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Nei giorni antecedenti le feste c'era un gran da fare. Ecco le preparazioni dei "dolcieri" e
quelle confezionate nelle cucine di casa.
 
 
Pasqua in Sicilia
di Ernesto di Nunzio

 

 
Nei giorni delle celebrazioni pasquali la memoria della Sicilia storica è tenuta viva non solo dalle manifestazioni religiose, ma persino dai celebrati “dolcieri”, che tramandano ricette di una tradizione ancora fortemente radicata nell’isola. Secondo gli ingredienti di base di queste ricette, possiamo distinguere i dolci preparati con farina e uova, quelli di pasta reale (che fuori di Sicilia chiamano marzapane), quelli di ricotta. Già prima della Settimana Santa si possono gustare i famosi quaresimali (nella foto), biscotti di mandorla ricoperti da una glassa di bianco d’uovo oppure le palmette di mandorla tostata e uova, dalla forma di palma, e ricoperte di zucchero fuso colorato. Sono, questi, i veri sapori del passato, ben lontani da quelli abituali della produzione industrializzata e pubblicizzata. E’ un modo per gustare prelibatezze che legano la loro origine alla grande pasticceria barocca, ma per alcuni dolci anche a tradizioni più antiche.

Un proverbio ricorda le indaffarate giornate nella preparazione delle squisitezze pasquali: avìri cchiù chiffàri di lu furnu di Pasqua, cioè avere più da fare del forno di Pasqua. Molti sono proprio i dolci da forno. Ad Avola, per esempio, si trovano i cannileri, lunghi tortiglioni glassati fatti con pasta di pane, che si legano alla grande varietà isolana dei pani votivi, a forma di animali e figurine devozionali. Classici dolci esposti nelle vetrine delle pasticcerie o dei panifici dolciari sono panarina e panareddi oppure aciddi ccu l'ova, palummedde, cuddùre e cudduredde, cioè pani dolci o biscotti, a seconda delle località, a forma di panierini o di uccelli, ornati con uova sode colorate.

Nelle comunità agro-pastorali erano dolci di casa da regalare ai bambini; cotti nei forni a legna, emanavano un profumo inebriante che si confondeva con quello del pane appena sfornato, preparato fresco per i giorni di festa. Le uova venivano colorate immergendole in infusi vegetali: di barbabietole per ottenete il rosso, di ortiche o di spinaci (verde), di mammole (viola), di bucce di cipolla (marrone). L’uovo era il simbolo di rigenerazione e, non a caso, questi dolci si riallacciano alla tradizione religiosa, anche se non mancavano, un tempo, canzonature anticlericali come alcuni "viscotti r’ova", biscotti a base d’uova e farina, detti ironicamente "affucaparrini", affogapreti.

   
 
   
   
 
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