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  LE TRADIZIONI DEL PANE
 

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di Giuseppina Mento

 
 

La Sicilia è stata a luogo fulcro e insieme sintesi delle tradizioni, delle esperienze conoscitive e produttive della civiltà e della cultura mediterranea, in particolare sul versante dell’alimentazion

e l'isola ha assorbito e rielaborato in modo originale le essenze e i profumi della terra, con gli aromi ed i sapori lasciati dai diversi popoli che in essa si sono succeduti. Nella storia della Sicilia terra e grano sono stati per secoli una cosa sola e il paesaggio siciliano è stato luogo plasmato e modellato dai cicli vegetativi di questa pianta, ma se cereali e legumi sono stati, e lo sono ancora per molti aspetti, elementi dominanti della cucina e del paesaggio agrario della regione, ciò è dovuto sia a ragioni storico-culturali che climatiche e ambientali.

Le lontanissime origini della cerealicoltura, in Sicilia sono infatti confermate da rinvenimenti archeologici di macine e di altri reperti, di industrie domestiche risalenti alla cultura di Stentinello, ed in generale è stato documentato con certezza il primato del ruolo del grano nella coltivazione e nelle abitudini alimentari dei siciliani, come ci testimonia Plinio il Vecchio, che nel De Naturalis Historia afferma: "Ceres frumenta, quum antea glande vescerentur, eadem molere et conficere in Attica, et alia in Sicilia, ob id dea iudicata"( Cerere trovò il frumento, mentre prima si viveva di ghiande, lei stessa insegnò a macinare e a fare il pane in Attica e in Sicilia, per questo fu tenuta per dea). In effetti mentre in Veneto ma anche in Sardegna ed in Calabria si producevano farinate a base di orzo di segale, se non di castagne o di ghiande, e il frumento era riservato solo al ceti più elevati, in Sicilia già dal trecento i contadini si nutrivano di pane ottenuto da farine di solo grano. Storicamente l’isola fu dapprima granaio o della Grecia ed in seguito dell'impero Romano, ma conservò il primato nella produzione del frumento sia durante la dominazione bizantina che araba, questo cereale ha rappresentato, dunque in ogni epoca il più importante prodotto del commercio della Sicilia. diretto verso diversi mercati:Liguria, Venezia, Toscana, Catalogna, ed anche verso l’Africa settentrionale.

Il declino della granicoltura siciliana è in effetti un fatto sostanzialmente recente, e comincia a partire dall’unificazione, dopo oltre duemila anni in supremazia commerciale sul Mediterraneo, l'isola perdeva definitivamente lo storico ruolo di granaio cioè di paese produttore ed esportatore per assumere quello di semplice mercato di consumo e di importazione. Le ragioni di questo declino sono complesse, e si devono sia alla crisi del grano duro entrato in concorrenza con le farine americane, ma soprattutto al notevole ritardo dei processi di meccanizzazione delle tecniche di lavoro, causato dal permanere di un sistema di proprietà feudale, e dal latifondismo assenteista.

