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Sommario

 

LA SICILIA DEL CINQUECENTO

  

   Recensione

  

   Riassunto del libro

  

   Intervista all'autore

  

   Biografia

  

   L'Inquisizione
   spagnola

  

   Messina nel
   Cinquecento

  

   Un invito a pranzo

  

   Un Menù
   cinquecentesco

  

   Un rompicapo
   divertente
 
 
 

 

 

 
 
 
 
   



 

 
 
Nel suo porto confluivano non solo le merci siciliane, ma anche quelle calabresi, per raggiungere i mercati del Nord Europa.
 
Domina nocturna
di Giovanna Piazzo

 

 

Messina era una delle città più ricche della Sicilia.

Della grande Messina di un tempo ci rimangono oggi solo testimonianze scritte, e qualcuna visibile ancora nel tessuto della città moderna. Certo è che grazie alle minuziose descrizioni leggibili nelle fonti d'archivio è possibile calarsi in quelle atmosfere ormai tanto lontane, ma pur sempre reali. Ai nostri occhi di moderni forse sarebbe difficile immaginare come la città tanto statica di oggi, dovesse invece apparire allora, cosi naturalmente frenetica, impegnata, ricca e soprattutto viva.

Messina nel 1500 si evidenziava come una delle città più ricche della Sicilia. La sua posizione geografica e il suo porto naturale le diedero occasione di diventare una grande "metropoli" del Mediterraneo: i flussi economici che in essa e da essa convergevano, la politica, che nel bene e nel male, la rese quasi una repubblica a parte, indipendente dal regno, tutto questo contribuì a fare della città la perla della Sicilia, suscitando nelle altre città invidie e odi. Si presentava come una città non solo ricca, ma anche cosmopolita, infatti tra XV e XVI sec. erano presenti in città i consolati di diversi stati e nazioni (calabresi, liparoti, napoletani, francesi, portoghesi, inglesi, galiziani).

All'inizio del XVI secolo l’economia è già florida. Sul finire del Quattrocento si ha notizia di un banco privato a Messina e operativo sicuramente per due anni successivi all'apertura. Questo può far pensare che cominciassero a girare in città dei capitali; non bisogna dimenticare che alla fine del XV sec. Messina era già ricca grazie alla presenza degli ebrei che detenevano la maggioranza delle imprese commerciali della provincia, e fu grazie ad un ebreo di Catanzaro seguito poi da maestranze lucchesi, veneziane, pisane e fiorentine che si diede vita al grande commercio della seta. Nel 1520 nasce il “consolato dell'arte della seta” con il compito di sovrintendere alla produzione e al commercio del tessuto che per Messina stava diventando il fiore all'occhiello. Ancora prima (1516) per il grande afflusso di tessuti e per i grandi movimenti commerciali nel porto della città, venne istituita la Fiera di mezzagosto (in vita fino ad ora), in cui era possibile vendere sete, lane, ed ogni genere di tessuto.

La maggioranza dei mercanti della seta, era "straniera"; da fonti d'archivio, per esempio, riscontriamo la presenza di un certo Tuccio Fioravanti, la cui attività è documentata tra il 1512 e il 1541. Egli come, spesso accadeva in questo periodo, non si occupava solo di tessuti ma anche di oro e zucchero. Le comunità francesi importavano dall'estero panni e spezie ed esportavano a loro volta prodotti siciliani. Altra documentazione testimonia l'intensa attività commerciale di un'altra famiglia di mercanti di origine fiorentina, che lavorava sia a Firenze che a Messina. La presenza della famiglia Corsi è registrata a Messina dal 1530 al 1630. Soprattutto nella seconda metà del  '500 abbiamo la certezza che a Messina i panni più venduti fossero quelli fiorentini, infatti, dai libri mastri della Compagnia Viola (famosa compagnia di commercio fiorentina), sappiamo che tra il 1558 e il 1585 vennero spedite grandi quantità di mercanzia da rivendere nei maggiori porti italiani, e tra questi primeggiava tra tutti Messina con un ordine di 1640 panni.

In questo modo confluivano nel porto, non solo le merci siciliane, ma anche quelle calabresi, non essendo Reggio fornita di porto; c'è da dire che le due città rimasero sempre in stretto contatto, fin dai tempi della cacciata degli ebrei dalla Sicilia. Quelli che riuscirono a rifugiarsi in Calabria continuarono infatti a collaborare con i messinesi. La seta calabrese veniva fatta arrivare a Messina (e pagata non solo con denaro, ma con merce i vario tipo), e poi a sua volta rivenduta sempre dallo stesso porto.

