La Sicilia è stata a
luogo fulcro e insieme sintesi
delle tradizioni, delle esperienze
conoscitive e produttive della
civiltà e della cultura
mediterranea, in particolare sul
versante dell’alimentazion
e l'isola ha assorbito e
rielaborato in modo originale le
essenze e i profumi della terra,
con gli aromi ed i sapori lasciati
dai diversi popoli che in essa si
sono succeduti. Nella storia della
Sicilia terra e grano sono stati
per secoli una cosa sola e il
paesaggio siciliano è stato luogo
plasmato e modellato dai cicli
vegetativi di questa pianta, ma se
cereali e legumi sono stati, e lo
sono ancora per molti aspetti,
elementi dominanti della cucina e
del paesaggio agrario della
regione, ciò è dovuto sia a
ragioni storico-culturali che
climatiche e ambientali.
Le lontanissime origini
della cerealicoltura, in Sicilia
sono infatti confermate da
rinvenimenti archeologici di
macine e di altri reperti, di
industrie domestiche risalenti
alla cultura di Stentinello, ed in
generale è stato documentato con
certezza il primato del ruolo del
grano nella coltivazione e nelle
abitudini alimentari dei
siciliani, come ci testimonia
Plinio il Vecchio, che nel De
Naturalis Historia afferma: "Ceres
frumenta, quum antea glande
vescerentur, eadem molere et
conficere in Attica, et alia in
Sicilia, ob id dea iudicata"(
Cerere trovò il frumento, mentre
prima si viveva di ghiande, lei
stessa insegnò a macinare e a fare
il pane in Attica e in Sicilia,
per questo fu tenuta per dea). In
effetti mentre in Veneto ma anche
in Sardegna ed in Calabria si
producevano farinate a base di
orzo di segale, se non di castagne
o di ghiande, e il frumento era
riservato solo al ceti più
elevati, in Sicilia già dal
trecento i contadini si nutrivano
di pane ottenuto da farine di solo
grano. Storicamente l’isola fu
dapprima granaio o della Grecia ed
in seguito dell'impero Romano, ma
conservò il primato nella
produzione del frumento sia
durante la dominazione bizantina
che araba, questo cereale ha
rappresentato, dunque in ogni
epoca il più importante prodotto
del commercio della Sicilia.
diretto verso diversi
mercati:Liguria, Venezia, Toscana,
Catalogna, ed anche verso l’Africa
settentrionale.
Il declino della
granicoltura siciliana è in
effetti un fatto sostanzialmente
recente, e comincia a partire
dall’unificazione, dopo oltre
duemila anni in supremazia
commerciale sul Mediterraneo,
l'isola perdeva definitivamente lo
storico ruolo di granaio cioè di
paese produttore ed esportatore
per assumere quello di semplice
mercato di consumo e di
importazione. Le ragioni di questo
declino sono complesse, e si
devono sia alla crisi del grano
duro entrato in concorrenza con le
farine americane, ma soprattutto
al notevole ritardo dei processi
di meccanizzazione delle tecniche
di lavoro, causato dal permanere
di un sistema di proprietà
feudale, e dal latifondismo
assenteista.
Grazie alla grande
diffusione del grano in tutto il
bacino mediterraneo ed in
particolare in Sicilia, fin
dall'antichità gli abitanti di
quest’area si sono alimentati
soprattutto di pane, a differenza
di altri popoli che hanno
preferito (o dovuto ) mangiare
farinate e gallette. In effetti il
pane è stato elemento di coesione
delle popolazioni mediterranee, in
quanto nella pratica millenaria
delle tecniche agricole necessarie
per la produzione di questo
alimento base della loro
alimentazione, "esse hanno
percorso esperienze comuni,
fondando le proprie radici
culturali in quella che si può
definire civiltà del pane luogo
mitico e storico delle nostre
origini". Gallette di pasta
lievitata cotte su pietre
riscaldate esistevano già dal
Neolitico, ma secondo una
leggenda. sembra che la storia del
pane cominci in Egitto diecimila
anni prima della nascita di
Cristo, qui durante una delle sue
piene il Nilo penetrò nei
magazzini imperiali dov’era
racchiusa la farina e diede vita
all'impasto, inoltre secondo la
leggenda furono sempre gli Egizi
ad usare la pasta fermentata ed il
forno per ottenere per ottenere
pane più morbido, mentre la
tradizione popolare siciliana
attribuisce la scoperta della
lievitazione alla Madonna.
