Nato a Cherso, in Dalmazia, vi iniziò gli
studi con Petruccio da Bologna. Nel 1554, si trasferì a Venezia,
dove intraprese studi di grammatica con Andrea Fiorentino.
Soggiornò per un certo periodo a Ingolstadt dal cugino, il
luterano Mattia Flacio Illirico. Raggiunta l’università,
studiò a Padova, sotto anche Bernardino Tomitano. Durante
l’Università fu nominato presidente della Congrega degli
Studenti Dalmati. In questo periodo il suo
carattere, inquieto e insoddisfatto, lo portò a cercare tra le
varie teorie filosofiche quella che realmente lo convincesse,
affrontando persino da solo la traduzione di testi latini e
greci, come, ad esempio, Xenofonte. In una lettera del
1587, all'amico Baccio Valori, narrandogli il periodo
universitario, scrisse: “E fra tanto, sentendo un frate di S.
Francesco sostentar conclusioni platoniche, se ne innamorò, e
fatto poi seco amicizia dimandogli che lo inviasse per la via di
Platone. Gli propose come per via ottima la Teologia del Ficino,
a che si diede con grande avidità.” Ebbe inizio, così, la sua
strada di filosofo neoplatonico. Nel 1553, a Venezia,
pubblicò diverse opere, come la Città felice, il
Dialogo dell'Honore, il Discorso sulla diversità dei
furori poetici e le Lettere sopra un sonetto di Petrarca.
La morte del padre, nel 1554, lo riportò, per curare gli
interessi della famiglia, a Cherso, dove rimase per quattro
anni. Tornato in Italia, tentò di entrare alla corte del duca di
Ferrara Ercole II d'Este, ma senza successo. A Venezia, sotto la
protezione di Giorgio Contarini, conobbe il poeta Bernardo Tasso
(padre del più famoso Torquato), e con lui fondò , l’accademia
della Fama. Scrisse i dieci Dialoghi
della Historia (1560) e i dieci
Dialoghi della Retorica (1562).
Iniziò per lui
un periodo alquanto travagliato. Mandato a Cipro per curare gli
interessi del Contarini, si trovò ad acquistare diversi
manoscritti d’epoca greca, commerciando anche in altri settori.
Per un breve periodo, fu coinvolto nella guerra
turco-veneziana, ed imbarcato sulla flotta veneta al comando del
generale Andrea Doria. Successivamente passò al servizio
dell’arcivescovo di Cipro Filippo Mocenigo, tornando in Italia,
a Padova, come precettore di Zaccaria, nipote del Mocenigo.
Scrisse le Discussioni peripatetiche, pubblicato
nel 1571
(il primo volume) e interamente nel 1581 a
Basilea. La sorte volle che Cipro cadesse in mano ai turchi,
facendogli perdere tutto il capitale investito nell’isola.
Rimanendogli solo gli antichi trattati, fu costretto a venderli
a Filippo II di Spagna. Chiese aiuto agli amici.
La sorte volle che dopo un periodo buio ne
seguisse per il Patrizi uno notevolmente migliore. Dal 1577,
infatti, insegnò filosofia nell'università di Ferrara fino al
1592. Raggiunto l’apice, tranquillamente iniziò a comporre
trattati d’ogni genere: filosofici, letterari, di strategia
militare, di ottica, d’idraulica e di botanica. Nel 1587 fu
nominato membro dell'Accademia della Crusca. Pubblicò le
Discussioni peripatetiche (nel 1581), il
Parere in difesa di Ludovico Ariosto (nel
1585), il Della Poetica (nel 1586), ove
giudicava superiore la lingua volgare sul latino, la Nuova
geometria (nel 1587) e la Philosophia de rerum natura.
Con la divulgazione, nel 1591, del trattato Nova de universis
philosophia, Patrizi fece un mezzo passo falso: il libro fu
messo all'Indice dal Sant'Uffizio. Tornò a circolare liberamente
solo dopo che il filosofo eseguì delle opportune “correzioni”.
Grazie a papa Clemente VIII, suo amico, nel 1592, passò
dall’università di Ferrara a quella di Roma (Studium Urbis).
Divenne socio del Collegio illirico di San Gerolamo. Morì nel
1597 nella stessa Roma e tumulato nella chiesa romana di
Sant’Onofrio al Gianicolo, nella medesima tomba del poeta
Torquato Tasso.
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