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  DALLA MAGIA AD HARRY POTTER
 

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Ernesto de Martino nacque a Napoli, nel 1908, laureandosi in Lettere presso l’università cittadina, nel 1932. La sua tesi trattava di Storia delle religioni sui gephyrismi eleusini. I suoi interessi, quindi, furono, sin dall’inizio, incentrati sulle discipline etnologiche.
Il giovane De Martino, non diversamente da molti altri, credendo nel regime fascista, si iscrisse ai GUF e alla Milizia Universitaria. Il suo trattato (mai pubblicato) "Saggio sulla religione civile", si inquadrò nella logica di quegli anni della Scuola di mistica fascista.
Tuttavia, dal 1936, con l’incontro di Benedetto Croce, De Martino iniziò un ripensamento personale, che lo portò a pubblicare, nel 1941, il testo Naturalismo e storicismo nell'etnologia. Fu lo stesso Croce a caldeggiare la pubblicazione del giovane etnologo, presso l’editore Laterza. Il saggio si basava sul pensiero dello stesso Croce e la sua filosofia storicista. Appoggiandosi proprio sul pensiero storicista del maestro, nel libro egli criticava sia la scuola sociologica francese, sia gli "pseudostorici" d’origine tedesca e viennese.

Durante la seconda guerra mondiale e negli anni appena successivi, Ernesto de Martino elabora un cambiamento di pensiero, sia politico che di studi. Il suo avvicinamento al pensiero di sinistra (prima socialista, poi comunista) lo fa protendere verso problematiche core lo stidio delle società contadine del mezzogiorno d’Italia. Sull’argomento pubblicherà diversi testi con un discreto successo. Ciononostante, sempre in questi anni, scrive uno dei suoi saggi più importanti: Il mondo magico, pubblicato nel 1948. Nel testo egli avanza, per la prima volta, la tesi storicista riguardante il magismo. Egli inquadra quest’ultimo come necessario, in una determinata fase storica, in cui l’uomo non dominava ancora la natura, per ritrovare un equilibrio. Questa è la tesi, che De Martino portò avanti nel successivo lavoro, incentrata  sul "magismo etnologico".
Nel proseguo della sua attività di ricerca sul campo, egli modernamente utilizzò un team di studiosi, in un ottica a tutto tondo. Nella sua ricerca sul Salento, ad esempio, egli si avvalse di:  un'antropologa culturale, un etnomusicologo, un medico, uno psichiatra, una psicologa e di uno storico delle religioni. Del suo gruppo, inoltre, faceva parte anche  un documentarista cinematografico, utile per il rapporto con i nuovi media. Numerose furono le pubblicazioni successive, in particolare la raccolta di testi, Furore Simbolo Valore (del 1962).
Con la sua attività , De Martino ebbe contatti con moltissimi studiosi, collaborando con prestigiose università, come  l'Università "La Sapienza" di Roma, con il professore Raffaele Pettazzoni.
Dal 1957 fino al 1965 (anno della sua morte), insegnò all'Università di Cagliari. Ebbe numerosissimi allievi che hanno portato avanti la sua eredità culturale. Diverse sono state le sue pubblicazioni postume, tra cui La fine del mondo, editata nel 1977.

Il suo concetto di “presenza”
Nel pensiero di Ernesto de Martino il concetto di presenza finisce per trovare un collegamento con quello di "tradizione". Nell’uomo, infatti, il pensiero e la memoria degli avvenimenti e delle persone del passato, dà significato ad esso stesso nelle crisi provocate dalla natura. Con esso sia l’uomo che le circostanze acquistano un senso. La ritualità sociale del gruppo crea modelli di comportamento ed esistenza. Le tradizioni, così concepite, danno significato sociale e inducono comportamenti logici o comunque ad esse collegate.  Semplicemente, permettevano all’individuo la "possibilità di esserci in una storia umana". Egli riteneva, inoltre, che questo significato sociale fosse, a volte, il contenuto di oggetti, che divenivano, così,  altamente simbolici.
Ma quali sono le crisi naturali proprie della presenza umana? Le più importanti sono, ad esempio, la malattia, i conflitti morali, ovviamente la morte di una persona cara o la migrazione verso altri siti. Tutti questi fattori creano nell’uomo un senso di perdita delle certezze e spaesamento. Queste crisi della presenza rendono l’uomo inadeguato sia nell’agire che nel decidere il da farsi. Le tradizioni legate a questi fatti, possiedono un senso e una ritualità di cui servirsi in aiuto. Anche le mutazioni di carattere sociale originano crisi inaspettate, come, ad esempio, il nuovo ruolo sociale della donna negli ultimi decenni.

Da etnologo e da studioso della storia delle religioni, nella crisi più grande della presenza dell’uomo, cioè la morte, egli studia il significato consolatorio del cristianesimo di fronte al mistero più grande. Il riferimento alla morte del Cristo e la sua risurrezione, oltre al significato religioso, serve a De Martino per constatare l’efficacia sociale tipica della nuda tradizione. In ausilio alla sua teoria, egli citava il pianto funebre (tipico nel mediterraneo delle società classiche) ed il cordoglio  rituale. La tradizione, che cerca di evitare la crisi esistenziale, che ogni uomo corre, presenta elaborazioni culturali, come il lutto, codificate  socialmente nello stesso rito

 

 
 
 
 
 

 
 
 
 

   
 
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