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Epicuro nasce a Samo nel 341 a.C., frequentò sia la scuola di Pamfilo, filosofo sostenitore delle teorie di Platone, sia la scuola del democriteo Nausifane a Teo (Asia Minore). Nel 309 a. C. fondò la sua prima scuola filosofica a Mitilene e a Lampsaco ed infine, nel 306, ad Atene (dove morì nel 271 a.C.). Le sue nuove teorie incontrarono un rapido successo: l’Epicureismo si impose dal IV secolo a.C. fino al II secolo d.C., ma, non potendo riscuotere l’approvazione dalla emergente Chiesa cristiana, finì per essere avversato. Epicuro e la sua filosofia si differenziò dalle dottrine socratiche, platoniche, con l'aristotelismo, con i cinici, con i megarici e con lo stoicismo, che si andava diffondendo parallelamente all’epicureismo. Gli scritti che ci rimangono di Epicuro sono stati riportati da Diogene Laerzio.

Epicuro si occupò di fisica rifacendosi alla teoria atomistica di Democrito e Leucippo, ma diversificandosi da essi. Nel campo dell’etica affronta il problema dell’anima e della morte. L’anima dell’uomo "è una sostanza corporea composta di sottili particelle", cioè di atomi mobilissimi. Quando sopraggiunge la morte, temuta dagli esseri umani, a parere di Epicuro non vi è nessun dramma:
Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è lei, e quando c'è lei non ci siamo più noi.” E gli dei? Secondo egli sono del tutto assenti, poiché non si occupano degli esseri umani: essi vivono negli intermundia, spazi immaginari tra gli infiniti mondi, del tutto lontani dai problemi degli uomini. Essi esistono in un mondo perfetto ma chiuso in se stesso. Se avessero bisogno di interessarsi di noi, inevitabilmente sarebbero limitati nella loro perfezione.
Come anche altre teorie filosofiche, Epicuro nella ricerca della felicità umana, la individua nell’assenza di emotività negative, paure e timori,
opinioni errate e confusioni mentali, privo di desideri, che, se non appagati, finiscono per evolversi in atteggiamenti negativi, dando origine al Male. Bisogna, quindi, liberarsi da ogni  passione irrequieta. La filosofia e la saggezza possono aiutare al raggiungimento di questo obiettivo.

Se non fossimo turbati dal pensiero delle cose celesti e della morte e dal non conoscere i limiti dei dolori e dei desideri, non avremmo bisogno della scienza della natura”.

La felicità non sarebbe altro che il sommo bene, cioè il massimo del piacere
(edonè). Epicuro individua due tipi di piacere: quello cinetico (dinamico), e quello catastematico (statico). Il primo è legato al corpo e alle sensazioni che da esso deriviamo. E’ comunque un piacere momentaneo ed effimero. Il piacere catastematico, al contrario, è durevole. Esso poggia sulla capacità di accontentarsi e sulla moderazione: bisogna godersi ogni istante della propria vita come se fosse l'ultimo. Anche nell’epicureismo abbiamo, quindi, un riferimento ai concetti di atarassia ed aponia. L’amicizia viene intesa come solidarietà nella comune ricerca della felicità. Nella società vi sono le leggi, che vanno rispettate, comunque, per non cadere nella paura d’essere puniti. Anzi, Epicuro nel concetto di astrazione dalle cose materiali, arriva a parlare, addirittura, di "vivere nascostamente".
Generalmente l’epicureismo viene considerata negativamente come filosofia materialistica ed edonistica. In realtà, esso diffida del pregiudizio e di ogni superstizione, in favore di una vita semplice e parca, nell’accettazione dei propri limiti e delle proprie effettive potenzialità.

Non si è mai troppo vecchi o troppo giovani per essere felici.
Uomo o donna, ricco o povero, ognuno può essere felice.”

L’eredità di Epicuro, tramandataci da Diogene Laerzio, è piccola parte di ciò che il filosofo ha scritto, essendo stato viceversa uno scrittore assai prolifico. Gli vengono attribuiti ben 300 scritti, di cui moltissimi testi scientifici. Diogene Laerzio ci riporta di trattati non pervenutici come: "Della Natura", in 37 libri, o "Degli Atomi e del vuoto", opera scientifica, o ancora "Del Criterio", un'opera di logica, ed altri. E’ in questa grande produzione che si trovano enunciati del tutto sorprendenti: addirittura potremmo considerare Epicuro come fondatore dello stesso metodo scientifico, attribuito normalmente a Galileo Galilei. Nella Lettera a Pitocle egli, infatti, scrive: "non bisogna infatti ragionare sulla natura per enunciati privi di riscontro oggettivo e formulazione di principi teorici, ma in base a ciò che l'esperienza sensibile richiede". Questo è a tutti gli effetti l’enunciazione del metodo scientifico galileiano.




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