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 BREVE STORIA DEL TEATRO

Introduzione e
definizioni di Teatro

La rappresentazione del divino nei riti primitivi
Ai primordi del Teatro Greco
Nascita della terminologia teatrale
Costumi e maschere del teatro greco
I protagonisti del Teatro greco
…e la Commedia?
Il Teatro romano
Autori romani
Il Teatro medievale
Il Teatro rinascimentale
Altri autori rinascimentali
La commedia degli Zanni
Il Teatro seicentesco spagnolo
Il Teatro elisabettiano
Il Teatro classico francese
Il Teatro del Settecento in Italia
Il Teatro del Settecento in Germania
Il Teatro dell’Ottocento in Francia
Il Teatro dell’Ottocento in Inghilterra
Il Teatro dell’Ottocento in Italia
Tra Ottocento e Novecento in Italia
L’alba del XX secolo in Italia
Il teatro contemporaneo del Novecento
Nella seconda metà del Novecento

 
 
 
 

 

 

 
 
 
 
   

 

 
  Breve Storia del Teatro
Il Teatro dell’Ottocento in Italia
 
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In Italia, all’inizio del XIX secolo, abbiamo Silvio Pellico con " Francesca da Rimini", Pindemonte (autore di diverse tragedie, tra cui Arminio, del 1804, in cui si rileva l'influenza della poesia ossianica)., Vincenzo Monti (nel 1785 debuttò con grande successo con la tragedia Aristodemo), e Ugo Foscolo (Saul, Tieste, Ajace).
La grande personalità di  Manzoni (Il conte di Carmagnola, Adelchi) è alla ricerca di una modernità parallela a quella sociale. Egli supera le due unità aristoteliche di tempo e luogo, in nome della verità e della creatività dell’autore.

Ugo Foscolo (Zante, 6 febbraio 1778 – Turnham Green, Londra, 10 settembre 1827) si pone a cavallo fra Settecento e Ottocento, di cui è il principale esponente letterario italiano.  In questo momento di passaggio fanno la loro apparizione in Italia le correnti del Neoclassicismo, del Preromanticismo e del Romanticismo. Privo di fede religiosa, in quanto cresciuto alla scuola degli Illuministi, da cui ereditò il materialismo, Foscolo, come Goethe, avverte la potenza delle passioni interiori, ma le risolve tendendo continuamente nella sua vita all'armonia classica. Il suo legame con la sua isola greca d’origine di Zante (nota anche come Zacinto), a cui dedicò uno dei suoi 12 sonetti, è anche legame a quel mondo di ideali e valori classici da cui proveniva. I suoi ideali (l'amore per la patria, la libertà, la bellezza femminile, l'amicizia) li definì "illusioni", concependoli come vero bisogno dell’animo.
Le tre tragedie, Tieste, Ajace e Ricciarda, opere in cinque atti in versi, che rispettano la tradizione pseudoaristotelica e si svolgono nell'arco di una giornata, non ebbero tutte successo di pubblico. Composta nel 1795 e revisionata da Melchiorre Cesarotti, il Tieste venne messo in scena per la prima volta al teatro Sant'Angelo di Venezia il 4 gennaio 1797, con grande successo. Fu dedicato a Vittorio Alfieri e incluso nel X tomo del "Teatro moderno applaudito", una pubblicazione periodica dell’epoca. Stesso successo, invece, non ottenne l’Ajace, del 1810 - 1811, rappresentata alla Scala di Milano l'11 dicembre del 1811. Oltre ai fischi (l’opera oggettivamente è alquanto noiosa, basandosi su lunghi monologhi), scorgendo delle allusioni a Napoleone, fu censurata dalla polizia, che ne impedì ogni altra replica. La Ricciarda, forse la migliore delle tre, scritta nell'arco di tempo che va dal settembre 1812 ai primi di giugno del 1813, fu rappresentata a Bologna il 17 settembre del 1813, con rinnovato successo. Ambientata nel medioevo ed in versi endecasillabi sciolti, narra della storia d’amore contrastata tra Guido e Ricciarda, simile al Romeo e Giulietta di Shakespeare (la guerra tra Guelfo tiranno di Salerno, padre di Ricciarda, ed il fratellastro Averardo, padre di Guido). Fu pubblicata nel 1820 a Londra con una dedica a Lord John Russell.


