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Sommario

 

LA SICILIA DEL CINQUECENTO

  

   Recensione

  

   Riassunto del libro

  

   Intervista all'autore

  

   Biografia

  

   L'Inquisizione
   spagnola

  

   Messina nel
   Cinquecento

  

   Un invito a pranzo

  

   Un Menù
   cinquecentesco

  

   Un rompicapo
   divertente
 
 
 

 

 

 
 
 
 
   



 

 
 
Una vicenda vera tra seta e magia. Dalle pagine di un processo "super magariam" è possibile scorgere il ritratto di una città siciliana nel Cinquecento.

 

 
 
Domina nocturna
di Laura Gentile

 

 

Un pranzo cinquecentesco.

Dal chiostro fiorito, dove s’intravedono macchie di glicini, penetra nella sala in penombra il profumo dei gelsomini. L’uscita del libro “Domina nocturna” viene festeggiata in una confortevole sala da pranzo. Pareti rosa antico, pavimenti bordeaux,  tende, pendenti, voiles. Gli stessi tovagliati deliziosi, in rasatello damascato, i pizzi e i merletti che ricoprono ripiani e vetrine illuminate, si richiamano nell’intenzione più all’eleganza classica che non alla cultura rustica e primitiva dei tempi di Pellegrina.

«E’ vero. Nonostante abbiamo voluto proporre ai convitati un pranzo cinquecentesco» commenta il professore «senza dubbio, qualsiasi ristorante avessimo scelto saremmo stati molto lontani da una taverna del Cinquecento».

«Ha notato com’è davvero impossibile trovare un consommé di pollo in un ristorante odierno?», interviene Rosa Manuli, che ha curato il particolare menu della serata.

«Potremmo rivolgerci a donna Paula, la moglie del pollivendolo che soffia il marito a Pellegrina», replico confidenzialmente.

«Fuori di battuta» spiega il professore «vi posso dire che nei documenti siciliani troviamo la prima menzione di polli verso la fine del secolo XV. Uno di questi riguardava il pasto degli ufficiali di una galea. Altri due, intorno al 1570, a Palermo, si riferivano alla casa di un ricco mercante genovese e ad un ospedale… ».

«Cosa possiamo dedurre? ».

Il professore sorride, perché immancabilmente, anche a tavola, riesce a trovare un richiamo ai suoi interessi di studioso.

«Se ne deduce… che i polli d’allevamento erano rari, pertanto destinati ad una cerchia ristretta. E’ comprensibile se consideriamo l’uso ben più frequente di cacciagione… Ricorda Trasselli che persino quando si menzionavano i piumacci da letto, ovvero guanciali e coperte imbottiti, non sempre si faceva riferimento alle piume dei polli ».

«Il nostro Messer Minicu – uno dei personaggi che compaiono citati nel processo – vendeva quindi in città ed in provincia ad una clientela ristretta e selezionata, che desiderava una carne più delicata della selvaggina».

«Era richiesta non solo dai signori, ma acquistata anche per i bambini, gli anziani, gli ammalati…».

«Quale piatto avremmo ordinato in un “ristorante” dell’epoca, al posto del pollo?», domando divertita da questa conversazione surreale.

«A differenza delle case dei signori, cui ci siamo ispirati per il nostro menu, nelle locande e taverne avremmo trovato alimenti semplici: pane, olive, formaggio, tonno salato, sardine in salamoia. Era possibile reperirli anche negli spacci, dove si commerciavano quasi esclusivamente sementi e foraggi. Difficilmente avremmo potuto assaggiare, invece, degli ottimi maccheroni, già noti in epoca normanna. Naturalmente intendo parlare della pasta secca, utilizzata specialmente come articolo d’esportazione di lusso e che viaggiava per nave, confezionata in barili…

Gli atti notarili non parlano invece delle tagliatelle, oppure della lagana, citata già da Orazio, fogli sottili di pasta generalmente fritta o lessata, da cui derivano le nostre lasagne. Il motivo è semplice, perché la pasta fresca era preparata esclusivamente in casa e non era esportata.

I documenti del processo oggi conservati a Madrid.

Oggigiorno si sente discutere sempre più frequentemente di cultura del cibo, ma spesso si fa riferimento al Settecento o all’Ottocento: tempi ben più recenti che non quelli di Pellegrina ».

 «Professore, i colori di questi piatti, non ricordano, per caso, quelli delle sete tessute da Nardo Vitello? Sono rimasta sorpresa dalla quantità di tinte e di toni. Color acquamarina, cremisino, paonazzo, avvinato, color muschio, incarnato, cerasa, color ponzò, color melanzana… ».

