Artisti Vari – Ti faccio un thriller [gialli da una pagina a un tweet]

Contro la prolissità dilagante di certe pubblicazioni il cui numero di pagine genera volumi così pesanti da poter diventare l’arma del delitto, il popolo della rete si sfida nella produzione di gialli che hanno come obiettivo la brevità, alla ricerca del dono della sintesi decantata persino da Calvino nelle “Lezioni americane”. Dai gialli di una pagina, o poco più, sino a quelli che si possono inviare in un sms e addirittura in un tweet, che ricordano certi “Delitti esemplari” di Max Aub e a cui hanno partecipato, divertiti, anche scrittori e giallisti affermati.

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IMMAGINE DI APERTURA – copertina del libro 



In edicola i “collaterali” aiutano a rimpinguare i bilanci in crisi

Da almeno due decenni i ricavi delle aziende giornalistiche sono in grande declino, perché sono diminuite – quasi senza eccezioni – le copie vendute dei quotidiani . Tuttavia i cosiddetti “collaterali”, ovvero i libri – ma anche altri prodotti – compensano in edicola le entrate ridotte.

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In edicola
i “collaterali” aiutano a rimpinguare
i bilanci in crisi

Da almeno due decenni i ricavi delle aziende giornalistiche sono in grande declino, perché sono diminuite – quasi senza eccezioni – le copie vendute dei quotidiani . Tuttavia i cosiddetti “collaterali”, ovvero i libri – ma anche altri prodotti – compensano in edicola le entrate ridotte.



“Intorno al mondo” è il titolo che abbiamo pensato per caratterizzare alcune nuove pagine di Experiences. Riguarderanno temi sui quali vale riflettere e che possiamo trovare navigando i migliori siti web del globo, sulle riviste culturali e sui quotidiani internazionali. Saranno fonti autorevoli, selezionate, interessanti e originali. Tali fonti permetteranno di osservare aspetti differenti dall’usuale, oppure fonti che porteranno l’attenzione su questioni che già conoscevamo e che avevamo trascurato, argomenti che sentivamo comunque vicini alla nostra sensibilità. Tutto vero. Noi di Experiences, per onestà intellettuale, vorremmo però fare di più. Cercheremo anche di sorprenderci in prima persona (e al contempo sorprendere chi condivide le nostre idee), scoprendo realtà oggettive che non conoscevamo per niente e che faremo in modo di comprendere. Anche se potrebbero sconvolgere il nostro abituale modo di pensare.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di OpenClipart-Vectors e fevzizirhlioglu da Pixabay

Rifugio nel Bosco – Erbe aromatiche e piante medicinali: Guida pratica di fitoterapia

Erbe aromatiche e piante medicinali: Guida pratica di fitoterapia, ricette erboristiche per la guarigione naturale e la salute quotidiana.

Conosci i benefici derivanti dall’uso delle piante officinali?
Quali sono le erbe medicinali più efficaci per migliorare il tuo benessere?
Immagina di poter guarire dal prossimo malanno utilizzando semplicemente dei rimedi naturali.
Pensa di possedere le capacità per riprenderti rapidamente da tosse, febbre e raffreddore, di rigenerarti dopo una notte insonne o una giornata stressante, tutto questo con delle ricette fatte in casa.
Questa guida pratica ti accompagnerà passo-passo nella creazione di cure naturali a partire da ingredienti comuni: le tue erbe e spezie quotidiane diverranno la tua personale erboristeria!
Anche se l’utilizzo delle erbe può sembrare complesso, in questo libro scoprirai che imparare è facile e conveniente.
Conoscerai le proprietà delle più importanti piante officinali e come preparare un’ampia varietà di rimedi: decotti, oli, infusi, tinture, creme e unguenti.
Il libro ti farà capire esattamente quale rimedio usare in base ai tuoi problemi di salute specifici: troverai più di 250 semplici rimedi a base di piante medicinali che potrai creare fin da subito a casa tua.
Inoltre capirai come abbinare le proprietà di ogni erba alle tue esigenze particolari e progettare una cura personalizzata per te e la tua famiglia.

Più precisamente, in questo libro troverai:

  • Cosa sono le piante medicinali
  • I principali benefeci derivanti dall’uso delle erbe officinali
  • Le proprietà delle piante medicinali più efficaci e diffuse
  • Più di 250 ricette divise per disturbo di salute
  • Come preparare un’ampia varietà di rimedi: decotti, oli, infusi, tinture, creme e unguenti
  • Come utilizzare al meglio i rimedi per la cura del corpo
  • Illustrazioni e disegni di erbe e spezie
  • Più di 70 foto delle principali piante medicinali
  • Una lista delle principali preparazioni erboristiche
  • Consigli di utilizzo e indicazioni di sicurezza per ogni erba
  • Le principali tradizioni erboristiche diffuse nel mondo e la loro storia

E molto altro ancora!
Nel libro troverai un esclusivo regalo e più di 100 foto e illustrazioni!
Le erbe selvatiche furono per molto tempo la sola cura che gli uomini poterono usare per guarire da ferite e malattie.
Anche i padri della medicina ne apprezzavano i benefici: “Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo” – Ippocrate
L’effetto di queste piante viene ancora oggi fortemente sottovalutato, ma sappiamo con certezza che esse possono migliorare la salute del corpo e della mente.
Questo libro è molto di più di un semplice manuale, è un’opera che ti inizierà alla conoscenza erboristica.

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IMMAGINE DI APERTURA – copertina del libro 



I genitori di bambini chiamati Alexa sfidano Amazon

La parola Alexa è diventata sempre più comune negli ultimi anni poiché sempre più famiglie utilizzano assistenti virtuali intelligenti ad attivazione vocale. Tuttavia, questo sta causando problemi alle persone di nome Alexa, vittime di scherzi ripetuti.

BBC

I genitori di bambini chiamati Alexa sfidano Amazon

La parola Alexa è diventata sempre più comune negli ultimi anni poiché sempre più famiglie utilizzano assistenti virtuali intelligenti ad attivazione vocale. Tuttavia, questo sta causando problemi alle persone di nome Alexa, vittime di scherzi ripetuti.



