Agli inizi il teatro greco si rifaceva, nei misteri di
Eleusi, al culto di Osiride in Egitto, ma trasformatisi in
ricorrenze del ciclo delle stagioni agresti. Successivamente
presero piede le celebrazioni delle gesta di Dionisio,
uomo-dio, messe in scena a ricordo e commemorazione del dio
stesso. Esse, con una struttura elementare, consistevano in
frenetici girotondi di satiri ubriachi ed osceni. Ad essi
erano associati semplici canti corali. Con la formazione di
una lingua greca (grazie anche all’opera di Omero), fino a
Solone, nel 594 a.C,
ai cori e le danze si unirono le rappresentazioni degli
eroi e delle loro gesta memorabili. Nella Grecia Antica
alle feste rurali e locali, le Linee, dove si recitavano agoni
drammatici, seguivano, in inverno, le feste Dionisiache, che
per la loro importanza erano panelleniche. Dal V secolo a. C.
dette feste raggiunsero l’importanza che conosciamo, riflessa
nelle opere drammatiche giunte fino a noi.
L’”agonismo” degli
Agoni Dionisiaci Gli Agoni Dionisiaci furono istituiti,
per quanto riguarda la Tragedia, a partire dal 534 a. C., e
per la Commedia dal 486 a. C. Gli Agoni erano vere e proprie
gare tra autori e opere drammatiche. Esse prendevano il nome
dall’Arconte in carica, che aveva il compito di trovare i
finanziatori della messa in scena di quell’anno. Egli nominava
un "Corego" per poeta. Più era munifico il "Corego", migliore
era la messa in scena, con più probabilità di vittoria.
Naturalmente l’attribuzione dei finanziatori ai poeti avveniva
tramite sorteggio, com’era comune nell’antica Grecia. Il
Poeta, contemporaneamente, era regista, compositore,
coreografo e attore della propria tragedia. I giudici
deposti alla votazione finale delle opere, detti Kritai,
venivano anch’essi sorteggiati in ragione di uno su dieci
Demos, segnalati da ogni singola città. L’urna con i
sorteggiati veniva custodita nel tempio di Dionisio, fino
all’inizio dell’Agone. Aprire prima del tempo la famosa
“busta” era sanzionato o con l’esilio o, addirittura, con la
morte.
All’apertura della gara sacra veniva portato in teatro il
simulacro di Dionisio Eleuterio, si aprivano le urne con i
nomi dei Kritai e veniva letto il programma delle gare. A quel
punto iniziavano i festeggiamenti in onore a Dioniso, ma fuori
dal teatro. Erano seduti sulle prime file i notabili della
città, con al centro il trono per il massimo sacerdote di
Dioniso. Da rispettare era inizialmente per i
tragediografi la regola della trilogia: tre opere per tre
argomenti sacri specifici, decisi per quell’agone. Col tempo,
però, questa regola fu annullata in favore di una maggiore
libertà degli autori. Fu deciso, altresì, la presentazione di
un dramma satiresco in più: nacque, così, la tetralogia.
Inizialmente (nel V secolo a. C.) l'ordine di rappresentazione
era prestabilito: si iniziava con un dramma satiresco, poi
un’opera già conosciuta e infine quelle inedite. In epoca
successiva vennero rappresentate solo quest’ultime. All’inizio
vi era un solo attore, che fu portato a due con Eschilo, e a
tre con Sofocle. Seguentemente non variò più il numero degli
attori. Essi erano il protagonista, il deutoragonista e il
tritagonista. L’attore principale era il Protagonista che
manteneva una posizione preminente sugli altri due e sul coro.
Gli attori recitavano parti maschili e quelle femminili, o,
tramite il cambiamento della maschera e l’aggiunta di un
mantello, anche più di una parte. La funzione del Coro non
è da sottovalutare. Formato da coristi semi-professionisti,
pagati dal Corego, esso poteva passare da quindici fino a
cinquanta componenti (dipendeva, chiaramente, dalle
elargizioni del finanziatore). La sua era una funzione cardine
all’interno della Tragedia. Non solo interloquiva con il
Protagonista, ma commentava i passi stessi del dramma, in
tanti modi di riflettere l’azione: poteva, cioè, oltre che
commentare, anche commuoversi, compatire o addolorarsi per le
vicende. Non poteva, però, togliere al Protagonista le
decisioni o il governo stesso dell’opera drammatica. Il
tempo teatrale della rappresentazione nel Teatro Greco
collimava con la durata di una intera giornata, che a sua
volta poteva corrispondere con il tempo narrato nel testo.
Nell’Orestea di Eschilo, as esempio, l’azione comincia
all'alba concludendosi con il calare del giorno.
Il teatro nella sua
forma “drammatica” Se il teatro, dalla definizione
stessa, può indicare diversi tipi di spettacolo, è vero anche
che storicamente e sostanzialmente esso è rappresentato dal
Teatro drammatico. La triade, autore, attore e spettatori, a
volte, può ridursi a due (se l’attore è autore di se stesso),
ma difficilmente può non avere alla sua base un testo da
recitare e comunicare. Il teatro drammatico presuppone quindi
l'esistenza di un testo e di attori che lo interpretano, con
personaggi e storie in ambienti diversi dai propri.
Altrettanto generalmente si ritiene che la forma drammatica
sia legata alla presenza in scena di almeno due attori. I
monologhi raramente possono raggiungere l’intensità drammatica
di un contrasto tra almeno due personaggi. Il dialogo meglio
può costruire lo “scontro psicologico” tra essi. Bernard Shaw
scrisse «Non c'è opera teatrale senza conflitto»
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