L’antropologo americano Clifford
James Geertz, nato nel 1926, col
suo lavoro si pone in posizione
polemica con altre correnti
europee, come l’antropologia
sociale britannica, e
dell'antropologia strutturale del
francese Claude Lévi-Strauss.
Al centro del dibattito, Geertz
pose il metodo di studio sul campo
della ricerca etnologica. La
presenza e l’esperienza reale, a
suo avviso, possono ottenere
maggiori risultati solo attraverso
la decodificazione del sistema di
significati che i nativi legano
alla loro vita sociale nel gruppo.
Le teorie che Geertz
svolgerà nel suo lavoro, possono
apparire ambivalenti o incerte. In
realtà egli vive in un momento di
crisi e di passaggio
dell’antropologia, posizionandosi
proprio tra le teorie classiche e
i nuovi sviluppi. In sostanza egli
si colloca a metà strada tra le
realtà locali analizzate sul campo
ed il desiderio, mai nascosto
nella disciplina, di estrarne
teorie o leggi universali.
Infatti, Geertz non dà una
definizione unica di cultura e
perciò viene tacciato di
ambiguità. In alcuni casi egli
parla di cultura come insieme di
significati, altre volte come
insieme di costumi. Concepita,
inoltre, come dato oggettivo ed
autonomo, essa varia tra fatto
naturale ed entità teorica.
Nonostante le sue critiche al
concetto tyloriano, che vuole la
cultura come entità complessa,
Geertz ne fa ricorso più volte,
come ad esempio, quando definisce
la tradizione dei giavanesi e dei
balinesi come “modello totale di
vita sociale”. Egli afferma
che: “è attraverso i modelli
culturali, agglomerati ordinati di
simboli significanti, che l’uomo
dà un senso agli avvenimenti che
vive”. A suo avviso, quindi, il
raccordo tra la società e il
singolo individuo è dato proprio
dalla cultura condivisa.
Il
“testo” sociale
Come abbiamo visto,
il modello tyloriano, intendeva la
cultura come un insieme complesso.
Nell’intento di andare oltre,
Geertz cerca un ripensamento
dell’intero ordine
dell’antropologia del tempo. Per
ottenere questa riconfigurazione,
egli parte dal concetto di Max
Weber, che vuole l’uomo come
“animale sospeso fra ragnatele di
significati che egli stesso ha
tessuto”. La cultura, quindi si
può intendere come un “testo”
redatto dai nativi. Al significato
del gruppo, imprescindibile, si
può affiancare l’interpretazione
dell’antropologo. Quest’ultima
sarebbe, quindi,
un’interpretazione di
un’interpretazione. Il ricercatore
nel suo ordine mentale, i suoi
significati e leggi, non può, in
ogni caso, che essere subalterno
all’ordine di livello locale.
Ciononostante, se la cultura resta
come tale, l’antropologia, pur non
potendo essere una scienza
sperimentale, può comunque cercare
significati simbolici e leggi
generali.
La teoria di
Geertz, quindi, si basa sul
concetto di interpretazione.
Tuttavia, essendo
l’interpretazione un fattore
“aperto”, Geertz avvertì i suoi
colleghi dall’estrarne teorie. Il
suo puinto di vista sembrò
rifiutare quello degli altri. Fu
accusato, perciò di
“interpretazionismo”: Inoltre, se
il livello della cultura dei
nativi era primario, quello
dell’antropologo sembrò essere di
secondo grado. La cultura del
ricercatore, inoltre, poteva
inquinare la sua interpretazione.
L’etnografia "densa"
Al concetto di
interpretazione, Geertz aggiunge
quello di “descrisione densa” (qui
l’antropologo si rifà al filosofo
Ryle). Si parte dal punto in
cui un testo sociale non contiene
l’interpretazione di un unico
soggetto, ma quelle di diversi
attori del gruppo. Innanzi
tutto, egli approfondisce il
concetto di etnografica "densa".
Partendo dalla distinzione tra tic
involontario ed ammiccamenti,
definisce un comportamento
naturale distinto da quello
volontario, quindi significante.
Quest’ultimo deve essere il vero
obiettivo della ricerca
etnografica. E’ noto,
comunque, che la realtà sociale
che si va a descrivere è sempre
molto più complessa di una
semplice definizione teorica.
Bisogna quindi prendere atto che
la semplificazione della scienza
non è qui applicabile.
Nell’estrazione di una struttura
logica chiarificatrice, sappiamo
che rimane una semplificazione di
una realtà molto più complessa e
irraggiungibile. Si tratta quindi
di un’approssimazione. Geertz,
in funzione dell’idea di
descrizione densa, elabora due
concetti principali: concetti
vicini all'esperienza e
concetti lontani dall'esperienza.
Il concetto vicino si basa sul
fatto che l’antropologo usa nelle
descrizioni, parole e termini
usuali. Tuttavia questi ultimi
hanno già dei significati propri.
L’ascoltatore, quindi, potrebbe
esserne influenzato, cambiando la
percezione del significato della
frase stessa. L’etnografia, perciò
si muove tra i concetti e i
termini vicini alla popolazione
studiata, e i concetti e i termini
dell’antropologo, aventi già un
altro significato. In più il
tentativo di esprimere parole
distaccate e fredde, in sostanza
“scientifiche”, poco rendono i
diversi contenuti.
In
conclusione, l’uomo esiste nella
condivisione sociale di simboli e
significati. Perciò, è solo
all’interno di una cultura
accettata, che svolge il suo ruolo
di animale intelligente.
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