“Intorno al mondo” è il titolo che abbiamo pensato per caratterizzare alcune nuove pagine di Experiences. Riguarderanno temi sui quali vale riflettere e che possiamo trovare navigando i migliori siti web del globo, sulle riviste culturali e sui quotidiani internazionali. Saranno fonti autorevoli, selezionate, interessanti e originali. Tali fonti permetteranno di osservare aspetti differenti dall’usuale, oppure fonti che porteranno l’attenzione su questioni che già conoscevamo e che avevamo trascurato, argomenti che sentivamo comunque vicini alla nostra sensibilità. Tutto vero. Noi di Experiences, per onestà intellettuale, vorremmo però fare di più. Cercheremo anche di sorprenderci in prima persona (e al contempo sorprendere chi condivide le nostre idee), scoprendo realtà oggettive che non conoscevamo per niente e che faremo in modo di comprendere. Anche se potrebbero sconvolgere il nostro abituale modo di pensare.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di OpenClipart-Vectors e fevzizirhlioglu da Pixabay

Lecco – PAESAGGI POSSIBILI. Da De Nittis a Morlotti, da Carrà a Fontana

La rassegna analizza, attraverso 100 opere, come il tema iconografico del paesaggio sia stato interpretato da autori italiani attivi tra Otto e Novecento quali Massimo d’Azeglio, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Gaetano Previati, Giacomo Balla, Ennio Morlotti, Carlo Carrà, e altri.

A LECCO DAL 17 LUGLIO AL 21 NOVEMBRE 2021
A PALAZZO DELLE PAURE E A VILLA MANZONI
LA MOSTRA

PAESAGGI POSSIBILI

DA DE NITTIS A MORLOTTI, DA CARRÀ A FONTANA

A cura di Simona Bartolena

Gaetano Previati, Pino in Liguria, 1908, olio su tela, 86×70 cm

Dal 17 luglio al 21 novembre 2021, a Lecco, nelle due sedi di Palazzo delle Paure e di Villa Manzoni, si tiene la mostra Paesaggi Possibili. Da De Nittis a Morlotti, da Carrà a Fontana.

La rassegna, curata da Simona Bartolena, prodotta e realizzata da ViDi – Visit Different, in collaborazione con il Comune di Lecco e il Sistema Museale Urbano Lecchese, analizza, attraverso 100 opere, come il tema iconografico del paesaggio sia stato interpretato da grandi maestri italiani, quali Massimo d’Azeglio, il Piccio, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Gaetano Previati, Giacomo Balla, Carlo Carrà, Ennio Morlotti, Lucio Fontana e altri.

L’esposizione s’intreccia con il patrimonio del Sistema Museale Urbano Lecchese : se da un lato, le sale di Palazzo delle Paure accolgono alcuni lavori di proprietà dei musei di Lecco  dall’altro, il percorso trova una naturale continuazione all’interno della Galleria d’Arte Moderna di Villa Manzoni.

“Un importante appuntamento – dichiara Simona Piazza, assessore alla cultura del Comune di Lecco – che chiude il calendario delle grandi mostre con una rassegna che coinvolge non solo due sedi espositive della nostra città, come Palazzo delle Paure e Villa Manzoni, ma anche opere importanti che trattano il tema iconografico del paesaggio degli autori tra Otto e Novecento. Una mostra promossa da ViDi, in collaborazione con l’amministrazione comunale, all’interno del grande progetto di rilancio del polo espositivo di Palazzo delle Paure per accrescere la qualità delle proprie esposizioni e il numero di visitatori”.

Il soggetto del paesaggio è stato più volte indagato, anche con grandi mostre e pubblicazioni, facendo riferimento, soprattutto, alla scena francese, nella quale – dal Romanticismo a Barbizon, dagli impressionisti ai Pointilliste, fino alle Avanguardie – la genesi del Paesaggio in pittura traccia un percorso lineare.

Meno nota, invece, è la situazione di questo tema in Italia, dove pure ha avuto ampia diffusione e dove è stato ugualmente protagonista della rapida evoluzione che ha condotto l’arte verso la contemporaneità. 

Paesaggi Possibili copre un arco temporale che dall’epoca romantica giunge fino al secondo dopoguerra, e mette in luce i diversi approcci al paesaggio – come mimesi del vero, come luogo dell’immaginazione e del sogno, come simbolo, come proiezione del sé, come concetto spaziale -, rivelando la progressiva tendenza all’astrazione che l’ha condotto fino alle soglie dell’Informale e oltre.

Si tratta di un racconto che si snoda dalla classicità del paysage historique dei romantici all’indagine del vero dei macchiaioli, per giungere alle visioni divisioniste e alle sperimentazioni delle Avanguardie di inizio Novecento, fino alle soglie del contemporaneo, quando, con artisti come Morlotti e Fontana, il paesaggio si traduce in istinto emotivo o in concetto spaziale. “Sebbene il paesaggio sia un tema iconografico oggi assai diffuso nelle arti visive – afferma Simona Bartolena, la sua autonomia come genere pittorico autonomo è molto recente. Solo nel XIX secolo, infatti, gli venne riconosciuto un ruolo autonomo: non più paysage historique, non più scenografia per racconti mitologici, religiosi o storici, ma tema a se stante, momento di osservazione del vero dal vero, occasione di sperimentazione tecnica ed espressione poetica. Dalla natura sublime della generazione romantica agli scorci dal vero dei pittori di Barbizon e dei loro numerosi eredi, l’Ottocento è, in tutta Europa, il secolo in cui il Paesaggio trova se stesso, trasformandosi progressivamente da scenografia per narrazioni bibliche storiche o letterarie, a luogo  del vero, a luogo dell’anima, da spazio collettivo a spazio mentale”

Catalogo Edizioni La Grafica/Ponte43

PAESAGGI POSSIBILI. Da De Nittis a Morlotti, da Carrà a Fontana
Lecco, Palazzo delle Paure (piazza XX Settembre) e Villa Manzoni (via Don Guanella 1)
17 luglio – 21 novembre 2021

