Nel Febbraio del 1914, durante i lavori di scavo per le
fondazioni della nuova sede della Prefettura di Messina, vicino la chiesa
di S. Giovanni di Malta con la cripta di S. Placido, apparvero dapprima
alcuni sporadici oggetti antichi, poi resti di mura e di edicole funebri,
che richiamarono l’attenzione degli agenti della Soprintendenza degli scavi
di Palermo.
Non si tardò a capire che lì, coperta da detriti
alluvionali, vi era una vasta necropoli, la cui importanza venne intuita dal
Prof. Salinas. Non poche furono le difficoltà di esplorazione di
questa necropoli, tra cui il passaggio di Messina alla Soprintendenza di
Siracusa, che solo nel mese di Settembre fu in grado di intervenire.
Da una parte le continue premure della società
assuntrice dei lavori e del genio Civile , affinché non si intralciasse
l’opera di scavo del vasto bacino di fondazione, dall’altra gli insistenti
reclami della cittadinanza intellettuale, affinché si conservasse il più
possibile di Messana antica, misero in grave imbarazzo i vari uffici. Alla fine la diatriba si concluse con la decisione di
continuare l’esplorazione della necropoli, conservando le più importanti
edicole negli scantinati della nuova prefettura.
Dall’esame dei banchi sedimentari alluvionali, causati
dalle secolari inondazioni del torrentello Boccetta, si dedusse che la
necropoli si sarebbe interrata tra II e III sec. d.C. e poiché ogni secolo
aggiungeva nuovi depositi di sabbie, fanghiglia e ghiaiette, l’antico suolo
della Messana romana si elevò in questo punto di m 3,50.
Il torrente Boccetta, probabilmente, segnava il limite
fra la cinta urbana e la campagna, ed è perciò naturale l’ apparizione di
una necropoli sulla sua sponda sinistra. È inoltre da osservare che il piano della necropoli e
dei singoli recinti non è livellato perfettamente, per cause soprattutto
sismiche, che, dal lato levante, determinavano un abbassamento di circa 30
cm.
Di questa necropoli non conosciamo né i limiti, né
l’estensione. Era divisa in tante aree, o recinti, rettangolari,
delimitate da muri, la cui altezza era di circa 2 m; quasi ogni recinto, o
campiello funebre, faceva capo ad un’edicola principale, di forma quadrata,
con zoccolatura in pietra e mattone, che rappresentava il nucleo originario,
attorno al quale si era sviluppato l’aggregato; queste aree, infatti, erano
collettive, di famiglie (γένη), o di corporazioni (collegia).
L’avanzato stato di rovina della necropoli non permise
di stabilire quali recinti appartenessero alle famiglie e quali alle
corporazioni. Probabilmente i più antichi sepolcri, riservati alla
famiglia, erano quelli dell’edicola, mentre quelli esterni furono
successivamente, per mancanza di sorveglianza, invasi dagli intrusi.
Anche fuori dai recinti vi erano dei sepolcri, con un
segno esterno, quali tumuli a spiovente o arcuati e pietre tombali
rettangolari, costruiti con solida muratura cementizia intonacata e dipinta
di rosso, per proteggere la soprastante fossa, impedendo le esalazioni e con
saldata sui fianchi la lapidetta recante il nome del defunto.
Era una delle prime volte che in Sicilia si segnalava
una struttura tombale simile, che è perdurata fino ad oggi, nei poveri e
montani cimiteri di alcune parti della Sicilia e della Calabria. Questa struttura sepolcrale rappresenta, inoltre, un
evidente segno della transizione dal paganesimo al cristianesimo, quando,
per la prima volta, si apporranno alle tombe le steli epigrafiche, appunto.
Con la necropoli della Prefettura l’archeologia
siciliana acquisisce, quindi, una nuova forma di sepolcro, caratteristica di
questa zona dell’isola, povera di rocce e di pietra da taglio; è infatti la
condizione litografica che regola la struttura sepolcrale.
Le diverse forme sepolcrali riconosciute a S. Placido
sono: recinti, edicole, tumuli a spiovente, pietre tombali in fabbrica,
casse in muratura o di mattoni, di lastre marmoree, o di tegole alla
cappuccina. A differenza di quanto avveniva nelle necropoli greche,
i corredi funebri sono, in questa necropoli, quasi nulli, ad eccezione di
pochi balsamari vitrei. Si sono riscontrati anche casi di ossilegium.
Il ritrovamento di un maggior numero di epigrafi
latine, rispetto a quelle greche, fa intuire un veloce processo di
romanizzazione di Messana , la cui grecità era stata turbata dall’invasione
dei Mamertini, che, pur usando il greco, aprirono le porte alla
latinizzazione della città; Messana, infatti, divenne “oppidum civium
Romanorum” verso il 684, cioè prima che tutti gli altri Siculi ottenessero
la cittadinanza da Cesare. La minor resistenza di Messana, rispetto a Rhegium, al
processo di romanizzazione è, dunque, dimostrata anche dalla necropoli di
S.Placido.
Alla luce del fatto che la popolazione della necropoli
parlava per la maggior parte latino, una domanda sorge spontanea: la
necropoli di S. Placido era riservata esclusivamente all’elemento latino? È
probabilmente da escludere, perché si dovrebbe altrimenti pensare alla
soppressione radicale di un intero popolo:quello greco, che continuava a
sopravvivere all’epoca nell’immigrazione dei Levantini, giunti in Messana ,
per motivi commerciali.
Quanto alla cronologia della necropoli, dalle monete
trovate nella bocca dei morti, e dall’esame dei titoli epigrafici, questa
risalirebbe al I-II sec. dell’impero. La necropoli della Prefettura, in conclusione,
arricchisce notevolmente le nostre conoscenze, così lacunose, sulla Messana
di epoca romana; non si tratta di rivelazioni altamente storiche, ma
sicuramente di dati topografici, rituali e di vita interna.
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