Non è
dato trovare, più si torna
indietro nel tempo, molte figure
di donne scrittrici. Forse per la
scarsa considerazione, forse per i
diritti acquisiti dalle donne solo
recentemente. Il fatto che tra gli
autori più rilevanti del Verismo
vi siano due donne, conferma la
novità e la modernità del
movimento italiano. Grazia Deledda
e Matilde Serao hanno
rappresentato efficacemente, nel
regionalismo verista, il loro
territorio: la Sardegna la prima,
e la Campania la seconda. Ambedue,
e non è un caso, hanno pubblicato
raccolte di leggende popolari
della loro regione d’appartenenza.
Evidentemente, sempre ambedue
hanno portato, nella letteratura
italiana, tutta la sensibilità e
l’intelligenza proprie della loro
femminilità.
Maria
Grazia Cosima Deledda nasce a
Nuoro, in Sardegna, il 27
settembre del 1871. Non è sempre
ricordata tra gli italiani
vincitori del Premio Nobel,
attribuitogli per la
letteratura nel 1926. Nata da
famiglia benestante (il padre era
un imprenditore e facoltoso
possidente) e religiosissima,
Grazia Deledda, poiché i
costumi del tempo non permettevano
alle ragazze una istruzione
maggiore di quella primaria, e,
comunque, un’istruzione regolare,
studiò, dopo le elementari, con un
professore privato (con lezioni di
italiano, latino e francese) e, in
seguito, completamente da
autodidatta, approfondì gli studi
letterari. In questo periodo
conobbe lo scrittore sassarese
Enrico Costa, che contribuì alla
sua formazione e la incoraggiò,
stimandola, a continuare la sua
carriera da scrittrice. Dopo la
pubblicazione di alcuni racconti
sulla rivista "L'ultima moda",
esordì in libreria con
Nell'azzurro nel 1890. A
questo fece seguito Paesaggi
edito nel 1896. La scrittrice nei
suoi primi passi non aveva ancora
scelto tra l'attività poetica e
quella narrativa. Dopo il
matrimonio con Palmiro Madesani,
funzionario del Ministero delle
Finanze, si trasferì a Roma. Qui
pubblicò Anime oneste nel
1895 e di Il vecchio della
montagna nel 1900, iniziando a
mettersi in luce grazie ad un
certo successo con il pubblico.
Molti furono a sostenerla, tra i
quali Ruggero Bonghi, Luigi
Capuana e Giovanni Verga, oltre
che da scrittori più giovani come
Enrico Thovez, Pietro Pancrazi e
Renato Serra. Fervente fu la sua
attività con giornali e riviste
dell’epoca ("La Sardegna",
"Piccola rivista" e "Nuova
Antologia"). Tra le tante
edizioni, ricordiamo: Cenere
(1904),
L'edera (1906), Sino
al confine (1911), Colombi
e sparvieri (1912), Canne
al vento (1913), L'incendio
nell'oliveto (1918), Il Dio
dei venti (1922). Nella sua
attività vi fu anche quella di
traduttrice. Sua la versione
italiana di Eugénie Grandet di
Honoré de Balzac
A
differenza di molti altri, la vita
della Deledda fu semplice,
senza viaggi o colpi di scena. Fu,
al contrario, molto produttiva
sotto l’aspetto letterario:
pubblicava quasi un libro l’anno.
Nel 1926 le fu assegnato il premio
Nobel per la letteratura. Dieci
anni dopo il prestigioso premio fu
assegnato a Luigi Pirandello,
anche lui del gruppo della Nuova
Antologia. La Deledda morì a Roma,
proprio dieci anni
dopo La
motivazione del premio Nobel a
Grazia Deledda recita: “Per la
sua ispirazione idealistica,
scritta con raffigurazioni di
plastica chiarezza della vita
della sua isola nativa, con
profonda comprensione degli umani
problemi”.
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