Il biglietto della mostra è acquistabile solo presso Palazzo Paure o in prevendita sul sito internet www.vivaticket.com, e comprende anche la visita alla seconda sede della mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Villa Manzoni

IMMAGINE DI APERTURA – Giuseppe De Nittis, Via di Portici, olio su tela, 19×20 cm

Al Palazzo della Sapienza dell’Università di Pisa si terrà l’evento “Per Edda Bresciani”

Venerdì 16 luglio, ore 18:30 presso l’Aula Magna Nuova del Palazzo della Sapienza dell’Università di Pisa (via Curtatone e Montanara, 15) si terrà l’evento Per Edda Bresciani che si articolerà in due momenti:
•Cerimonia di intitolazione delle Collezioni Egittologiche dell’Università di Pisa alla prof.ssa Edda Bresciani, con l’intervento del Rettore, prof. Paolo Mancarella
•Presentazione del catalogo della mostra Netsuke. Capolavori dalla Collezione Bresciani

PER EDDA BRESCIANI

Venerdì 16 luglio, ore 18:30
Aula Magna Nuova, Palazzo della Sapienza dell’Università di Pisa

Edda Bresciani (1930-2020). Studiosa di fama mondiale, Professore Emerito di Egittologia dell’Università di Pisa e insignita dell’ordine del Cherubino, medaglia d’oro del Presidente della Repubblica per la scienza e la cultura, socia nazionale dell’Accademia Nazionale dei Lincei, socia corrispondente dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres di Parigi, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione del Museo Egizio di Torino.

Appassionata collezionista e studiosa di netsuke, Edda Bresciani era una riconosciutahajin(maestra di haiku).

Edda Bresciani, come ha sottolineato il prof. Paolo Mancarella, Rettore dell’Università di Pisa, ha trasmesso a generazioni di studenti e studiosi la passione per la ricerca e il valore della cultura, la curiosità per mondi lontani nel tempo e nello spazio eppure grazie al suo magistero, vicini e svelati.

L’evento si svolgerà in presenza e, per garantire il rispetto di tutte le norme anti-Covid19, è previsto un numero massimo di partecipanti con prenotazione obbligatoria al seguente link: https://museodellagrafica.sma.unipi.it/prenotazione-eventi-speciali/

IMMAGINE DI APERTURA – Invito all’evento

Milano, Acquario Civico – Vanni Cuoghi. SUBMARINER

Dal 14 luglio al 12 settembre 2021, l’Acquario civico di Milano, edificio Liberty situato all’entrata di Parco Sempione, tra il Castello Sforzesco e l’Arena, ospita il progetto espositivo di Vanni Cuoghi (Genova, 1966) dal titolo SUBMARINER. Curata da Nicoletta Castellaneta e Ivan Quaroni, la rassegna si sviluppa in due momenti, il primo dal 14 luglio 2021 con l’esposizione delle opere dell’artista e il secondo con una grande installazione su Capitan Nemo dai romanzi di Jules Verne, che inaugurerà il 3 settembre 2021. Il progetto complessivo è promosso dal Comune di Milano – Cultura e dall’Acquario Civico e organizzato da Opera d’Arte, con il sostegno di Colombo Experience. 

SUBMARINER
VANNI CUOGHI

MILANO – ACQUARIO CIVICO
14 LUGLIO – 12 SETTEMBRE 2021

Love letters in the sand, (La messa in scena della Pittura 07), 2019, acrilico e olio su tela, cm 45×45

La mostra fa parte de “La Bella Estate”, il palinsesto culturale estivo promosso dal Comune di Milano che, fino al 21 settembre, propone ai milanesi e ai visitatori della città un ricco calendario di iniziative artistiche, culturali, sportive, ricreative e del tempo libero (programma in continuo aggiornamento su yesmilano.it/labellaestate).

La mostra presenta 16 opere recenti, molte delle quali inedite, i cui soggetti traggono ispirazione dai fondali marini e dalle creature che li abitano, in un costante rimando con il luogo che le ospita, valorizzando la storia e il patrimonio della Stazione idrobiologica milanese.

Seguendo la sua cifra stilistica più caratteristica, fatta di citazioni surreali, ironiche, oniriche, arricchite da elementi misteriosi, Cuoghi usa gli elementi del mondo subacqueo come pretesto per rappresentare un paesaggio oscuro, o meglio il lato oscuro del paesaggio. Utilizzando illustrazioni di luoghi fantastici Cuoghi porta il visitatore a intraprendere un viaggio all’interno di un panorama metafisico che ha assunto i lineamenti di un ambiente reale. Ecco il caso delle chine su carta che riproducono nella loro perfezione anatomica creature marine, siano esse polpi giganti, capodogli, balene, rane pescatrici, nuotare sopra fondali oceanici costituiti da cime alpine iconiche come Le Grand Combin, il Monte Bianco, il Dente del Gigante.

Il percorso espositivo prosegue con una serie di oli su tela, in cui è preponderante la citazione dell’aspetto architettonico o il grande dipinto (2 metri x 3) dove molto forti sono i richiami simbolici.

“Spesso le opere di Vanni Cuoghi – afferma Ivan Quaroni – assumono la forma di vere e proprie scatole narrative, box tridimensionali in cui i suoi paesaggi stranianti sono compressi dentro una cornice rigidamente codificata che riproduce il palcoscenico di un teatro miniaturizzato. In questa pittura oggettuale, fatta non solo di elementi grafici, ma anche di collage e carta intagliata, l’artista cristallizza gli episodi apicali di un racconto aperto, suscettibile di molteplici interpretazioni”.

“Il paradigma delle pitture di Cuoghi – dichiara Nicoletta Castellaneta – è perlopiù la concentrazione di mondi che dischiudono altri mondi in una narrazione apparentemente realistica, in una pittura che tocca la nostra esperienza sensibile e nello stesso tempo trattiene il suo mistero lasciando lo spettatore sulla soglia. Invitato a entrare nel “mondo dei mondi” di Cuoghi che racchiudono l’infinito, ognuno può perdersi o trovare una via per rileggere il reale attraverso l’apparenza”.

