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Dalla incertezza sulle fonti biografiche per Omero, nasce la
cosiddetta “questione
omerica”, se, cioè, sia mai realmente esistito un poeta di
nome Omero e quali opere egli abbia composto effettivamente. Tre
sono gli studiosi che, dal XVII secolo, hanno dato vita alla
“questione”: François Hédelin, abate d'Aubignac, Giambattista
Vico, filosofo, ma maggiormente Friedrich August Wolf. Nel
dibattito, già presente ai tempi antichi, troviamo la “teoria
pisistratea". Cicerone scrive: “Si dice che Pisistrato per primo
avesse ordinato i libri di Omero, prima confusi, così come ora
li abbiamo” (nel suo De Oratore). La teoria vuole che,
essendo stati tramandati oralmente i poemi omerici, Pisistrato,
tiranno di Atene (tra il 561 e il 527 a.C.), abbia raccolto in
un unico testo le sue diverse parti, poi contenuto,
in una biblioteca ad Atene. La teoria, tuttavia, non ha
raccolto molti consensi, essendo difficile l’esistenza di una
biblioteca ad Atene nel VI secolo a. C. I due grammatici
Xenone ed
Ellanico, attribuivano ad Omero solo l’Iliade, mentre
Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia, confermando
l’esistenza di Omero, lo ritenevano autore solo dell’Iliade e
dell’Odissea e non di tutti gli altri scritti (Aristotele invece
di Iliade,
Odissea
e Margite).
In tempi relativamente recenti la questione
omerica è andata arricchendosi dell’ipotesi oralista. Nel 1664
(pubblicato postumo nel 1715)
l’abate d'Aubignac,
infatti, redasse il testo Conjectures académiques,
dove si sosteneva
l’inesistenza di Omero, e l’origine di brani, poi assemblati in
un opera unica. Questi frammenti avrebbero avuto origine dalla
trasmissione orale del testo, così sosteneva Giambattista Vico
nella Scienza Nuova (ultima edizione del 1744)
dedicato a “la discoverta del vero Omero”. Il filosofo sostenne
la tesi che le due opere fossero simbolo solo delle capacità
poetiche del popolo dell’antica Grecia. Nel 1788
Jean-Baptiste-Gaspard d'Ansse de Villoison iniziò una
fase d’indagine storica sull’opera dei grammatici alessandrini,
studio portato a termine e ampliato da
Friedrich
August Wolf (in Prolegomena ad Homerum),
che analizzò il periodo che va da Pisistrato ai grammatici
greci, concludendo, come aveva fatto Vico, che i poemi
risalivano ad un periodo precedente in cui erano stati
tramandati in forma orale (almeno fino al V secolo a. C.).
Sulla base di ciò, i due poemi vennero analizzati capillarmente
nella loro organizzazione. Due, infatti, erano le correnti che
sostenevano, la prima, la frammentarietà delle opere e, quindi,
la loro diversa origine e paternità, e la seconda che propugnava
l’esatto opposto, cioè, l’unitarietà della struttura
compositiva.
Karl Lachmann
(1793-1851) individuò nell’Iliade 16 moduli, canti
popolari di diversa origine, riuniti al tempo di Pisistrato, o,
come propugnava
Ulrich von
Wilamowitz
Moellendorff
(1848-1931), dallo stesso Omero. Individuando una potenziale
struttura compositiva di partenza in cui vennero incasellati in
seguito i vari episodi,
Wolfgang
Schadewaldt, esponente della fazione contraria, cercò di
dimostrare, invece, l'unità d'origine nella concezione dei testi
omerici. Nel campo dell’ipotesi dell’oralità iniziale dei due
testi, si sono sviluppate, nel secolo scorso, una serie di
analisi grammaticali, soprattutto ad opera di studiosi
americani, detti "filologi oralisti".
Milman Parry
nel suo L'epithète traditionelle dans Homère. Essai sur un
problème de style homérique (1928), individua
auralità e
oralità, espresse dagli epiteti tradizionali epici (per
esempio “piè veloce
Achille”),
applicati di volta in volta o per origine culturale nella
tradizione greca, o per necessità metrica. Dalle sue attente
analisi egli giunge ad affermare che l’Iliade e l’Odissea, nate
in periodo arcaico, poggiano sulla base di una sperimentata e
diffusa cultura di aedi. Nel 1933 (Die typischen Szenen
bei Homer),
Walter Arend
si spinge ad affermare, sulle teorie di Parry, che interi brani,
non solo coppie nome-epiteto, vengono ripetuti a seconda la
necessità del contesto narrativo.
Eric Havelock,
inoltre, attribuisce alle opere omeriche, dall’antica origine,
una importanza nella trasmissione di valori morali e
conoscitivi, quasi fosse un'enciclopedia tribale
ripetuta oralmente di generazione in generazione a scopo
educativo. Le problematiche proprie della questione omerica
così come erano state impostate, essendo, a conti fatti,
praticamente insolubili, sono mutate col tempo. Come abbiamo
visto, si è ritenuto più fattivo concentrarsi su aspetti
diversi, come lo studio delle culture pre-letterarie, ai
primordi della scrittura e della tradizione moralistica. Si è
cercato di analizzare quell’insieme di mito, tradizioni e
cultura “tribale”, che ha fatto da humus, verosimilmente, per la
composizione dei due capolavori epici. Se Omero è veramente
esistito o no, senza la scoperta di nuove fonti, è probabile che
non lo sapremo mai con certezza. Ai miti epici dell’Iliade e
dell’Odissea si unisce, quindi, il mito sull’autore stesso.
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