Se il dramma greco ha immortalato i miti di quella
società, non bisogna pensare che la nobile arte drammatica,
non avesse un’altra faccia della medaglia. Come avverrà nel
medioevo, anche nell’antica Grecia esistevano gli attori
poveri girovaghi (ad esempio i Filiaci), che sollazzavano il
popolo nelle strade, su un palco di legno, con improvvisate
opere comiche e farsesche dal lieto fine. In questo teatro
estemporaneo vi erano presentati dei e uomini, eroi e gente
normale, soprattutto venivano rappresentati i problemi della
plebe e le sue paure, con un finale catartico in cui la
complessità era sciolta in una bella risata. Così nacquero
vere e proprie maschere del teatro dell’Arte, come quella del
famelico, dell'ubriacone, dell’indolente, del vecchio gravato
dalle disgrazie, e dell’erotico alla ricerca continua di
donne. Da questo retroterra nasce la commedia “nobile” di
Aristofane (450 a.C. circa – 388 a.C. circa). Minestrone
scoppiettante anch’essa di tempi,
luoghi e protagonisti, presentati contemporaneamente in
un turbine comico, la commedia di Aristofane si divide,
sostanzialmente, in due parti. La prima presenta i fatti e gli
antecedenti, la seconda, che segue la dichiarazione di intenti
del protagonista agli spettatori, porta alla conclusione,
attraverso lotte, conflitti e dispute, e alla dichiarazione
finale vittoriosa. Il coro interviene per raccomandare al
pubblico di non avercela con l’autore e l’opera si conclude a
tavola nel festeggiamento comico della buona sorte.
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