Nell’Età classica
Il mito di Atlantide
non presenta riferimenti ad altre
narrazioni, al di fuori di Platone. Tutti
gli storici che ne parlano sembrano
rifarsi direttamente al filosofo greco. Se
alcuni scrittori dell’antichità accettano
l’esistenza storica di Atlantide, molti
altri la liquidano come totalmente
inventata. E’ il caso dello stesso
Aristotele, allievo di Platone, che
scrisse: "L'uomo che l'ha sognata, l'ha
anche fatta scomparire.” Tuttavia,
nell’antichità molti furono coloro che
ritennero vera la storia della misteriosa
isola. Tra questi troviamo il filosofo
Crantore da Soli, allievo di Senocrate, ma
anche Strabone e Posidonio. Nel III secolo
a.C. un filosofo neoplatonico, Zotico,
compose un poema epico, sulla falsariga
della narrazione platonica. Un caso a
parte è quello dello storico Teopompo
di Chio, che scrisse di Meropide (cioè
terra di Merope), anch’essa isola
nell’Atlantico. Ispirandosi ad Atlantide,
lo scrittore mette insieme una parodia
comica e dalle esagerazioni grottesche
dell’antico mito. Nel IV secolo d.C.
Ammiano Marcellino, storico romano, cita
Timagene, storico del I secolo a.C., che
dissertando sui Druidi della Gallia,
riferiva che una parte di questi erano
emigrati in quelle zone provenienti da
isole lontane. Ammiano intendeva da "isole
e terre oltre il Reno” (Britannia, Olanda
o Germania), ma molti ritennero che “isole
lontane” potessero avere riferimento
proprio ad Atlantide, l’isola di Platone.
Nell’Età moderna Il
racconto platoniano, riscoperto dagli
umanisti, ispirò, come detto, la
letteratura utopistica del Rinascimento.
Il Mito di Atlantide trovò facile
riferimento alla scoperta delle Americhe,
che andavano facendosi. Nel 1627, infatti,
Francesco Bacone, ne La nuova Atlantide,
narra di una società perfetta, chiamata
Bensalem , posta oltre la costa
occidentale americana (non si sa se
settentrionale o meridionale). Gli
abitanti, nel racconto, asserivano di
provenire proprio dall’Atlantide
scomparsa, con chiari riferimenti al testo
di Platone. Alla fine del XVII secolo
Olaus Rudbeck, scienziato svedese, in
Atlantica (Atland eller Manheim),
sostenne, non solo che la Svezia
coincidesse con Atlantide, vera culla
della civiltà mondiale, ma anche che lo
svedese era la lingua di Adamo, da cui
nacquero tutte le altre lingue, compreso
l’ebraico ed il latino. Anche Isaac
Newton portò avanti studi sui possibili
collegamenti del Mito platoniano nel testo
The Chronology of the Ancient Kingdoms
Amended, uscito postumo nel 1728.
Nell’Ottocento La
fantasia, riferita ad Atlantide, non manca
nell’Ottocento. Una serie di studiosi (tra
i quali Charles-Etienne Brasseur de
Bourbourg, Edward Herbert Thompson e
Augustus Le Plongeon) tentarono di
collegare il racconto mitologico con le
culture mesoamericane, in particolare Maya
e l’Azteca. Ma fu il libro di Ignatius L.
Donnelly, Atlantis: the
Antediluvian World, a sintetizzare le
diverse opinioni. Il Donnelly, infatti,
affermò che tutte le culture antiche
ebbero origine da quella del Neolitico di
Atlantide. Il merito del saggio, comunque,
sta non solo nella nuova teoria quanto nel
suo successo editoriale, che portò a
conoscenza al grande pubblico il racconto
di Platone.
Evidentemente il nuovo
successo mediatico suscitò molte altre
teorie. Alla fine dell’Ottocento le
civiltà perdute erano diventate tre:
Atlantide, la terra di Mu e Lemuria.
Helena Blavatsky, ne La dottrina
segreta (del 1888), immaginò gli
abitanti di Atlantide come dediti
principalmente alle cose culturali,
facenti parte della "Razza radicale"
, a cui seguì la "razza ariana". Rudolf
Steiner scrisse un saggio incentrato
sull'evoluzione culturale delle genti di
Mu o Atlantide.
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