La gran fabbrica de'
PP. Teatini di
S. ANDREA
AVELLINO
merita
d'esser visitata, per la sua vastità, e regolarità di disegno,
architettata sul modello fatto venire da Roma: la scala è
veramente magnifica tutta di marmo bianchissimo di Carrara.
Imperfetta resta tuttavia la Chiesa, che sarebbe riuscita una
delle più belle, potendosi veder le colonne tutte d'un pezzo,
che stanno a giacere sul suolo.
La chiesa di cui
attualmente si servono, è un deposito di bellissimi quadri,
degni di essere attentamente considerati dal dotto conoscitore.
La Sagra Famiglia è opera di Francesco Albani; l'Ecceomo
accompagnato da Pilato, e da un manigoldo è un capo d'opera di
Michelangelo da Caravaggio. La Pietà è del pennello del Misusa.
Il S. Gaetano e S. Andrea Avellino di misura pussinesca è una
delle più dilicate opere del Barbalonga. La tavola con entro la
Vergine del Refugio con S. Barbara è opera singolare di puro
stile raffaellesco di Stefano Giordano Messinese. La venuta
dello Spirito Santo è di Deodato Guinaccia. Il S. Andrea
Avellino all'altare maggiore è di Salvadore Monosilio Messinese,
finalmente il gran quadro dello stesso Santo ricco di molte e
ben disposte figure è una delle migliori opere di Sebastiano
Conca.
Da qui passando nella
strada del Corso, nella piazza immediata sono da osservarsi le
quattro fonti marmoree, in ognuna delle quali si vede
magistrevolmente scolpito un cavallo marino versante acqua dalla
bocca, quale porta sul dorso un vago amorino, sculture di Giovan
Battista Marino catanese: meriterebbe di essere meglio
conosciuto questo bravissimo artista.
Scendendo per la
strada delle Carceri s'incontrano le prigioni centrali
fabbricate sulle rovine dell'antico convento del Carmine: in
esse può osservarsi la fonte di marmo, che era un antico
sarcofago ornato di finissimi rabeschi.
Ivi appresso
s'incontra il famoso pozzo leone antichissimo fonte, ricordato
da nostri storici, ove per cinque bocche scorrono perennemente
torrenti di freschissime acque, che nascono sul luogo senza
vedersi in menoma parte mancare anche nelle più aride stagioni
estive. Somministra questo fonte abbondevoli acque alle flotte
che stazionano nel nostro porto. Prima vi si leggeano li
seguenti quattro versi; che oggi per le ingiurie de' tempi più
non si vedono.
Enceladi flammas fugiens per operta viarum Hic caput attollo Nympha perennis aquæ. Cum mea sensissem, venturam ad litora classem Protinus exilui Nympha latentis aquæ.
Arrivato alla piazza
Ferdinanda osserverà in grandioso, e veramente magnifico palazzo
pubblico, di cui l'altro prospetto corrisponde nel teatro
maritimo, ormai vicino al suo compimento. Fu questo inalzato
sulle ruine dell'antico architettato da Iacopo del Duca, la
migliore e la più bella delle opere, che abbia fatto: e perchè
non farsi il moderno sul disegno dell'antico? sei colonne
d'ordine dorico aprono nel centro cinque ingressi, quali formano
un portico maestoso: sopra l'arco di mezzo si legge la seguente
laconica iscrizione.
Aedem Magistratibus Municipalibus, Porticum Negotiatoribus. S. P. Q.M. ab integro.
Altrettante colonne
d'ordine jonico s'inalalzano sulle prime abbracciando ogni
ordine due piani, ove avranno stanza i pubblici archivj, e le
officine corrispondenti delle autorità amministrative. Nel mezzo
della piazza si erge un gran colosso di bronzo di pal. 15
d'altezza rappresentante al vivo il Re Ferdinando I opera di
Nicolò Mancusi.
Dirincontro s'inalza
la chiesa de' PP. Crociferi ministri degli infermi sul disegno
del P. Barberi Messinese dello stess’ordine. In essa all'altare
maggiore si vede il pregevolissimo quadro della Resurrezione di
Lazzaro opera grandiosa di Michelangelo di Caravaggio. La
Concezione è di Gio. Battista Quagliata. Il S. Carlo Borromeo è
di Alfonso Rodriquez, ove si vede un ammirabile tappeto dipinto
colla più gran verità: gli uomini grandi son grandi anche nelle
piccole cose: il S. Pietro e Paolo colla Vergine in alto è assai
buon quadro di Nunzio Russo napolitano. Finalmente il S. Camillo
è di D. Giuseppe Paladino: tutti i freschi che ornavano questa
chiesa furono rovinati da' tremuoti, solo ne restano alcuni
nell’altare di S. Giuseppe di D. Giuseppe Crestadoro, anch' essi
malamente raggiustati. |