Il boom del commercio della seta fu, se vogliamo, una necessità per la città siciliana: la sua posizione geografica, se era favorevole da un lato per l'attività portuale, dall'altro lato non era particolarmente ottimale per l'agricoltura. Questo fu sempre un deficit per la popolazione locale che era costretta, per esempio, ad acquistare da altri siti, come Lentini, il grano, primo genere di necessità che a Messina era impossibile coltivare. Il paesaggio montuoso che la circondava non dava ampia scelta di colture. Per via della scarsezza degli spazi adibiti al pascolo Messina ebbe il privilegio di fissare il prezzo della carne a due denari in più rispetto al prezzo vigente nel resto del regno. Ma fu proprio con l'aumento delle colture destinate ad uliveti, vigneti, gelseti (di qui il proliferare della produzione di seta, grazie all'allevamento dei bachi) che le zone attorno Messina si riempirono poco a poco di numerosi casali, che rimasero per diverso tempo le uniche realtà "contadine" della città.

Di qui partì Don Giovanni D'Austria vincitore a Lepanto

Messina volle essere una città che "bastava a se stessa" indipendente dal regno, e questo è chiaramente leggibile in diverse testimonianze scritte d’archivio. Non solo fece di tutto per primeggiare nel campo del commercio marittimo, ma cercò sempre di dipendere dall'estero il meno possibile, soprattutto da punto di vista economico. Nel 1508 abbiamo la certezza dell'impianto di una salina in Contrada Faro, per evitare importazione anche del sale. Ed è proprio dalla provincia di Messina che si estraggono metalli preziosi che in una secondo momento verranno anche esportati all'estero. C. M. Arezzo, corografo di Carlo V, nel 1537 descrive le zone di Fiumedenisi come luoghi ricchi di oro, argento, e allume; più tardi nel 1558 anche la zona di Alì verrà annoverata come una delle maggiori cave di oro, ferro, argento, allume e porfido. Nel 1572 un atto ufficiale concederà di «...cavare e far cavare, esercitare e scoprire manifestare e far manifestare [ ... ] tutti e qualsivoglia de ipsi mineri ».

Ciò che aiutò Messina all'inizio della sua ricca storia cinquecentesca fu sicuramente il grande interesse che tutti i regnanti succedutisi dimostrarono di avere per la città, attraverso la concessione di privilegi. Per Messina significavano autonomia amministrativa. Diverse fonti storiche dimostrano che questi privilegi permettevano alla città di mantenere l'indipendenza da Palermo, capitale del Regno, e il predominio su Palermo. Era come se tra le due città ci fosse una perenne competizione, ostacolandosi a vicenda. Paradossalmente proprio i privilegi cristallizzavano la situazione di Messina. Non bisogna dimenticare che per ottenerli occorreva donare ingenti somme di denaro allo stato centrale spagnolo, che molto spesso venivano reperite tassando le fasce sociali più deboli.

Questa politica di tassazione si protrae negli anni.  Per fare un solo esempio fra molti, nel 1562 il vicerè Garcia de Toledo impone alla città una nuova tassa su pelli e panni. Grazie, però, al re Filippo II la città ottiene nuovi privilegi, primo fra tutti l'abolizione della stessa tassa sui tessuti e la possibilità di imporre un prezzo maggiore alla seta che veniva prodotta nella Sicilia orientale e venduta partendo dal solo porto di Messina. Ottiene inoltre l’istituzione dell'Università, e soprattutto il privilegio della residenza del vicerè per 18 mesi in tre anni (in alternativa a Palermo). Sotto Filippo II ingenti furono gli impegni finanziari: si costruirono lungo le coste dell'isola muraglie, fortificazioni, e tra le città fornite di mura difensive viene citata anche Messina. Per il mantenimento della flotta marittima Messina offrì spontaneamente i suoi tributi e sei galere. Il porto venne dunque fornito di arsenali, officine, e ampi magazzini.

A partire dal 1557 viene costituita la prima Lega contro gli infedeli, e la flotta cristiana si stanzia a Messina. Due anni dopo, nel 1559, la prima spedizione salpò dal porto diretta a Tripoli, ma si rivelò un vero fallimento e le truppe non raggiunsero neanche la città predetta. Intanto a Messina veniva preparata una flotta in soccorso della prima e a luglio dello stesso anno la flotta del Grande Soccorso. Fino a quel momento nessuna delle flotte partite per contrastare i turchi ebbe fortuna. Si dovette aspettare il 1572 con la costituzione della nuova Lega contro gli infedeli, tanto voluta dal Papa Pio V, per ottenere la vittoria decisiva a Lepanto, sotto la guida di Don Giovanni D'Austria.

   
 
   
   
 
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