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Laddove è  concretamente sfruttato, il patrimonio culturale sta diventando leva  di nuove attività, per contribuire allo sviluppo del proprio territorio.
 
 
Editoriali
di Sergio Bertolami

 

 

 

Siamo convinti che la cultura possa contribuire alla trasformazione concreta delle direttrici politiche grazie alle quali gestire una città. Siamo fortemente persuasi che uno degli strumenti possibili per un mutamento sostanziale sia il recupero dei patrimoni culturali, grazie ai quali identificarsi con dignità ed orgoglio al territorio di appartenenza.

Tradizionalmente le pubbliche amministrazioni collocano i beni culturali nella categoria delle “finalità”, nel senso che l’arte e la storia sono così dense di significati di civiltà da costituire esse stesse un fine. Tuttavia da più parti in Europa e in America si tende a mettere in evidenza un valore strumentale del patrimonio culturale, finalizzato al conseguimento di scopi collettivi, come lo sviluppo economico, il risanamento della finanza pubblica, la crescita dell’occupazione.

Laddove è  concretamente sfruttato il patrimonio sta diventando leva di nuove attività, introducendo una dimensione culturale nelle città,  migliorando i flussi turistici, recuperando le professioni artigianali, arricchendo il contesto di vita.

Una ricca letteratura critica, documentata da analisi e rilevamenti statistici, ha da tempo dimostrato che di fronte ad un patrimonio degradato, la società non reagisce, con la conseguenza dell’aumento del degrado. Al contrario, di fronte ad un patrimonio in buono stato, aumenta l’interesse sociale verso l’appropriata valorizzazione, superando persino le pratiche dei regimi meramente vincolistici. Ciò ha portato ad  aumentare in varie realtà europee, le risorse destinate alla conservazione e  ad incentivare gli investimenti pubblici e privati.

L’attenzione al patrimonio culturale migliora per molti aspetti il contesto di vita e l’immagine del territorio che lo detiene. Questa attenzione passa attraverso  la creazione di opere d’arte nei luoghi pubblici e, soprattutto, attraverso il restauro di monumenti emblematici che consentiranno di affermare un’immagine di qualità delle città ed una migliore identità collettiva.

In anni recenti, si è sviluppato il recupero e la ristrutturazione delle aree industriali dismesse che presentano un valore patrimoniale. Per avere la riprova basterebbe  recarsi, non solo in tante città europee, ma persino in Sicilia stessa, come ad esempio a Siracusa, che ha recuperato con il piano Urban l’intera isola di Ortigia. In molte altre città, al contrario, il recupero di aree degradate tarda a concretizzarsi. Gli incentivi - vale ricordare quelli delle Zfu (Zone franche urbane) da oltre un decennio applicate in Francia - potrebbero contribuire al raggiungimento degli obiettivi di  riqualificazione di aree oggi fatiscenti e in gran parte contaminate da depositi solidi urbani.

Da quanto detto risulta inevitabile la complementarità di ruoli in materia di formazione, informazione, utilizzo; tenendo ben presente, tuttavia, che non si realizzerà mai alcun recupero senza dialogo sociale e senza l’inserimento delle risorse culturali all’interno di un quadro programmatico. Sarebbe ora di pretendere città alternative e non semplicemente limitarsi a sognarle.

 

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