La matematica greca è stata condizionata,
come è ovvio, dall’evoluzione politica e sociale dell’antica
Grecia. Così nel primo periodo gli studi sulla disciplina
avvenivano all’interno delle diverse polis. Quando nel periodo
ellenistico (dal 323 a.C.) l’ampia diffusione della cultura
greca raggiunse il culmine, la matematica investì gli studiosi
distribuiti in molte parti del mediterraneo. Ne è l’esempio che
due dei massimi matematici del periodo furono Archimede e
Apollonio, antrambi non residenti nella Grecia geografica. Così
il bacino matematico andava dalla Magna Grecia alla Grecia
propriamente detta, dall’Asia minore all’Egitto, dove, avvenuta
la fusione linguistica con l’adozione del greco, gli studi
egiziani confluirono nella grande matematica ellenistica. In
più si può dire che la maggiore conoscenza del periodo storico,
grazie alla grande quantità di
materiale giunto fino a noi (numerose sono le
cronologie), ci permette una definizione maggiore della
conoscenza in generale e, in particolare, della matematica,
dell’epoca. Perché, se è vero, che molti sono i trattati
originali andati perduti, è anche vero che questi hanno avuto
risonanza in scritti posteriori che ne hanno dato larghissima
testimonianza,o sono, addirittura, ritenuti copie di opere
scritte durante e anche prima del periodo ellenistico. La
matematica greca è più moderna delle altre civiltà, di cui
abbiamo parlato, non solo per una differenza cronologica, ma,
soprattutto, per un’impostazione mentale diversa. Le antiche
civiltà, infatti, nello studio della disciplina adottavano, il
più possibile, il ragionamento empirico, che scaturisce
dall’osservazione. La matematica greca, invece, utilizzava il
ragionamento deduttivo: iniziando da assiomi, indiscussi o meno,
si arrivava, con rigorose argomentazioni, alla definizione di
teoremi, metodo
utilizzato anche oggi nella ricerca matematica.
I greci avevano in più
una predilezione per la geometria, concretizzata dall’uso di due
strumenti: la riga e il compasso. Agli inizi della
matematica greca si suole mettere due importanti figure: Talete
di Mileto (624-546 a.C. ca.) e Pitagora di Samo (582-507 a.C.
ca.). Il primo, probabilmente a conoscenza delle ricerche in
Egitto e Asia minore, si concentrò sullo studio del triangolo
inscritto in una semircirconferenza, definendo che esso non può
che essere rettangolo. Si narra che Talete arrivò a determinare
l’altezza della piramide di Cheope, misurandone l’ombra.
Più importante è, storicamente, Pitagora di Samo, in quanto
diede origine alla Scuola pitagorica. Questa era, a tutti gli
effetti, una setta che spaziava dalla matematica alla filosofia
fino al misticismo, credevano nella metempsicosi ed erano
assolutamente vegetariani. Proprio perché davano importanza
sacra alla matematica basavano le loro ricerche sui numeri
naturali e sui loro quozienti, i numeri razionali. Anche
filosoficamente ricercavano la perfezione
e per questo prediligevano il numero cinque (e quindi il
pentagono e il dodecaedro) e naturalmente la
sfera.
Si applicarono, inoltre, sulla dimostrazione del Teorema di
Pitagora e sulla teoria dei numeri, come classificazione e
studio dei numeri figurati e dei numeri perfetti,
l’identificazione delle terne pitagoriche e del crivello di
Eratostene.
Curiosamente si narra che fu proprio uno dei loro adepti, Ippaso
di Metaponto, a fare la scoperta del rapporto tra i lati di un
quadrato e la sua diagonale (ossia radice di 2), che non è
quello fra due numeri interi (radice di 2 è un numero
irrazionale). Comunicatolo ai suoi compagni, si narra che,
questi, rendendosi conto dell’eresia, lo buttarono fuori dalla
barca su cui viaggiavano, in mare. Naturalmente la leggenda non
è vera: molto probabilmente Ippaso non fu ucciso, ma, più
semplicemente, morì in un naufragio. Alcuni studiosi ritengono
che la scoperta dell’irrazionalità della radice di due sia
posteriore e che i pitagorici abbiano solo individuato
l'irrazionalità della diagonale del pentagono di lato unitario
(vale a dire la sezione aurea).
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