decorativo. Si richiamava alla venerazione per il santo patrono della sua terra, san Giorgio, che secondo la leggenda avrebbe ucciso il mostro, tanto da comparire per devozione nelle armi nobiliari di Catalogna e d’Aragona (dragón = de Aragón). La lotta di san Giorgio contro il drago, dal medioevo, era sempre stato il simbolo della lotta del bene contro il male. Ancora simboli, in ogni opera.

Gaudì, cancello d’ingresso ai Padiglioni
Gaudì, corte interna di Palau Güell

D’altra parte, Gaudì si muoveva sotto la spinta della Renaixença, il movimento letterario le cui tematiche ricorrenti (tra idealismo, simbolismo, tradizione ed esaltazione patriottica), peroravano la rinascita catalana. Agì da sprone all’inasprirsi del sentimento di rivalsa al centralismo castigliano, favorendo il ripristino dell’uso corrente della lingua catalana, l’approfondimento della storia locale e il rifiorire di forme artigianali. Lo stesso Don Eusebi Güell, persona tanto colta quanto nazionalista, sognava la sua Barcellona come una nuova Delfi. Al centro del mondo lo pone l’architetto, disegnando la sua casa. A Palau Güell (1885-1889) l’interno si declina attorno alla grande sala del primo piano, il classico piano nobile, ma qui organizzato come un iwan, tipico ambiente islamico, una corte chiusa e coperta. Questo spazio a tutta altezza, su cui si affacciano le stanze, è il luogo di rappresentanza sociale della famiglia Güell e culmina con una cupola traforata che fa immaginare un cielo stellato di notte e filtrare i raggi solari di giorno. «Il sole è il grande pittore delle terre mediterranee!». In queste opere paradigmatiche Gaudì consolidava il proprio linguaggio, ponendo sempre in primo piano il riferimento alle forme dettate dalla natura. «Quest’albero vicino al mio studio: questo è mio maestro», così commentava agli amici. Attraverso tali stimoli, sollecitava la sua creatività e innovava forme plastiche e spazialità.

Gaudì, Park Güell

L’opera più legata al paesaggio, è Park Güell (1900-1914), nata come un progetto di urbanizzazione privata richiesto dal suo mecenate, nello stile delle città giardino che stavano sorgendo in Inghilterra, ispirate alle idee di Ebenezer Howard, il quale già dal 1898 aveva illustrato le proprie teorie riformatrici (Garden cities of tomorrow, 1902). Il complesso, suddiviso in 62 lotti edificabili, con vista panoramica sulla città, si sviluppava per 15 ettari nella parte alta del paesino di Gracia, sobborgo di Barcellona, nota come Montaña Pelada perché liscia e brulla. Gaudì progettò l’impianto generale, studiando percorsi che assecondavano l’orografia del sito e attuavano il suo principio di natura “architetturata”. Realizzò una abitazione monofamiliare campione e l’intera rete delle infrastrutture viarie completamente immersa nella vegetazione: passaggi pedonali, sovrappassi, portici e gallerie, le cui colonne in pietra s’inclinano seguendo le forze di carico della collina. «Mi domandarono perché facessi delle colonne inclinate. Risposi loro: “Per la stessa ragione per cui il viandante stanco, quando si ferma, si appoggia sul bastone inclinato, dato che se lo mettesse in senso verticale non riposerebbe”».

Vista aerea della piazza centrale del Park Güell

I due padiglioni d’accesso al Parco, uno destinato alla portineria del complesso, si aprono su di un’ampia scalinata completata da fontane sulle quali spicca un coloratissimo drago, ormai addomesticato. Si può così accedere al mercato coperto pensato come una Sala Ipostila, ritmata da possenti colonne doriche. A copertura della sala è la celebre piazza, che compare su libri e riviste quando si descrive Park Güell, destinata al tempo libero e ai giochi dei bambini, alle giostre, aperta sulla vista di Barcellona, delimitata da una sinuosa balaustra-sedile. Per realizzarla Gaudì si avvalse dell’architetto Josep Maria Jujol, uno dei suoi collaboratori più promettenti, che rivestì la seduta con un trencadís di piastrelle e ceramiche. Si racconta che Gaudí, vedendo nel laboratorio di Lluís Brú, come si provava ad accostare piastrelle di varia provenienza, ne spezzò alcune prorompendo: «Bisogna metterle a manciate, altrimenti non finiremo mai». D’altra parte, Gaudì era stato il primo a utilizzare questo metodo per rivestire superfici curve e irregolari, come i padiglioni della Finca Güell, dal momento che le forme sinuose rendevano necessario rompere le piastrelle di ceramica, riducendole a delle tessere musive e attualizzando la tecnica dell’opus tessellatum romano.  

Gaudì, balaustra-sedile a mosaico, realizzato con un “tritato” (trencadís) di bicotture e porcellane cementate

L’ambizioso progetto non riscosse il favore degli acquirenti, poiché l’urbanizzazione agli inizi del secolo fu considerata distante dalla città e decentrata in un’area troppo isolata. Cosicché la cittadella residenziale non fu mai realizzata per intero. Solo due furono le costruzioni vendute, una all’avvocato Martì Trias i Doménech (i cui eredi sono ancora i proprietari), l’altra allo stesso Gaudì, che vi trasferì il vecchio padre e la giovane nipote, che a breve scomparvero. Rimase a viverci da solo per tredici anni, prima di ritirarsi definitivamente nel tempio della Sagrada Família e continuare a fantasticare e sperimentare come sempre aveva fatto nel corso della vita e delle opere: «La scienza – diceva – è una cesta che diventa sempre più colma di oggetti e che nessuno può maneggiare se non interviene l’arte, la quale fissa dei manici alla cesta e ne estrae il necessario per le sue realizzazioni».

Gaudì, drago con trencadís sulla fontana all’ingresso del Park Güell

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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay