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La retorica nasce ad opera di due siracusani, Corace e Tisia, e alla diffusione, attorno al V secolo a.C.,  dei primi manuali dedicati alla disciplina. L’evidenza retorica si ha, però, con il filosofo sofista Gorgia che compose "L'encomio di Elena". Esso è, a tutti gli effetti, un'orazione epidittica, in cui cerca, con l’uso della parola, di dimostrare che Elena non è colpevole della guerra di Troia. Egli con lo scritto non vuole persuadere ma esortare. Con quest’opera si forma il concetto che la forza di un testo non sta nel contenuto, ma nell’energia persuasiva, nell'incisività. La parola ornata è considerata una forma d'arte sia negli scritti che nell’oratoria. La retorica studia e teorizza la pratica oratoria in funzione della persuasione, e cioè dell’assenso. Essendo un «discorso sul discorso», la retorica può essere considerata, anche, un metalinguaggio.

Poiché nell’epoca di Pericle ad Atene, si stabilì di dare a tutti il diritto di parola in pubblico, si iniziò nell’antica Grecia lo studio dell’efficacia di essa. Anche nell'educazione dei giovani una certa rilevanza era data allo studio della retorica e dell’arte oratoria. La retorica e l'oratoria divennero parte essenziale del bagaglio culturale di una persona d’alto rango. Quando,  nel 168 a.C., con la battaglia di Pidna, i Romani conquistarono la Grecia, vennero a contatto con la loro raffinata civiltà: molti degli aspetti di questa cultura si travasarono in quella dei loro conquistatori, compresa la prassi oratoria.
E’ inutile ricordare come la retorica abbia ottenuta estrema importanza nella cultura latina, sia forense che politica. Il culmine fu raggiunto con Cicerone e Quintiliano. Il primo fu splendido autore delle Verrine, orazioni scritte contro Verre, propretore della Sicilia. Il secondo con la sua Institutio oratoria, vera antologia della retorica classica fino ai suoi tempi.

Quando si parla di arte oratoria, il pensiero corre a Cicerone. La sua fama forense, politica e filosofica, ne fa incarnazione delle teorie stesse della retorica. Il suo stile si basava sullo stile rodiese, versione più dolce rispetto all'Asianesimo, ma priva della sintesi dell'Atticismo, e venne studiato e imitato da moltissimi. In effetti Cicerone stesso divenne insegnante delle sue capacità oratorie, ma senza cadere in tecnicismi.
Differenziare tra le opere filosofiche e retoriche di Cicerone, non porta a capire la sua concezione e la sua piena opinione. Egli crede nella simbiosi tra sapienza, l'eloquenza e l'arte del governare, che unitamente hanno dato sviluppo alla società civile. Egli stesso cerca di realizzare questo modello ideale, sia negli scritti che nella sua attività al servizio della Repubblica di Roma. Convinto di questa unità, egli ha redatto i suoi scritti filosofici con gli strumenti della retorica e organizzato le sue teorie della retorica attraverso l’uso di principi filosofici.
Nel De oratore, opera terminata intorno al 55 a.C., composta di tre libri sotto forma di dialogo,  si occupa del rapporto tra filosofia e retorica. Egli sostiene, ispirandosi a Platone, che la retorica deve basarsi sulla filosofia, ma, viceversa, i filosofi non devono disprezzare la retorica, fondamento stesso della società civile: le due discipline non sono contrarie, ma complementari a tutti gli effetti. Se vi è stata la "rottura tra linguaggio e intelletto", secondo Cicerone, va addebitato alla filosofia di Socrate, ed è dell’opinione della necessità di "risanare" questa frattura.
Attorno al 46 a.C., Cicerone compone il Brutus, riflessione sullo stesso argomento, proponendo il perfectus orator, sintesi di virtù, comprovata dalla vita stessa dei principali retori e oratori del passato. Successivamente scrive l’Orator, lettera indirizzata a Bruto, completando il discorso iniziato con il De oratore, con un approfondimento sul ritmo (numerus).Negli ultimi anni scrive i Topica e le Partitiones oratoriae, ma con uno stile più tecnico, riprendendo Aristotele (soprattutto nei Topici e la teoria dei loci).

Egli scrive: "io sono diventato un oratore [...] non nelle scuole dei retori ma nei saloni dell'Accademia": si riferisce alla sua formazione sulle teorie della Nuova Accademia di Carneade e del suo maestro Filone di Larissa.


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