La seconda parte dell’esposizione, che sarà inaugurata venerdì 3 settembre, nei giorni che precedono il Salone del Mobile, proporrà un enorme diorama tridimensionale, in dimensione reale 1:1, che ricreerà con elementi di arredamento dipinti, siano essi la scrivania, la poltrona, le suppellettili, l’ideale studio del capitano Nemo, il mitico comandante del sottomarino Nautilus, nato dalla fantasia di Jules Verne, che fece la sua prima comparsa nel romanzo Ventimila leghe sotto i mari.

I visitatori diventeranno parte attiva dell’opera, camminando all’interno di questa stanza, come dentro una quinta teatrale, il cui oblò si aprirà direttamente su una delle vasche dell’Acquario per rafforzare la convinzione di trovarsi tra le acque dell’oceano.

Nel realizzare questa installazione, Vanni Cuoghi, la cui biografia racconta di esperienze da scenografo, sottolinea quanto “L’invenzione sia nella messa in scena, non nella rappresentazione pittorica. Mi piace ricreare un paesaggio effimero che dura il ‘click’ di uno scatto fotografico e prolungare con la pittura il ricordo di ciò che è stato”.

Vanni Cuoghi (Genova, 1966). Note biografiche

Diplomato in scenografia presso l’Accademia di Brera di Milano, ha partecipato a numerose biennali in Italia e all’estero, tra cui la Biennale di San Pietroburgo (2008), la Biennale di Praga (2009), la 54^ Biennale di Venezia, Corderie dell’Arsenale, Padiglione Italia (2011) la 56^ Biennale di Venezia, Collateral Italia Docet (2015) e la Biennale Italia-Cina (2012) e ha, inoltre, partecipato a mostre pubbliche a Palazzo Reale di Milano (2007), all’Haidian Exhibition Center di Pechino, in occasione dei XXXIX Giochi Olimpici (2008), al Liu Haisu Museum di Shangai (2008), al Museo d’Arte Contemporanea di Permm, in Russia (2010), al Castello Sforzesco di Milano (2012), alla Fabbrica del Vapore di Milano (2015) e al Vestfossen Kunstlaboratorium Museum in Norvegia (2018). Sue opere sono state esposte in diverse fiere italiane e internazionali come Frieze (Londra), MiArt (Milano), Artefiera (Bologna), Scope (New York), Off (Bruxelles), Daegu Artfair ,(Corea) KIAF, Seoul (Corea) e Bank (Hong Kong). Nel 2012, su commissione di Costa Crociere, ha realizzato otto grandi dipinti per la nave Costa Fascinosa e, nel 2014, sei per Costa Diadema.

Dall’ottobre del 2015 è titolare della cattedra di Pittura presso l’Accademia Aldo Galli di Como.

Tra le mostre personali pubbliche si ricordano nel 2011 Novus Malleus Maleficarum, a San Pietro in Atrio e Pinacoteca di Palazzo Volpi a Como, nel 2013, Aion ai Musei Civici Cremaschi a Crema, nel 2016 Da Cielo a Terra al Museo Ebraico di Bologna, nel 2017 The Invisible Sun, al Museo Francesco Messina a Milano. A fine maggio del 2019, ha inaugurato The eye of the Storm, alla Rossi-Martino Gallery a Hong Kong e a ottobre, Esuli pensieri alla Fondazione Balestra a Longiano (FC). A luglio del 2020 si è tenura la personale Apnea a cura di Elisabetta Sgarbi e con il supporto di M.Ar:Co alle Argenterie nella Villa Reale di Monza.

IMMAGINE DI APERTURA Vanni Cuoghi, Fondali oceanici 1 (Le Grand Combin – Ollomont), 2020, cm 35×24, china su carta

Imparare a vedere per saper guardare – Cracking Art ad Avezzano

Fino al 3 ottobre, all’Aia dei Musei di Avezzano sono esposte le mastodontiche e coloratissime sculture animali firmate dal movimento artistico Cracking Art. Con la mostra Cracking Art. Sculture a colori, la sede espositiva abruzzese ospita per la prima volta un evento unico nel suo genere, animandosi di creature del mondo animale singolari per colori ma anche per dimensioni e composizione.

Avezzano ospita

La mostra di maxisculture
create dal collettivo Cracking Art

Testo a cura di Maria Vittoria Baravelli

Dobbiamo imparare a vedere dentro le opere d’arte, sopratutto quelle contemporanee. Dobbiamo imparare ad ascoltare ciò che queste hanno da dire. Perché la cultura è ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto ed è per questo che Cracking Art da oltre venticinque anni e con oltre 400 esposizioni all’attivo, invade pacificamente con i suoi animali di plastica rigenerata la Biennale di Venezia, le città, i piccoli borghi e i musei più belli del mondo. Ogni animale rappresenta infatti un simbolo, un richiamo che ci permette di cogliere il nostro territorio con occhi rinnovati, nuovi.

Un’opera d’arte totale che lega, unisce e sublima la nostra terra e chi in quei luoghi è nato, vive e lavora, o magari forestieri che ritorneranno a casa con un ricordo in più. Cracking Art con le sue installazioni corali, collettive scongiura la possibilità da parte del visitatore di essere passivo e di farlo diventare attivamente ed emotivamente coinvolto. Il cinquanta per cento di un’opera la crea l’artista, in questo caso il gruppo nato nel 1993 a Biella; l’altra metà si consolida grazie a chi quell’opera la fa propria.

Il piacere retinico di ammirare un quadro, una scultura, un disegno o un reperto viene superato dalla necessità di diventare parte dell’opera stessa. La necessità di vedere si sostituisce con il desiderio di essere, di esistere. Si intreccia così un legame indissolubile tra noi e il territorio. Un nodo un po’ magico, che per quanto stretto rende in realtà un po’ più liberi perchè come diceva Gaber la vera “libertà è partecipazione”.

Animali colorati di grandi dimensioni realizzati in serie. Vere e proprie sculture contemporanee. Del resto il rapporto ambivalente tra originalità e imitazione non riguarda solo il nostro tempo e può essere studiato sin dai tempi dei romani.
Loro, innamorati dell’arte e della cultura greca, desiderosi di renderle omaggio insistettero nel periodo della tarda Repubblica e dell’Impero sulla diffusione di copie e multipli contravvenendo a quell’ideale di unicità che molto spesso la classicità fa presupporre.