Importanti per l'eredità che hanno
lasciato in Sicilia sono le
conoscenze dei greci, in proposito
lo storico Ateneo ci fornisce
tutta una serie di notizie
sull’argomento ed un elenco di
pani, oltre alle gallette d'orzo e
di segale, abbiamo le tonde
pagnotte di farina di grano come
la "kollura", giunta fino a noi
con il termine dialettale di
"cuddura", che nella sua tipologia
più semplice o in forme più
complesse trova oggi ampi
diffusione in tutta la Sicilia; ci
sono poi dei pani rotondi a
quattro tacche che sono uguali a
quelli che oggi si preparano per i
morti. Inoltre scrittori sia greci
che latini testimoniano la
diffusione del culto di Demetra
dea delle messi per i Greci,
corrispondente alla dea Cerere per
i romani, e lo stesso Ateneo
afferrata che durante le
Tesmoforie, feste annuali
primaverili che si celebravano in
Sicilia in onore di Demetra e
Kore. si preparavano delle focacce
di sesamo e miele
raffiguranti gli organi femminili,
proprio per celebrare e propiziare
la fertilità dei raccolti.
I romani invece si
nutrirono per molto tempo di puls
una polenta a base di miglio e
farro, finché non vennero a
contatto cori i greci che
insegnarono loro l'uso del lievito
e della panificazione, da allora
il pane non mancherà sulla tavola
dei romani, che ne produrranno
diversi tipi e a seconda dell’uso
e del grado sociale dei
consumatori. Il pane più usuale e
diffuso era il quadra panis. a
forma di emisfero e diviso in
superficie in quattro parti, ma in
genere si può dire che vi erano
tre qualità di pane: il pane nero
(plebeius, castrensis, rusticus,
sordidus) consumato dalle classi
meno abbienti e ottenuto con
farina miscelata al cruschello, il
panis secundarius più bianco, ma
non finissimo e il pane di lusso
(panis candidus, mundus o palatius
destinato alla tavola imperiale).
Pani particolari erano l’ador
destinato ai sacrifici,
l'ostrearius che sì mangiava con
le ostriche, il nauticus a lunga
durata preparato per le flotte, il
madidus un impasto di farina usato
dalle matrone per degli impacchi
per il viso, il gradilis invece di
qualità molto scadente veniva
distribuito gratuitamente al
pubblico nell’anfiteatro,
nell’ambito di quella politica
imperiale che attraverso
l’assistenzialismo voleva ottenere
il consenso sociale, cosa che
dettò allo scrittore Giovenale la
proverbiale espressione "panem et
circenses". La produzione del pane
era allora affidata ai fornai
romani riuniti nel collegio dei
pistores, che in cambio di
regolare approvvigionamento erano
esonerati da ogni tassa, mentre i
numerosi forni pubblici erano
forniti di cereali dalle province
dell’impero prima fra tutte la
Sicilia.
In epoca cristiana il
pane si è ormai diffuso ed è
penetrato nella vita quotidiana
tanto da assumere un valore
simbolico nelle parabole che Gesù
narrava e nei miracoli che
compiva, la Bibbia ad esempio fa
cenno ai pani azzimi che venivano
offerti a Dio per celebrare la
Pasqua ebraica, ma in genere nei
primi secoli dopo Cristo i
riferimenti letterari al pane si
riscontrano nei testi liturgici e
nelle preghiere diffuse in tutte
la comunità cristiane, ed in
particolare una certa varietà di
motivi e forme simboliche si
rileva nell'iconografia
paleocristiana della Sicilia.
L'antichità classica e il
cristianesimo dunque rappresentano
senz'altro i due momenti che nel
tempo, fino al nostri giorni,
determinano in linea di massima le
varietà morfologiche del pane,
alla cui base vi è però un
complesso di ideologie, di
rivolgimenti sociali e di costume.
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