Pochi
sanno che dietro a grandi nomi
legati al verismo, come Capuana e
Verga, vi è un ferreo ricercatore
del folclore regionale siciliano.
Il suo nome è Giuseppe Pitrè. Nato
e morto a Palermo, dedicò la sua
vita a ricerche etnoantropologiche
sulla Sicilia. Fu tra i primi in
questo campo. Fu d’esempio ai
posteri e maestro di altri
ricercatori, come, ad esempio,
Salvatore Salomone Marino. A lui è
denominato il Museo Etnografico di
Palermo.
Per sottolineare la vastità
delle sue ricerche sugli usi e i
costumi del popolo siciliano,
basta citare i numerosi settori
che il museo oggi comprende, come,
ad esempio, “le credenze, i
miti, le consuetudini, le
tradizioni di Sicilia (la casa,
filatura e tessitura, arredi e
corredi, i costumi, le ceramiche,
l’arte dei pastori, caccia e
pesca, agricoltura e pastorizia,
arti e mestieri, i veicoli, il
carretto siciliano, i
pupi, il carro del festino, le
pitture su vetro, le
confraternite, i presepi, i giochi
fanciulleschi, la magia, gli ex
voto, pani e dolci festivi.”
Alle sue ricerche, infatti, si
ispirarono Luigi Capuana per le
sue fiabe per bambini, mentre
Giovanni Verga le tramutò,
addirittura, in un racconto,
intitolato Guerra di Santi.
In particolare, le fiabe (come
i proverbi) che egli raccolse
nella sua monumentale opera ,
colpirono, una volta pubblicate,
la fantasia e l’interesse di
molti. Verso la fine della sua
vita, uscirono in libreria.
addirittura in America, con grande
successo (grazie alla casa
editrice Crane). Il mondo così
scoprì il personaggio di Giufà,
legato strettamente, alla
tradizione popolare siciliana.
Alla fine dell’Ottocento,
com’è noto, si ebbe il Verismo,
non solo nella letteratura, ma
anche nella musica. Tra gli autori
di questa, ricordiamo Francesco
Paolo Frontini, musicista
catanese. Tra le sue numerose
composizioni, spiccano quelle
basate sulla musica e le canzoni
popolari. Egli traghettò il
verismo musicale anche nel primo
Novecento, quando, però, questa
corrente si ridusse ad arte
regionale e locale, presente solo
nell’Italia meridionale. Frontini,
al suo apice, dialogò, ovviamente,
con la cultura del suo tempo,
quindi anche con Capuana ed il
Pitrè..
Giuseppe Pitrè è
considerato il capostipite della
pratica etnografica in
Italia. Ma più che un problema
di tempo, Pitrè si impose per il
suo metodo d’indagine, e per
l’ordine e la sistemazione
sistematica del materiale
raccolto. Le sue ricerche sul
folclore siciliano rappresentano
tutt’oggi una solida base di
partenza.
La sua
vita Come detto, Pitrè
nacque nella città di Palermo. Ci
si potrebbe aspettare da famiglia
agiata. Invece apparteneva ad una
famiglia di umili origini. Il
padre, marinaio, morì di febbre
gialla in uno dei suoi viaggi.
Ciononostante, Pitrè riuscì a
laurearsi in medicina. La sua
grande personalità, curiosa e
fattiva, lo portò, mentre ancora
studiava, a pubblicare Il testo di
Profili biografici
contemporanei e vari articoli
bibliografici. Nello stesso
periodo egli collaborò con la
Civiltà italiana di
A. De Gubernatis. Una
volta laureato si mise a svolgere
il suo compito professionale. Ma
non fu un medico per ricchi. La
sua pratica quotidiana lo portò a
frequentare povere famiglie,
perlopiù di contadini. A ben
vedere il suo futuro era già
segnato in partenza. Poiché la
madre aveva una grande conoscenza
di canti popolari (lui la definì “la
mia Biblioteca delle tradizioni
popolari siciliane”), iniziò a
fare ricerche tra i suoi stessi
pazienti, pubblicando il suo primo
libro su Canti popolari
siciliani.
Partendo da
questo primo gradini (l’opera
costituì i primi due volumi),
Giuseppe Pitrè realizzò
successivamente approfonditi
studi su tutto quello che
riguardava la cultura ed il
folclore dei siciliani. Un lavoro
immane, frutto di passione e
amore.. Tra il '70 e il '71
dell’Ottocento, iniziò a tirare le
sue prime somme, con la
pubblicazione della Biblioteca
delle tradizioni popolari
siciliane (nel 1871),. Il
lavoro era tale che fu completato
solo nel 1913. L’opera si
componeva di venticinque volumi.
La sua piccola “enciclopedia”
popolare nasce dalla sua
convinzione di raccogliere e
custodire il maggior numero di
informazioni sulla classe
popolare, informazioni molto
spesso esclusivamente orali e
quindi a rischio d’essere
dimenticate. La sua opera tocca un
gran numero di argomenti
riguardanti la cultura popolare,
ma anche aspetti apparentemente
secondari. Nell’opera si trovano,
ad esempio, i giochi o i proverbi
e gli indovinelli, le feste, in
particolare il Natale e la festa
dei defunti, la medicina o gli usi
nuziali del popolo.
Ciononostante, la raccolta di
testimonianze non è fine a se
stessa, uno studio puramente
teorico. AI dati egli aggiunse
studi critici, che ne
sottolineavano l’importanza
storica e sociale. Durante le
ricerche egli trattò anche di
queste, rivelandone lo stato e la
complessità. Nelle sue
investigazione Pitrè non si limitò
alla Sicilia, ma le estese a varie
regioni italiane, sia per le
differenze in un raffronto con il
materiale raccolto, sia a
sottolinearne le varie
caratteristiche etnografiche. |
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