Il nome per intero di Pico della Mirandola era Giovanni
Pico dei conti della Mirandola e della Concordia, il che fa
presupporre che fosse nobile. Egli era, infatti, il
figlio più giovane di Francesco I, Signore di Mirandola e Conte
della Concordia. Anche la madre era di origini nobili: Giulia,
figlia di Feltrino Boiardo, Conte di Scandiano. La famiglia
abitava nel castello di Mirandola e nel 1414 ricevette
dall'imperatore Sigismondo il Feudo di Concordia. Pur essendo di
piccole dimensioni, il feudo di Mirandola fu indipendente già a
partire dal XIV secolo. La famiglia dei Pico quindi, governava
più come dei sovrani che come nobili
vassalli. D’altra parte aveva parentele importanti quali: gli
Sforza, i Gonzaga e gli Este. Essendo una famiglia abbastanza
numerosa, si legò a nuove casate d’alto rango, sposandosi con
gli eredi al trono di Corsica, Ferrara, Bologna e Forlì.
Il giovane Giovanni non aveva quindi di che temere. Portò avanti
gli studi a Bologna, Pavia, Ferrara, Padova e Firenze, facendo
nuove conoscenze e legando amicizie. A Firenze, dove conosceva
Lorenzo il Magnifico, fu ammesso alla nuova Accademia Platonica.
Partì per Parigi nel 1484, ospite della Sorbona, a quei
tempi centro di studi teologici, Qui conobbe personalità come
Lefèvre d'Étaples, Robert Gaugin e Georges Hermonyme, assai
famose a quel tempo, relazioni che lo portarono ad essere
conosciuto come studioso in tutta Europa. Due anni più tardi
(1486) si recò a Roma, dove iniziò a comporre 900 tesi in
funzione di un congresso filosofico internazionale, purtroppo
mai realizzato (per esso scrisse il De hominis dignitate).
Come filosofo e libero pensatore fu oggetto di alcune accuse di
eresia, a cui si sottrasse fuggendo in Francia. Qui, però, fu
arrestato da Filippo II presso Grenoble e condotto nel carcere
di Vincennes, ma subito scarcerato,
ricevendo, anche, l'assoluzione di papa Alessandro VI. Forte
di questo e delle parentele importanti, si stabilì a Firenze,
dove frequentò l'Accademia di Ficino. Mentre la città veniva
occupata dall’esercito francese di Carlo VIII, Pico della
Mirandola morì improvvisamente nel 1494, tra l’altro in
circostanze mai chiarite.
La filosofia universale Pico
della Mirandola filosofo si riallaccia alla filosofia
neoplatonica di Marsilio Ficino. Ma mentre il pensiero di quello
sfocia nella polemica anti-aristotelica, Pico se ne chiama fuori
prendendo una posizione assolutamente personale. Egli non
aderisce a nessuna contrapposizione filosofica, perché aspira ad
una filosofia universale (proposito chiaramente esposto, ad
esempio, nel De ente et uno). Era proprio
questo il tema del convegno internazionale che cercò di
organizzare a Roma. Egli vuole creare una sintesi di tutto il
pensiero nella storia: Platone, Aristotele, i neoplatonici, gli
gnostici. Non solo. In questo calderone egli inserisce la
Rivelazione e il pensiero cristiano, quello islamico ed ebraico,
ma anche la tradizione misterica di Ermete Trismegisto e la
stessa cabala. Insomma proprio tutto. Il suo si può definire
ecumenismo filosofico, oltre che religioso. Egli vuole una
conciliazione e una pace filosofica, che si basi sul concetto di
verità, a cui hanno fatto riferimento tutte le civiltà, più o
meno che sia.
Il suo intento è lodevole, ma cade nel
vuoto, perché quasi impossibile., almeno in quel periodo.
Dolorosamente più realista, Pico si avvicinerà nel pensiero alla
predicazione riformatrice di Girolamo Savonarola. L’aspirazione
filosofica muta in un’aspirazione religiosa dalla forti tinte
morali, assolutamente propria di quel particolare momento
storico. Il Pico ecumenista, nell’ultimo periodo della sua vita,
finisce per sposare una visione più buia ed esistenziale della
vita.
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