«A proposito di melanzane…», fa notare il professore, mostrando il piatto dei contorni, dai toni ricchi di sfumature propri delle verdure di stagione, «sappiamo che erano conosciute almeno per indicare un colore, ma non è facile incontrarle nelle descrizioni di orti o giardini.
La vita quotidiana in quel tempo, come si può osservare, era ben differente dalla nostra. Escamare – il garzone che prestava servizio a casa di Pellegrina e nella bottega di suo marito – benché ricevesse vitto e bevande da Nardo Vitello, doveva accontentarsi di pancotto condito con un po’ d’olio, di un minestrone di cavoli oppure di fave e ceci, nel quale ammorbidire del pane raffermo».

«Minestre calde, di fagioli e lenticchie… ».

«Le lenticchie non compaiono ancora e quanto ai fagioli si trovano nominati nel 1517 riguardo  un orto di Palermo. Credo piuttosto che altri alimenti, oggi divenuti desueti, come le lumache, avessero una funzione predominante. La selvaggina era invece molto diffusa, così il pesce limitatamente alle zone costiere. D’altra parte cacciare e pescare spesso era una libera attività, e ciò permetteva così di rinforzare la razione quotidiana di verdure.

Fra i pesci conservati, spicca il merluzzo salato dei marinai del Nord, lo stoccafisso, il famoso pescestocco alla messinese… ed anche le sue interiora, come i ventruzzi. Non dimentichiamo poi i frutti del bosco, dalle castagne alle pere selvatiche, roba che bastava raccogliere…

Poi c’erano i prodotti della pastorizia, come i formaggi, o quelli dei latifondi cerealicoli. Mi viene in mente Mariano Bonincontro da Palermo, un poeta burlesco dell’inizio del Cinquecento, che fa l’elogio dell’intelligenza di un contadino arricchito, cresciuto a  tumi e cuccìa. La tuma è quel formaggio fresco non salato, che ancora oggi gustiamo; la cuccìa è una zuppa meno usuale, fatta di frumento, farro… un piatto d’origine pastorale. Mia madre la cucina ancora nella ricorrenza di Santa Lucia ».

«Professore, la prego, non mi confonda. Sono tentata di proporle un nuovo tema di ricerca… sull’alimentazione nel Cinquecento ».

«Potrebbe essere un buono spunto, chissà… è un’idea che io e mia moglie vagheggiamo da tempo».

Sorseggia pacatamente un bianco profumato, ottenuto da uve Insolia e Chardonnay, poi il professore riprende: «Quelle sete erano davvero eccezionali, non solo per i colori naturali, nel senso che richiamavano la natura, ma soprattutto per lo sviluppo che hanno permesso alla città di Messina. C’è da chiedersi infatti per quale motivo Nardo e Pellegrina preferirono  proprio Messina ad  altre città, quando per debiti scapparono da Napoli».

«Il libro lo spiega ampiamente, perché quello della seta mi pare possa considerarsi il motore principale della nostra storia: seta e magia, un intreccio senza dubbio interessante».

«In verità, penso che l’intreccio principale del mio libro sia quello che scaturisce da deduzioni e controdeduzioni, per giungere a leggere fra le righe del processo. Chi ha dimestichezza con biblioteche ed archivi, maneggia libri e documenti, sa bene che sovente, su molti argomenti, le prove scritte sono pressoché inesistenti… perché su talune faccende nessuno ha mai scritto una parola. Al contrario, quando sono disponibili sono enormemente frammentarie. In entrambi i casi, bisogna intravedere, ipotizzare, e ci si trova ad attivare collegamenti intuitivi fra testimonianze eterogenee… ».

«Quella di Pellegrina è dunque una “storia dimenticata dalla storia”».

«In qualche modo ha ragione lei. Fortunatamente Carlo Alberto Garufi ha riportato alla luce i documenti del suo processo, seppelliti nell’Archivio di Simancas ed oggi conservati a Madrid. Allora – prima di ascoltare anche gli amici che hanno ritenuto di intervenire a questa presentazione di “Domina nocturna” – vale ricordare Marc Bloch, quando afferma che i documenti non saltano fuori per effetto di chissà quale imperscrutabile volere degli dei. La loro presenza o la loro assenza, in un fondo archivistico, dipendono da cause umane che occorrerebbe analizzare, perché di volta in volta è messa in gioco la trasmissione della memoria attraverso le generazioni. Buon appetito».

   
 
   
   
 
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