Silvio Pellico (Saluzzo, 24 giugno 1789 – Torino, 31 gennaio 1854) è noto soprattutto come autore di Le mie prigioni, opera autobiografica, dove egli tratta della sua condanna al carcere duro nella fortezza di Spielberg, a Brno in Moravia. Condannato il 21 febbraio 1821, per la sua appartenenza alla setta segreta di tipo carbonaro dei presunti "Federati" (dove trovavano sviluppo idee liberali  rivolte alla costituzione di un’unità nazionale), ne venne liberato, nel 1830, con grazia imperiale. Molte sono le sue opere teatrali. Già da giovane redasse tragedie in versi, classiche per struttura,  come Laodamia ed Eufemio di Messina. Il 18 agosto 1815 a Milano andò in scena la sua tragedia più importante Francesca da Rimini. Ispirato al celebre passo dantesco, la storia trova uno svolgimento romantico e risorgimentale, proprio del periodo lombardo del Pellico.
Successivamente ai fatti che lo portarono allo Spilberg e alla pubblicazione, una volta liberato, de Le mie prigioni (che esercitò notevole influenza sul movimento risorgimentale), il Pellico scrisse altre tragedie teatrali, come Gismonda da Mendrisio, Leoniero, Erodiade, Tommaso Moro e Corradino.

Nipote di Cesare Bonesana, marchese di Beccaria (scrisse Dei delitti e delle pene), Alessandro Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873) è per tutti l’autore del romanzo I promessi sposi. La sua prima versione (con il titolo Fermo e Lucia) scritta tra il 1821 e il 1823, fu profondamente modificata e rieditata nel 1827, per poi essere trascritta in italiano (inizialmente era in dialetto milanese) ed essere pubblicata a dispense tra 1840 e il 1842.
Molti sanno della conversione del Manzoni, a causa della quale tra il 1812 e il 1822 concepì i cinque Inni sacri, dedicati a cinque festività religiose cattoliche. Nello stesso periodo compose le due tragedie, Il Conte di Carmagnola (1816) e Adelchi (1822), secondo un ripensamento delle “regole” teatrali: le unità drammatiche e l'uso del coro. Nella pubblicazione de Il Conte di Carmagnola, il Manzoni aggiunse una prefazione, cosa non usuale per i tempi. Il coro, essendo scisso dall’azione e dallo svolgimento di essa, era utilizzato spesso per riportare le riflessioni dell’autore. In linea teorica il protagonista ne era esente, e quindi puro nella sua espressione storica. Come aveva fatto notare, però, lo stesso Foscolo, i protagonista di una tragedia storica pronunciano parole mai dette e portano a termine azioni mai accadute.

I
l Manzoni per tale tragedia si ispirò, probabilmente, al libro Vite dei famosi capitani d'Italia (1804) di Francesco Lomonaco, che era stato medico personale. Il protagonista nell’opera è il capitano di ventura Francesco da Bussone, fatto conte da Filippo Maria Visconti, duca di Milano. Passato dalla parte dei Veneziani, aveva combattuto e vinto il suo antico padrone nella battaglia di Maclodio del 1427. Poiché non aveva ucciso i prigionieri fatti in battaglia, ma anzi li aveva liberati (come usavano i capitani di ventura), i veneziani, temendo un tradimento, tragicamente lo condannarono a morte. Sull'argomento della tragedia Manzoni si espresse a favore dell’innocenza del conte, ma studi recenti sembrano confermare la verità storica.
Nella tragedia  Adelchi, del 1822,  Alessandro Manzoni, narra le vicende di Adelchi, figlio di Desiderio, ultimo re dei Longobardi, che storicamente si svolsero tra il 772 e il 774, anno della caduta di Verona sotto il dominio di Carlo Magno e dei Franchi. La tragedia manzoniana presenta innovazioni quali, ad esempio, il dialogo tra Adelchi morente e il padre fatto prigioniero. Adelchi consola il padre ricordandogli che anche loro, prima della sconfitta ad opera di Carlo Magno, si erano imposti su altra gente. Entra nella tragedia la visione del Manzoni della ciclicità storica e il tema della Divina Provvidenza, base del suo successivo capolavoro dei Promessi Sposi.

Nella seconda metà dell’Ottocento, col naturalismo ed il verismo, appaiono sulla scena letteraria, scrittori come Verga (il teatro realista). Quest’ultimo ha un grande sviluppo in Russia, con Nikolaj Gogol ( Il revisore, I giocatori ecc.) e Alexander Ostrovskij e, nella seconda metà, Lev Tolstoj, Maksim Gor'kij e sopratutto Cechov (con analogie simboliste), che misero in scena gli strati sociali più bassi e poveri come denuncia sociale.

   
 
   
   
 
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