Grazie alla grande diffusione del grano in tutto il bacino mediterraneo ed in particolare in Sicilia, fin dall'antichità gli abitanti di quest’area si sono alimentati soprattutto di pane, a differenza di altri popoli che hanno preferito (o dovuto ) mangiare farinate e gallette. In effetti il pane è stato elemento di coesione delle popolazioni mediterranee, in quanto nella pratica millenaria delle tecniche agricole necessarie per la produzione di questo alimento base della loro alimentazione, "esse hanno percorso esperienze comuni, fondando le proprie radici culturali in quella che si può definire civiltà del pane luogo mitico e storico delle nostre origini". Gallette di pasta lievitata cotte su pietre riscaldate esistevano già dal Neolitico, ma secondo una leggenda. sembra che la storia del pane cominci in Egitto diecimila anni prima della nascita di Cristo, qui durante una delle sue piene il Nilo penetrò nei magazzini imperiali dov’era racchiusa la farina e diede vita all'impasto, inoltre secondo la leggenda furono sempre gli Egizi ad usare la pasta fermentata ed il forno per ottenere per ottenere pane più morbido, mentre la tradizione popolare siciliana attribuisce la scoperta della lievitazione alla Madonna. Importanti per l'eredità che hanno lasciato in Sicilia sono le conoscenze dei greci, in proposito lo storico Ateneo ci fornisce tutta una serie di notizie sull’argomento ed un elenco di pani, oltre alle gallette d'orzo e di segale, abbiamo le tonde pagnotte di farina di grano come la "kollura", giunta fino a noi con il termine dialettale di "cuddura", che nella sua tipologia più semplice o in forme più complesse trova oggi ampi diffusione in tutta la Sicilia; ci sono poi dei pani rotondi a quattro tacche che sono uguali a quelli che oggi si preparano per i morti. Inoltre scrittori sia greci che latini testimoniano la diffusione del culto di Demetra dea delle messi per i Greci, corrispondente alla dea Cerere per i romani, e lo stesso Ateneo afferrata che durante le Tesmoforie, feste annuali primaverili che si celebravano in Sicilia in onore di Demetra e Kore. si preparavano delle focacce di sesamo e miele  raffiguranti gli organi femminili, proprio per celebrare e propiziare la fertilità dei raccolti.

I romani invece si nutrirono per molto tempo di puls una polenta a base di miglio e farro, finché non vennero a contatto cori i greci che insegnarono loro l'uso del lievito e della panificazione, da allora il pane non mancherà sulla tavola dei romani, che ne produrranno diversi tipi e a seconda dell’uso e del grado sociale dei consumatori. Il pane più usuale e diffuso era il quadra panis. a forma di emisfero e diviso in superficie in quattro parti, ma in genere si può dire che vi erano tre qualità di pane: il pane nero (plebeius, castrensis, rusticus, sordidus) consumato dalle classi meno abbienti e ottenuto con farina miscelata al cruschello, il panis secundarius più bianco, ma non finissimo e il pane di lusso (panis candidus, mundus o palatius destinato alla tavola imperiale). Pani particolari erano l’ador destinato ai sacrifici, l'ostrearius che sì mangiava con le ostriche, il nauticus a lunga durata preparato per le flotte, il madidus un impasto di farina usato dalle matrone per degli impacchi per il viso, il gradilis invece di qualità molto scadente veniva distribuito gratuitamente al pubblico nell’anfiteatro, nell’ambito di quella politica imperiale che attraverso l’assistenzialismo voleva ottenere il consenso sociale, cosa che dettò allo scrittore Giovenale la proverbiale espressione "panem et circenses". La produzione del pane era allora affidata ai fornai romani riuniti nel collegio dei pistores, che in cambio di regolare approvvigionamento erano esonerati da ogni tassa, mentre i numerosi forni pubblici erano forniti di cereali dalle province dell’impero prima fra tutte la Sicilia.

In epoca cristiana il pane si è ormai diffuso ed è penetrato nella vita quotidiana tanto da assumere un valore simbolico nelle parabole che Gesù narrava e nei miracoli che compiva, la Bibbia ad esempio fa cenno ai pani azzimi che venivano offerti a Dio per celebrare la Pasqua ebraica, ma in genere nei primi secoli dopo Cristo i riferimenti letterari al pane si riscontrano nei testi liturgici e nelle preghiere diffuse in tutte la comunità cristiane, ed in particolare una certa varietà di motivi e forme simboliche si rileva nell'iconografia paleocristiana della Sicilia. L'antichità classica e il cristianesimo dunque rappresentano senz'altro i due momenti che nel tempo, fino al nostri giorni, determinano in linea di massima le varietà morfologiche del pane, alla cui base vi è però un complesso di ideologie, di rivolgimenti sociali e di costume.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 

   
 
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