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Sommario

 
 

 GASTRONOMIA SICILIANA

  

 

   LA PASTA

 
 Le origini della pasta

  

 La pasta nella cucina popolare

  

 Le lasagne

  

 I maccheroni

  

 Conclusioni
  
 
 
 
 

 

 

 
 
 
 
   



 

 
 
Il geografo arabo Edrisi, nel "Kitab-Rugiar" (Libro di Ruggero, 1154) parla di “itriya”, che nel dialetto siciliano indicavano spaghetti sottili come  capelli.  
 
 
Gastronomia - La pasta
di Lucia Maranto
 

 

Proviamo a stabilire l'origine di un piatto come la pasta, molto diffuso e consumato, non solo generalmente in Italia, ma anche tra il popolo siciliano. Il termine pasta deriva dal tardo latino; tale parola proviene a sua volta dal greco paste, con cui si indicava una sorta di farinata.  Fin da epoche antichissime, molti popoli conobbero le paste alimentari.  Queste venivano ricavate da vari cereali pestati, con l'aggiunta di acqua: così si potevano ottenere delle pastelle dal miglio, dall'orzo, dalla segale ed anche da vari frutti o erbe essiccate.

Un bassorilievo frigio, in epoca storica,  mostra la dea Cibele nell'atto di offrire ad Attis, suo amante, una scodella di semola cotta. Forse i Romani dell'età imperiale, conoscevano la pasta con il nome di lagana (frittelle), infatti, nel De re coquinaria di Apicio, il più antico trattato europeo di gastronomia che sia pervenuto fino a noi, l'autore ci fornisce la ricetta di certe frittelle dolci a base di semolino e miele. Sebbene sia i Greci che i Romani conoscessero i cereali e li usassero, non riuscirono a realizzare la pasta come noi oggi la intendiamo.

Quando, dunque, nacque la pasta? Tra la caduta dell'Impero Romano e l'avvento degli Arabi, i siciliani inventarono la pasta alimentare. Il primo formato di pasta furono i Maccheroni, il cui etimo deriverebbe da maccu, donde il verbo latino maccare cioè schiacciare Giuseppe Messina autore di "Norma, Sparacanaci e 'Nzuddi", afferma che la "straordinaria importanza e popolarità del cibo ha fatto nascere nell'Isola una quantità di altri vocaboli, di cognomi e soprannomi, di traslati, di modi di dire e proverbi". 1 maccheroni, dunque, erano una pietanza abbastanza diffusa, ma c'è chi, come T. D'Alba ritiene che l'etimo del nome potrebbe derivare dall'arabo: mu-karana(tun) che significa mettere in parallelo, makruna cioè mettere in fila e indica un'azione ripetuta.

E se accettiamo l'idea che l'origine dei maccheroni appartiene al periodo della dominazione musulmana o poco prima, e che gli artefici di tali invenzioni furono i siciliani, non appariremo troppo campanilisti, anche perché supportati in ciò da validi documenti storici, nell'affermare che, ancora una volta, proprio ai siciliani si debba ricondurre la nascita degli spaghetti.

Ma andiamo con ordine: il geografo arabo Edrisi, nel 1154 nell'opera "Kitab-Rugiar" (Libro di Ruggero) parla di itriya cioè, nel dialetto siciliano di tria, una specie di spaghetto molto sottile.  Ancora oggi in Sicilia i capellini d'angelo vengono chiamati tria. Forse è meglio riportare integralmente la parte dei testo di Edrisi che ci interessa: "A ponente di Termini Imerese vi è l'abitato di Trabia, sito incantevole, ricco di acque perenni e mulini, con una bella pianura e vasti poderi nei quali si fabbricano vermicelli in quantità tale da approvvigionare, oltre ai paesi della Calabria, quelli dei territori musulmani e cristiani, dove se ne spediscono consistenti carichi".

Da quanto riportato appare evidente che il vocabolo itriya, utilizzato da Edrisi, si riferiva ad un tipo di pasta già conosciuto ed esistente nella nostra terra, e gli Arabi di allora lo importavano in grande quantità.  Probabilmente i siciliani nell'inventare gli spaghetti si ispirarono all'itria, ma il cambio di tecnica ed ingredienti condusse ad un prodotto nuovo. E con questa dimostrazione risulta chiaro che l'introduzione degli spaghetti in Europa non fu dovuta al viaggio di Marco Polo in Cina, dove il veneziano venne a conoscenza degli spaghetti di soia, poiché costui nacque cento anni dopo che Edrisi aveva reso nota l'abitudine dei vermicelli siciliani.

T. D'Alba ritiene, pertanto, che i due tipi di pasta, maccheroni e spaghetti, che tutt'oggi esistono, vengono utilizzati per la realizzazione di distinti piatti tipici. Uno di questi, che ha forti legami con la cultura araba è la pasta fritta alla siracusana, si tratta di una frittura di capellini, tria, lessi al dente e cosparsi di miele e cannella; l'altro sono i maccheroni adoperati per preparare la pasta chi sardi, e dove figurano tra l'altro ingredienti tipici della cucina arabo-siciliana, la passolina, i pinoli e lo zafferano.

Ora che conosciamo la terra natia e i "genitori" del più comune cibo siciliano, ci tocca analizzare la sua diffusione tra i diversi strati sociali, le varianti che si   produssero una volta che questa pietanza venne a contatto con ogni città della Sicilia e le occasioni in cui veniva cucinato e perpetuato lo stesso tipo di pietanza. In qualche località del Palermitano si conserva ancora l'usanza dei triya i primi vermicelli siciliani conosciuti anche dagli Arabi.  C'è una ricetta trya bastarda e lenticchi, che ne perpetua l'uso. I trya bastarda sono spaghetti di grosse dimensioni rispetto ai vermicelli conosciuti dagli arabi ".

Non posso fare a meno di parlare di una specialità catanese: gli spaghetti alla Norma. L'uso di ingredienti semplici come la salsa di pomodoro fresco tagliata a pezzi, la ricotta salata ed informata grattugiata, le melanzane ed il basilico, che non contrastano fra di loro e non creano disarmonie di sapori, sono tipici di quella parte della Sicilia, l'orientale appunto, in cui, come ho già detto, predomina un tipo di cucina più sobria rispetto all'occidentale, ma non per questo indice di scarsa fantasia. Questo piatto non certamente povero, ma neppure fastoso, è un omaggio di Catania al capolavoro del celebre compositore Vincenzo Bellini: la Norma.

Gli ingredienti freschi di questa pasta, il pomodoro e le melanzane, ne fanno un piatto tipicamente estivo.  E' possibile anche ipotizzare una datazione per questa pietanza: sappiamo che il pomodoro è stato introdotto in Sicilia intorno all'800.  Infatti è stato considerato fino alla fine del Settecento un frutto insignificante o addirittura velenoso.

 

   
 
   
   
 
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