Le opere di Cracking Art, realizzate con plastica rigenerabile e rigenerata raccontano il contrasto e le ambivalenze della modernità. L’importanza dell’azione gentile rispetto all’ascolto sordo. Così chiocciole, orsi, elefanti, lupi e tartarughe incarnano quei valori che oggi servono a spiegare e mantenere vivo il nostro “patrimonium”, tutto ciò che i padri ci hanno lasciato.

La necessità di rigenerarsi, di ascoltare e di essere protesi al futuro come indicano le chiocciole le cui antenne ci ricordano che se può esistere un’idea di passato è perchè esiste il futuro. Gli elefanti protesi in avanti, perchè la nostra identità richiede di essere difesa e dobbiamo in fin dei conti meritarcela. Che cos’è la memoria se non un esercizio costante di collettività?!

Le tartarughe ricordano la Biennale di Venezia del 2001 curata da Harald Szeeman, in cui il gruppo aveva sottolineato l’importanza della salvaguardia del nostro pianeta in relazione alla plastica, alla sensibilizzazione circa il suo utilizzo e non alla sua demonizzazione; alla consapevolezza e al rispetto che dobbiamo alla terra che lasceremo.

I lupi sono dei veri e propri guardiani, che agiscono in branco perchè come ci insegna la filosofia “l’io non può esistere senza il tu”.

Dobbiamo imparare a vedere dentro le opere d’arte sopratutto quelle contemporanee. Dobbiamo imparare a vedere per saper guardare.

INSTALLAZIONI

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All’Aia dei Musei di Avezzano la mostra “Cracking Art. Sculture a colori”

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Charles Rennie Mackintosh – Ha combinato una varietà di fonti in uno stile del tutto originale

di Sergio Bertolami

26 – Mackintosh e il Movimento di Glasgow

Charles Rennie Mackintosh è stato a lungo considerato, a torto, un decoratore, un arredatore, un disegnatore di mobili in stile Art Nouveau. Guadagnò popolarità solo nei decenni successivi alla scomparsa. È sufficiente pensare che, fatto l’inventario dei lavori lasciati, volendo porre all’asta i suoi numerosi schizzi, i disegni di architettura e di arredamento, 26 acquerelli e 5 dipinti di fiori, il lotto fu considerato così poco interessante che il banditore stimò il tutto soltanto 88 sterline, 16 scellini e 2 pence. La stessa celebrazione di Mackintosh, come designer e architetto di primo piano, avvenne quando Glasgow, città natale, fu nominata Capitale europea della cultura per l’anno 1990. In virtù di ciò, la costruzione della sua House for an Art Lover nel Bellahouston Park iniziò soltanto nel 1996. Altri lavori da lui progettati non sono mai stati realizzati, per il semplice fatto che non avevano incontrato il gusto della committenza. Una committenza arcigna e tradizionalista. Ma forse la vera ragione è che Mackintosh ha sempre svolto la sua attività senza identificarsi completamente in nessun movimento, e le persone (non solo i critici d’arte) hanno sempre bisogno di collocarti nella “scatola” giusta. Lui, invece, contava che la sola ispirazione personale potesse portarlo alla bellezza. Pertanto, anche a volerlo annoverare fra gli artisti Art Nouveau notiamo immediatamente il suo tratto del tutto originale. La riprova maggiore, a ben pensare, è che questa sua originalità estetica non ha mai lasciato eredi. Neppure fra studenti e professori della sua Glasgow School of Art. Eppure, basta citare il nome di Charles Rennie Mackintosh per pensare proprio a Glasgow, dove in gran parte si trovano le sue architetture.

Charles Rennie Mackintosh nel 1893, in una foto colorata di James Craig Annan

Glasgow, con la Rivoluzione industriale, da piccolo insediamento rurale sulle rive del fiume Clyde, aveva raggiunto l’apice della sua potenza industriale e commerciale, grazie allo sfruttamento delle vicine miniere di carbone e ferro, e allo sviluppo dei prodotti chimici e tessili. Soprattutto grazie al boom della cantieristica impiantata sulle rive del Clyde, sostenuta dall’ingegneria navale che realizzava navi spettacolari. Con questo, nel corso dell’età vittoriana e del periodo edoardiano, Glasgow divenne la sesta metropoli più grande d’Europa e la seconda città dell’Impero britannico. La scuola d’Arte incrementò, perciò, i corsi e gli studenti che istruì trovarono sempre più lavoro nei cantieri navali. Per questo motivo, anche il giovane McIntosh – così si chiamava prima di cambiare cognome in Mackintosh, intorno al 1893 – adottò un piano di studi che preparava più per i mestieri navali e ingegneristici che per i mestieri artistici, anche perché avrebbe voluto fare architettura e la sezione specifica fu istituita dalla scuola solamente a partire dal 1887. All’epoca, da tre anni, Mackintosh aveva già iniziato a prendere lezioni serali, investendo tempo e cure in disegno e pittura. Le prospettive d’impegno nell’arte erano elevate in una città in cui l’esigua aliquota dell’imposta sul reddito e la non tassazione dei profitti industriali incoraggiavano gli investimenti. Lo studente Mackintosh si distinse sin dall’inizio in varie occasioni fino a conseguire il secondo premio della prestigiosissima borsa di studio “Alexander Thompson” del 1890, per un progetto di “Edificio pubblico originale che può ospitare 1000 persone”. Il premio gli permise, l’anno successivo, un lungo viaggio in Italia, transitando per Parigi, Bruxelles, Anversa e Londra. Un viaggio di studio, perché agli scritti teorici degli architetti del suo tempo potesse aggiungere la conoscenza diretta dell’architettura classica, che lui indirizzò alle memorie bizantine, romaniche e gotiche, piuttosto che al Rinascimento italiano. E non poteva essere altrimenti, essendo attratto dalla lezione di Augusto W.N. Pugin e di John Ruskin. Quando a febbraio del 1891, la Glasgow Architectural Association lo invitò a parlare, già dal titolo della sua relazione – Lo stile feudale scozzese in architettura (The Scottish Feudal Style in Architecture) – si poteva capire quali sarebbero stati i presupposti del suo lavoro futuro. Avrebbe voluto recuperare le virtù della tradizione feudale scozzese, purgandole da contaminazioni neoclassiche, per coniugarle con gli insegnamenti del movimento Arts & Crafts. La stessa rosa stilizzata che sempre riproporrà nel corso della sua opera è un simbolo tipicamente medievale, a simboleggiare l’amore come fonte della vita. Un gusto condiviso e dichiarato da molti degli architetti e decoratori “più avanzati” del tempo: «Nel profondo dell’architettura antica – scriveva William Lethaby – troviamo meraviglia, magia e simbolismo; la nostra motivazione moderna è servire l’uomo, creare nuove strutture e sviluppare la scienza concreta».

