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 GASTRONOMIA SICILIANA

  

 

   TIMBALLI

  

   Il timballo delle feste

  

   Il pasticcio di Natale

  

   Timballo di anelletti

  

  Timballo di
    maccheroncini

  

   Timballo di Natale
 
 
 
 
 

 

 

 
 
 
 
   



 

 

 
Il timballo, piatto in grado di sedurre i palati più esigenti Ecco le varianti di un piatto ricco e sontuoso.
 
 
Tradizioni culinarie
di Rosa Maria Manuli
 

Timballo, pasticcio, sformato, sartù, nomi dagli etimi diversi, pietanze dalle impercettibili varianti, ma sempre ricche e sontuose.

Il timballo, piatto in grado di sedurre i palati più esigenti ,è caratterizzato da una sfoglia di pasta che lo avvolge ed è farcito da cibi già cotti (pasta, riso, carni, verdure) e passato in forno nell’apposito recipiente.

Il suo nome sta ad indicare un antico strumento a percussione, il tamburo o timpano, su cui è tesa una membrana e per analogia  uno stampo di forma cilindrica. Il termine deriva dal francese timbale a sua volta dallo spagnolo atabal di origine araba. In Sicilia, del resto l’impronta araba pervade tutta la cucina e l’utilizzo di pasticci imbottiti di carne era già noto ai tempi degli conquistatori islamici.

Imperioso nell’aspetto, opulento per la quantità e la ricercatezza degli ingredienti, rigoroso per la forma che ricalca geometrie e decori di stampi appositamente creati per la sua realizzazione, è comune tanto alla cucina baronale quanto a quella popolare. La gente umile vuole infatti emulare le tavole dei nobili, in occasione di ricorrenze, eventi speciali o festività religiose come il Natale.

L’involucro esterno di questo contenitore commestibile, può essere dolce o salato,di pasta frolla, di pasta brisée, aromatizzato spesso con cannella, scorza di limone o con altre essenze. Tale involucro può essere sostituito da altri alimenti che svolgono il ruolo di “fasciare”, come fette di melanzane fritte e verdure affini, crespelle o del semplice pangrattato che, aderendo perfettamente alle pareti unte della teglia, crea un consistente strato esterno.

La visione del timballo, il cui decorativismo attinge alla pasticceria, intesa nel senso più ampio del termine come arte del plasmare, induce la mente e il palato del commensale a esperienze gustative uniche, in grado di stimolare ed attivare tutti i sensi.

Infinite sono le ricette di questa preparazione, il cui ripieno non impone limiti alla fantasia. Il timballo della tradizione è quello di maccheroni, dalle svariate forme e consistenze: corti o lunghi, secchi o freschi (cioè lavorati a mano) lisci o rigati. Ziti, mezzemaniche, fettuccine, lasagne…e persino il riso, cereale di antica tradizione siciliana, oggi desueto. Le verdure, le carni tra le quali quelle di gallina contenente le uova non nate, animelle e rigaglie (frattaglie).

Il timballo eleva i maccheroni, associati spesso alla schiettezza e alla semplicità del popolo, a piatto di prestigio, infatti la sua fama a partire dal secolo XVII travalica le Alpi, innalzandolo a piatto nobiliare e facendogli assumere un ruolo di primaria importanza nella letteratura gastronomica francese e italiana. Il famoso cuoco Antonin Carême celebra il timballo di maccheroni tanto da renderlo una preparazione di prestigio per l’Italia del Risorgimento e per la Francia dell’Impero e della Restaurazione.

L’interscambio tra le due culture gastronomiche, già nel Rinascimento aveva visto il prevalere della cucina italiana e in particolare toscana in Francia grazie a Caterina dei Medici, famosa, nello specifico, per aver introdotto l’uso di elaborati pasticci di carne. Nel 600 e nel 700, i ruoli si invertono, l’egemonia spetta alla cucina francese che, ingentilisce ed armonizza l’uso dei prodotti, controllando il dosaggio delle spezie, equilibrando contrasti fra dolce e salato e introducendo nuove tecniche di cottura. La superiorità di questa cucina contribuisce alla istituzione di un gergo specifico tuttora presente nel lessico abituale della gastronomia siciliana: monsù da monsieur, ragù da ragoût, gattò da gateaux…

Il sartù, affine al timballo ed al pasticcio, etimologicamente deriva anche dal francese surtout che indica una decorazione da centrotavola.

L’idea di creare un timballo di pasta è tuttavia tipica dell’Italia meridionale, Napoli e Sicilia in particolare. E’ in Sicilia, proprio nell’isola del sole, che padre Labat, tra i primi viaggiatori del grand tour, scopre per la prima volta all’inizio del XVIII sec. un pasticcio di maccheroni: ”Non avevo mai visto pâtè di maccheroni. I maccheroni erano stati cotti in un brodo di latte di mandorle, di cannella, della vera uvetta di Corinto, dei pistacchi del Levante, delle scorze di limoni, i salamini più delicati e guarniti con pasta di Genova”.

Dal prototipo di un timballo che evoca retaggi arabi e rinascimentali, passiamo a quello più aristocratico e più famoso della letteratura italiana, un “torreggiante timballo di maccheroni”: Don Fabrizio, principe di Salina, lo offre ai suoi ospiti, per celebrare l’importanza e la solennità del primo pranzo a Donnafugata, feudo e località di villeggiatura della famiglia.

La superficie dorata di questo “trionfo di gola” rappresenta una premessa ai tesori che vi si celano all’interno. Primo fra tutti il tartufo, fungo ipogeo, che pur essendo presente nel sottobosco della Sicilia, non rientra nella sua tradizione culinaria: forse perché di dimensioni più modeste rispetto a quelli noti del Piemonte e dell’Umbria, forse per il suo aroma meno intenso o forse semplicemente perché i cuochi siciliani preferivano esaltare i loro piatti con i profumi del Mediterraneo.

La demi-glace,il fondo bruno, è un ulteriore elogio alla professionalità e all’abilità dei monsù. I tempi di cottura prolungati, la varietà delle carni e delle verdure utilizzate, le operazioni scandite ad intervalli di tempo regolare, fra le quali la schiumatura, la filtrazione, la sgrassatura ne fanno un autentico boccone da re. Una portata che non tutte le bocche sono in grado di apprezzare ed infatti soltanto il Principe,autentico Gattopardo, si accorge di quanto la demi-glace sia carica:“…l’aspetto di quei monumentali pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta:ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le filettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio”.

   
 
   
   
 
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