Primo piano Argomenti Schede Anteprime Editoriali
 
 
 
 
   
 
 

 

 
 
 
       CATALOGO DEI PRODOTTI
 
 
 
 

Minisiti

 
 
 
 
 

 

 

 
 

 

 

 

 

 
 
 
 
   



 

 
    2/4  
 
 


Epitteto, come Socrate, non si curò mai di lasciare traccia di se, tanto che il testo Manuale di Epitteto non è di suo pugno (non scrisse mai nulla), ma di un suo allievo, Flavio Arriano, che ebbe l’idea di trascrivere le sue lezioni, così come le insegnava ai discepoli, permettendoci, così, di conoscere il suo pensiero filosofico.
Di lui si sa poco. Nato a Ierapoli, in Frigia, dovrebbe essere vissuto tra il 50 e il 120 d. C.. Di madre schiava, anche lui lo fu, ma ebbe la fortuna d’essere comprato da Epafrodito, il ricco e potente segretario di Nerone, che, portatolo a Roma, gli permise di entrare in contatto con Gaio Musonio Rufo, celebre filosofo stoico di quel periodo. Si narra che sia stato zoppo, ma la notizia potrebbe essere sorta dalla sua stessa condizione di schiavo. Di certo si sa che in seguito al bando di Domiziano, che bandì da Roma tutti i filosofi, Epitteto lasciò la capitale dell’impero per rifugiarsi a Nicopoli, in Epiro, dove si stabilì. Era, quindi, libero e non più schiavo. Alla fine della sua vita, per l’importanza raggiunta, divenne amico personale dell’imperatore Adriano. Marco Aurelio nei suoi scritti parla di lui con grandissima rispetto.
Basato sulla ricerca della felicità e il suo raggiungimento attraverso la “regola aurea della felicità”, il manuale di Epitteto ebbe molta fortuna in epoca cristiana, tanto che Ignazio di Loyola, lo inseriva tra i suoi “esercizi spirituali”. Il gesuita Matteo Ricci, missionario in Cina, per diffondere il cristianesimo nel lontano paese, utilizzò il “Manuale”, parafrasato abbondantemente, e pubblicato col titolo "Il libro dei 25 paragrafi". Epitteto fu ripreso dai neoplatonici ed interessò moltissimo Leopardi, di cui è una delle principali traduzioni.
Sostanzialmente il suo pensiero è riassumibile nella sua frase:
"Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capirne la differenza".

Si parte per giungere al suo pensiero passando attraverso due principi iniziali, che lui chiama: la ‘Proairesi’ e la 'Diairesi'. Si parte dalla ‘Proairesi’ e, cioè, la nostra peculiare facoltà che, partendo dalla percezione di un avvenimento, ci fa autori di pensiero, scelta e azione. E’ una facoltà propria della nostra individualità rispetto ad ogni altro. Ad essa ne segue la 'Diairesi', e, cioè, il giudizio personale che ci fa capaci di distinguere, sempre, quanto è in nostro esclusivo potere cambiare e quanto invece non lo è.
Tra gli individui pochi sono quelli che fanno correttamente uso della 'Diairesi' e quindi pochi sono quelli che, trovata la saggezza, ne fanno uso e sono virtuosi. La maggior parte, invece, dà troppa importanza alla prima capacità, la ‘Proairesi’, contro la natura delle cose, vivono male e soffrono di infelicità e di schiavitù delle cose. Essi sono persuasi che il bene o il male risultino nel  possesso di oggetti materiali e in qualcosa che altri sono in grado di fare  per noi o contro di noi. Tre sono gli aspetti principali della loro vita:

Le rappresentazioni che la nostra mente crea degli avvenimenti quotidiani, ci portano ad un giudizio di loro positivo o negativo. Questo giudizio spesso è facilmente proairetico, come se l’intera realtà fosse alla nostra portata d’azione. Applicando correttamente nella propria opinione la  'Diairesi' la riflessione risulta: è proairetica o aproairetica? Se gli avvenimenti sono al di fuori delle proprie capacità personali, da soggettivi possono divenire oggettivi, e se una cosa è oggettiva entra nella natura delle cose, imprevedibile e non volontaria. Ciò può essere, indifferentemente, nel campo degli assensi e dei dissensi, dei desideri e delle avversioni, degli impulsi e delle repulsioni.
La “regola aurea della felicità” di Epitteto consiste, sostanzialmente, in una condizione mentale che si può scegliere per saggezza:
"Ricordati dunque che, se credi che le cose che sono per natura in uno stato di schiavitù siano libere e che le cose che ti sono estranee siano tue, sarai ostacolato nell'agire, ti troverai in uno stato di tristezza e di inquietudine, e rimprovererai dio e gli uomini. Se al contrario pensi che sia tuo solo ciò che è tuo, e che ciò che ti è estraneo - come in effetti è - ti sia estraneo, nessuno potrà più esercitare alcuna costrizione su di te, nessuno potrà più ostacolarti, non muoverai più rimproveri a nessuno, non accuserai più nessuno, non farai più nulla contro la tua volontà, nessuno ti danneggerà, non avrai più nemici, perché non subirai più alcun danno". (massima 3 del "Manuale" di Epitteto)


Pagine        

 
 
  HOME  
 
   

È vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi media, di testi ed immagini, la cui proprietà intellettuale appartiene ai rispettivi autori.

 

   
 
     
 
Experiences S.r.l. - Servizi per la promozione e lo sviluppo di attività culturali e ambientali - Copyright © 2004-2010. Tutti i diritti riservati - E-mail: info@experiences.it - Schermo 1024 x 768