Non era soltanto il mondo naturale locale ad ispirare Mackintosh, quello che affondava le radici nel panteismo celtico scoperto a scorrere le letture della tradizione, con narrazioni ambientate in foreste di querce per impersonare uomini temprati dalla vita. Era cresciuto avvertendo pure le spinte particolari che giungevano dal lontano Oriente. Ricordava quando la Glasgow Corporation (la municipalità cittadina) aveva organizzato una mostra di arte decorativa giapponese nel 1882, per evidenziare i rapporti economici privilegiati che la città aveva con il Paese del Sol Levante. Non era che un quattordicenne, allora. Sono questi gli anni fecondi della formazione, compiuti, vincendo le resistenze del padre, prima come tirocinante nello studio di John Hutchison, poi come disegnatore nello studio di John Honeyman e John Keppie, appena aperto, di cui diverrà a fatica partner quando la sua fama sarà riconosciuta più fuori che nella sua stessa città. Gli eventi biografici sono sempre il tessuto connettivo di quelli artistici, perché, nello studio Honeyman & Keppie, Mackintosh fece amicizia con James Herbert MacNair e per suo tramite conobbe anche le sorelle Margaret e Frances MacDonald.

Margaret MacDonald, signora Mackintosh

I quattro, meglio conosciuti col termine inglese The Four, tutti studenti d’arte, andarono a costituire una “sezione mista”, per così dire, dei Glasgow Boys e delle Glasgow Girls, gli studenti d’arte i cui lavori migliori distinguevano la scuola nelle gare internazionali. Ecco, dunque, che i nostri Glasgow Four – sembra il nome di un gruppo beatnik anni Sessanta (del ‘900) – balzarono all’attenzione già dalla prima rassegna collettiva a Liegi nel 1895. Il gruppo realizzò diverse mostre a Glasgow e a Londra, ma esporrà via via anche nel continente: manifesti, grafiche, stampe, mobili e oggetti decorativi. Nel giro di qualche anno le creazioni permisero loro di acquisire una reputazione internazionale, con un impatto sorprendente nella definizione dell’Art Nouveau. Il 14 giugno 1899 MacNair sposò Frances Macdonald e il successivo 22 agosto del 1900, Mackintosh si unì in matrimonio con Margaret Macdonald. Eventi che tutti i libri riportano, ma raramente menzionano che Margaret è da considerarsi parte integrante del lavoro creativo di Charles Rennie Mackintosh. Margaret era “geniale”, così la magnificherà l’artista negli ultimi anni della sua vita, mentre a suo dire lui aveva solo talento. Nel 1927, separati per questione di salute, le scriverà da Port Vendres: «Tu sei metà, o anche tre quarti, all’origine della mia opera architettonica».

Margaret era un’eccellente colorista, e questo fa capire meglio quegli eterei ambienti tinti di bianco, scarni di mobili, all’opposto di quelle stanze d’epoca vittoriana, soffocate da sovrabbondanti cortinaggi e imbottiti capitonné. Non sorprende, quindi, se chi trovava sempre da ridire e criticare, insensibile a una nuova visione di modernità, appioppò ai The Four il soprannome di Ecole des Ectoplasmes. I Quattro non avevano affatto intenzione di fare scuola, né come s’è detto la fecero mai. Generarono idee, questo sì. Due fatti positivi vanno evidenziati. Il primo: la partecipazione nell’autunno del 1900 all’Ottava Mostra della Secessione viennese. In verità, dopo i ripetuti riscontri negativi ricevuti in madrepatria, pensavano che all’estero gli sarebbe stato riservato l’ennesimo flop. L’accoglienza al contrario fu entusiasta, soprattutto da parte di Hoffmann, Moser, Olbrich, Klimt. Il secondo fatto positivo fu che l’architetto Hermann Muthesius, nominato dal Kaiser addetto culturale e tecnico dell’ambasciata tedesca a Londra, nel 1904 scrisse un libro di design e storia dell’architettura. Titolo: La casa inglese: sviluppo, condizioni, impianto, struttura, arredamento e interni (Das englische Haus: Entwicklung, Bedingungen, Anlage, Aufbau, Einrichtung und Innenraum). Nel libro non mancò di riservare elogi al Movimento di Glasgow, identificato con Charles Rennie Mackintosh. I Quattro facevano spiccare il design, così come il colore, la forma, l’atmosfera. «Il vero genio alla guida è Rennie Mackintosh; lo affianca il gruppo originario, Herbert McNair e le due ex Miss, Margaret e Francis Macdonald, l’attuale signora Mackintosh e la signora McNair. Tutti parlano lo stesso linguaggio artistico con grande convinzione, tanto che questi stessi, a ben vedere tra loro diversi, dimostrano di poter lavorare insieme alla stessa opera senza che l’unità ne sia minimamente ostacolata». Muthesius faceva altresì riferimento ai legami culturali ed artistici in ambito europeo: «Gli scozzesi, non solo trovarono vivi riconoscimenti nel continente, non appena vi apparvero, ma qui furono il germe da cui nacque un nuovo linguaggio delle forme in divenire, specialmente e durevolmente a Vienna, dove si stabilirono legami indissolubili tra loro e i leader del movimento viennese». Tutto vero. Gustav Klimt fu profondamente influenzato dai Quattro. Per il fregio di Beethoven del 1902 s’ispirò ai pannelli in gesso di Margaret Macdonald-Mackintosh, ammirati due anni prima a Vienna. Alcuni mobili, come il secrétaire e il Rose Boudoir furono all’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna di Torino nel 1902.

