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La lingua latina iniziò ad essere parlata agli inizi del I millennio a.C., a Roma e nel Lazio, ed andò modificandosi nel tempo. L’espansione progressiva, infatti, dell’impero romano, se da un lato diffuse il latino nel bacino mediterraneo, dall’altro con i contatti con gli idiomi di altri popoli fece mutare il latino stesso. Nella lingua latina abbiamo influssi dagli idiomi italici, l'idioma etrusco e dalle lingue del Mediterraneo orientale (soprattutto il greco).
Secondo Varrone la mitica fondazione di Roma sarebbe avvenuta nel 753 a.C.
Del latino arcaico (fino al III secolo a.C.), non abbiamo una conoscenza approfondita. Ci rimangono, soprattutto le antiche iscrizioni, oltre che i testi latini che fanno riferimento ad essa, come quelli di Livio Andronico, Nevio e Ennio (tutti del III secolo a.C.). Importantissime sono le commedie di Plauto, che rappresentano la maggiore fonte di conoscenza della lingua latina arcaica. A partire dal II secolo a.C. la letteratura latina approdò ad una prosa letteraria, anche se non priva di una certa rudezza, soprattutto grazie all’opera di Marco Porcio Catone il Censore.
Con i progressivi contatti, nel I secolo a.C., si arriva alla problematica della purezza della lingua. L'estensione, infatti, della cittadinanza romana agli Italici, i rivolgimenti sociali e i successivi contatti con la lingua greca, portarono ad un processo di perfezionamento del latino. In questo periodo abbiamo i contributi da parte di Cicerone, Catullo e i poetae novi, e perfino di Cesare, che si posiziona nell’ambito letterario grazie alle sue due opere: La guerra gallica (Commentarii de bello Gallico) e La guerra civile (Commentarii de bello civili).
Con l’arrivo dell’Impero di Augusto fioriscono superbi autori latini, che rivaleggiano, nel campo letterario, con i loro riferimenti nella letteratura greca, ritenuta fino a questo momento insuperabile. Tra gli autori che si affermano e creano sostanzialmente la grande letteratura latina abbiamo: Virgilio, che si contraddistinse nel genere bucolico, nella poesia didascalica e nell'epica (emulo di Teocrito, Esiodo ed anche Omero); Orazio, che prevalse nella satira e nella lirica (emulo dei lirici come Pindaro e Alceo),e poi ancora Ovidio, provetto nel metro elegiaco, e nella prosa, Tito Livio (emulo di Erodoto).
Con l’impero, come sappiamo, il latino viene usato come lingua franca (la lingua ufficiale). Se da un lato abbiamo l’adozione nella sua parte occidentale, in quella orientale si ha un ulteriore sviluppo. Nella penisola balcanica, si affermano la Dacia, provincia romana, a sud del Danubio, nella seconda metà del III secolo, la Mesia, e la  Macedonia settentrionale, e nelle zone asiatiche ad Eliopoli, e a Berytus, dove era localizzata un importante scuola di diritto romano.
Se a Costantinopoli, fino al 450 circa, il latino fu utilizzato dalle classi nobili, la koinè dialektos nell’area orientale non fu mai scalzata realmente, tanto che nel terzo decennio del VII secolo, questa versione greca divenne la lingua ufficiale dell'Impero Romano d'Oriente, questo fino al 1453.
Durante il periodo imperiale (tra il I e il II secolo) si distinsero autori che continuavano la grande stagione classica, quali: Seneca, Lucano, Petronio, Quintiliano, Stazio, Giovenale e Svetonio. Ma a partire dalla metà del II secolo, si diffusero diverse mode che modificavano il rapporto con la lingua. Una prima, che guardava alla latinità arcaica, e una seconda che dava sempre più valore al latino volgare, come nelle opere di Apuleio. Quest’ultima è la vera base da cui si formeranno successivamente tutte le lingue neolatine (italiano, francese, spagnolo, portoghese, rumeno).
Nel tardo impero, si distinsero, oltre una corrente legata alla tradizione classica (Ausonio e Claudiano), anche le grandi figure della Chiesa cristiana, come: Tertulliano, Ambrogio, Girolamo e, in particolare, Agostino d'Ippona. Del IV secolo è Ammiano Marcellino, uno dei più importanti storici latini (ma di nascita greco-siriana). 


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