Margaret Macdonald Mackintosh, The May Queen esposto a Vienna nel novembre 1900 nel padiglione della Secessione. 
Charles Rennie Mackintosh, Wassail della sala da pranzo delle signore in Ingram Street, 1900 di Charles Rennie Mackintosh. 

In questi anni non si può però negare che il maggiore successo di Mackintosh sia legato alle architetture realizzate soprattutto a Glasgow. Vinse il concorso per la Glasgow School of Art (1897-1899), elevò la Queen’s Cross (1897-1899) sua unica chiesa, progettò la casa del Bellahouston Park (costruita, l’ho detto, solo tra il 1989 e il 1996), la Scotland Street School (1903-1906). Così come realizzò il suo primo progetto abitativo a Kilmacolm con la Windy Hill (1899-1901) e insieme a sua moglie l’arredò; a seguire la Hill House a Helensburgh (1902-1904). Progetti che lo fecero considerare un architetto d’avanguardia. Edifici privati e pubblici di cui disegnò strutture ed arredi interni: mobili lineari dalle forme essenziali, ispirati al Giapponismo che tanto lo aveva impressionato. Ad esempio, nella nuova scuola d’arte ideò le suppellettili per le aree comuni dell’edificio (coi sedili incassati nei corridoi ad uso degli studenti) e quelli più raffinati e leggeri per le stanze del corpo docente, la sala consiliare, l’ufficio del preside.

Catherine Cranston

Tra il 1903 e il 1904 Mackintosh si dedicò a realizzare la Willow Tearooms, una delle sale da tè di Miss Cranston. Figlia di un commerciante di tè di Glasgow, Catherine Cranston era un’energica imprenditrice e una entusiasta sostenitrice della temperanza. Da anni si batteva contro l’alcolismo, così pensò bene di proporre un’alternativa ai ruvidi pub, con lo scopo di distrarre uomini e donne dall’ubriacarsi incorreggibilmente di birra e whisky (quello buono scozzese). Soprattutto donne, alle quali propose luoghi di ritrovo, delle sale dove ci si potesse incontrare per il tipico rito inglese del tè nei suoi differenti aromi, con latte o panna, accompagnato da caramel e chocolatte cake, o semplicemente sorbire bevande rigorosamente analcoliche, a tutte le ore del giorno, in ambienti eleganti e confortevoli.

La Room de Luxe nella Tearooms com’era nel 1903

Il successo fu immediato, cosicché l’intraprendente signorina s’inventò il concept – diremmo oggi – di un locale mai sperimentato, aggiungendo alla sala da tè, spazi dedicati alle signore, una sala da pranzo, e per i loro mariti una sala da biliardo e una sala fumatori. Riuscì a concretizzare l’idea nel 1895, quando il maggiore Cochrane, divenuto suo marito, le offrì in dono di nozze l’intero edificio al 114 di Argyle Street, occupato fino a quel momento solo parzialmente. Spinta dal successo riscosso, nel medesimo anno, Kate Cranston acquistò altri due nuovi locali, al 205-209 di Ingram Street e al 91-93 di Buchanan Street. Nel 1903 acquisì anche l’intero stabile di Sauchiehall Street, che presto sarebbe diventato famoso col nome di Willow Tearooms. La storia di Kate Cranston corre parallela a quella dell’architetto Mackintosh, al quale fu affidata una serie di incarichi legati ad una crescente considerazione. Iniziò nel 1896, svolgendo il semplice ruolo di decoratore, realizzando i pannelli della sala di Buchanan Street. Nel 1898 la commissione contemplò i mobili della sala di Argyle Street; nel 1900 allestì un’intera sala in Ingram Street, che da allora fu chiamata White Dining Room. Infine, nel 1903 gli venne affidato l’intero progetto dell’innovativa Willow Tearooms in Sauchiehall Street. Oggi è l’esercizio più famoso di Glasgow. La libertà di ideare portò Mackintosh a dare il meglio di sé: fu per Argyle Street che disegnò la celebre sedia con lo schienale alto con il taglio ovale, fu per la Willow Tearooms che ideò la sua sedia con lo schienale a scala e quella ancor più famosa con lo schienale curvo.

Sedia Argyle per l’omonimo locale
Willow Chair per la Willow Tea Room

In questi anni la vita di Mackintosh è un rincorrersi di successi che s’interromperanno nel 1909 quando l’ampliamento della Glasgow School of Art segnerà l’apice della sua carriera architettonica e l’inizio del suo declino. Come recentemente osservava l’artista scozzese Mary Newbery Sturrock, sua concittadina: «Dopo l’apertura della seconda sezione della School of Art, Mackintosh ricevette pochissime commissioni, senza dubbio perché Glasgow aveva uno spirito molto provinciale. Non prendevano sul serio le sale da tè e trovavamo la School of Art alquanto bizzarra». Così mentre la sua reputazione cresceva in Europa, crollavano gli incarichi grazie ai quali effettivamente viveva. Causa principale l’estrosità dei suoi progetti Art Nouveau, ma anche l’insistenza a riproporre l’architettura scozzese, o quelle sue murature spoglie il cui trattamento anticipava le intonacature bianche del Movimento razionalista. Secondo qualche critico d’arte Mackintosh non ebbe il coraggio di lottare: da un lato contro la sempre dominante azione frenante dei committenti e, allo stesso tempo, contro l’avanguardia europea affascinata dalla tecnica. Ma queste sono questioni che interesseranno la vita di Mackintosh negli anni a venire. Perché quando ogni possibilità sembrò svanire i coniugi scoraggiati, lasciarono Glasgow per trascorrere l’estate del 1914 a Walberswick in compagnia di una piccola comunità artistica, prendendo casa in affitto.

Mackintosh, Walberswick, acquerello

Non sfuggirà la data: la dichiarazione di guerra dell’agosto 1914 pose fine a qualsiasi programma di espatrio. A fine estate, anziché rientrare, rimasero a Walberswick, nel Suffolk, cioè sulla costa orientale. La posizione strategica e le norme restrittive portarono a credere che quel curioso personaggio, dall’accento forestiero, che faceva lunghe passeggiate fuori dall’abitato, fosse sospetto. Venne arrestato, per via degli strani messaggi postali scambiati con la Germania e l’Austria-Ungheria, rinvenuti durante la perquisizione della casa. Anche questa è l’ironia di una sorte avversa. Fu rinviato a giudizio, portato in tribunale e accusato di spionaggio. Alla fine, fu scagionato, ma dovette comunque lasciare la costa. Decise di stabilirsi a Londra, dove abitò per otto anni. Ma non lo conosceva nessuno e gli incarichi languivano. Philip Mairet, un disegnatore che collaborò con lui, lo ricorda crudamente: «Non era molto gentile con me, indubbiamente perché era perennemente imbevuto di alcol […] Mi dava l’impressione di un brillante signore decaduto». Quando le ristrettezze finanziarie cominciarono a diventare pressanti la coppia, sempre unita profondamente per ventotto anni, portò i propri sogni controcorrente in Francia, a Port Vendres, un piccolo porto in prossimità del confine spagnolo, dove le spese erano contenute rispetto a Londra. Per loro, il tempo trascorse a studiare i fiori e a dipingere acquerelli: piante, paesaggi e scorci locali. Questa sarà l’attività prevalente del grande architetto per i successivi cinque anni che gli rimarranno da vivere. Anni di idee non realizzate.

Mackintosh, Un porto del sud, acquerello di un angolo di Port-Vendres

Mackintosh Architecture è un sito web, realizzato all’Università di Glasgow, che fornisce un catalogo riccamente illustrato di tutti i progetti architettonici conosciuti di Charles Rennie Mackintosh. Il sito fornisce altresì voci dedicate ai progetti dello studio John Honeyman & Keppie / Honeyman, Keppie & Mackintosh durante gli anni 1889-1913; immagini e dati dei libretti d’ufficio; un catalogo ragionato di oltre 1200 disegni di Mackintosh; saggi analitici e contestuali; biografie di oltre 400 clienti, colleghi, appaltatori e fornitori; sequenza temporale; glossario; e bibliografia.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Aeon – 800 anni di cultura dello stupro

Aeon è una rivista digitale di idee, filosofia e cultura, fondata a Londra nel settembre 2012 da Paul e Brigid Hains, una coppia australiana. I suoi contenuti consistono in lunghi saggi approfonditi, brevi pezzi di idee e brevi documentari sotto le insegne di Aeon Video. Gestisce anche un canale Conversazioni con i lettori, invitati a contribuire con il proprio punto di vista. Aeon si descrive come una pubblicazione che “pone le domande più importanti e trova le risposte più fresche e originali, fornite dalle principali autorità mondiali nel campo della scienza, della filosofia e della società”.

Il Website: Aeon

Dalle ore di Taymouth (Yates Thompson MS 13, folio 62r), XIV secolo.
Per gentile concessione della British Library

800 anni di cultura dello stupro

Le rappresentazioni mediatiche riguardanti il Medioevo spesso descrivono lo stupro come una parte della vita di routine e legalmente autorizzata per le donne, in particolare le serve e le contadine. Rendono sensazionalistica la vita medievale e implicano che le cose sono molto meglio ora al confronto, permettendoci di crogiolarci in un immeritato senso di progresso. In realtà lo stupro nel Medioevo, sebbene fosse visto come una parte usuale della vita delle donne, era condannato dalle leggi e dalla morale. Proviamo a domandarci: quanto è effettivamente cambiato tra il Medioevo e la nostra era #MeToo?



Donne protestanti e cattoliche si abbracciano a Derry/Londonderry, Irlanda del Nord, nel 1976

Salutiamo i costruttori di pace

Viviamo in un’epoca in cui è fondamentale capire come costruire la pace. Proliferazione nucleare, guerre civili e fra piccoli Stati, terrorismo e insurrezioni, crescenti estremismi e crimini d’odio, polarizzazione sociale, scelta sbagliata e cattivo uso di parole e frasi espresse on-line. Tutto ciò significa che imparare a riconciliare i nemici non è mai stato così importante. La verità è che i conflitti finiscono completamente solo quando i delicati fili della pace sono stati costantemente e silenziosamente intrecciati da gente comune e devota.



Un Capriccio romano di Marco Ricci (1676-1730). 
Per gentile concessione della Morgan Library and Museum

Perché i problemi filosofici resistono alla soluzione?

La filosofia ha una storia di 2.500 anni in Occidente e un ampio catalogo di problemi. Ci sono domande sull’esistenza e su quanto ne sappiamo, come ad esempio: abbiamo il libero arbitrio? C’è un mondo esterno? Dio esiste? e così via. Ci sono anche domande di analisi e definizione come: cosa rende vera una frase? Cosa rende giusto un atto? Che cos’è la causalità? Che cos’è una persona? Questo è un piccolo campione. Per quasi ogni nozione astratta, qualche filosofo ha provato a dare una risposta.



L’abito Tarkhan è l’indumento tessuto più antico del mondo con test al radiocarbonio che datano l’indumento alla fine del IV millennio aC. 
Immagine per gentile concessione del Museo Petrie di Archeologia Egizia, UCL

La rivoluzione dell’abbigliamento

Ian Gilligan insegna all’Università di Sydney ed è autore di Clima, abbigliamento e agricoltura nella preistoria: collegamento di prove, cause ed effetti (2019). In questo saggio ci porta a conoscenza quando e perché i nostri antenati hanno iniziato a indossare abiti e come la loro scelta sia stata cruciale per il successo evolutivo dei nostri antenati, nel momento in cui hanno affrontato il cambiamento climatico su vasta scala durante le ere glaciali del Pleistocene.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Gordon Johnson da Pixabay