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Sergio Bertolami
e Rosa Manuli -
EX AQUA -
Il braccio di San Raineri
Pagine 240
Versione brossura
Formato 15,24 x 22,86
Editrice - Experiences Srl
 

Costo Brossura:
Euro 16,00

  3/4  
  LA FILOSOFIA IN ITALIANO
 
 
 

 

 

Nato da famiglia agiata a Mantova nel 1462, Pietro Pomponazzi non ebbe problemi di studio. Si laureò, infatti,  all’Università di Padova nel 1487 come Magister Artium, dopo avere  frequentato  corsi di metafisica (con il domenicano Francesco Securo da Nardò), medicina (con Pietro Riccobonella) e filosofia naturale (con Pietro Trapolino). Successivamente, con la cattedra di filosofia naturale,  insegnò nello stesso ateneo. Nel 1496 si legò al principe di Carpi, Alberto III Pio, insegnando alla sua corte. Ne condivise il destino, fino a seguirlo nel suo esilio a Ferrara, dove rimase fino al 1499.
La sua carriera di professore universitario e la sua vita stessa, tra il 1499 e il 1512, si svolgono in maniera alquanto agitata, a causa delle vicende militari legate alla Lega di Cambrai. In questo periodo, dopo avere chiuso il suo studio di Padova nel  1509, inizia un “eremitaggio” tra Ferrara, Padova, di nuovo Ferrara, poi a Mantova, fino ad approdare nel 1512, appunto, all’Università di Bologna. Nello stesso periodo si sposa due volte (con Cornelia Dondi, prima, e Ludovica di Montagnana, dopo), rimanendo vedovo  per entrambe. Tuttavia, è proprio a Bologna che egli pubblica i suoi trattati filosofici più importanti: il Tractatus de immortalitate animae (1516), il De fato e il De incantationibus, giunti fino a noi, grazie agli appunti dei suoi studenti.


Nel Tractatus de immortalitate animae
egli sostiene che, oggettivamente, l’immortalità dell’anima non è dimostrabile razionalmente. La tesi, eretica per quei tempi, scatena furibonde polemiche, tanto che viene realmente denunciato per eresia dall’agostiniano
Ambrogio Fiandino. Salvato ad opera del cardinale Pietro Bembo, finisce per essere condannato da papa Leone X, che gli ordinò piena ritrattazione. Pomponazzi preferì difendersi con la pubblicazione di due opere: l’ Apologia del 1518 e con il Defensorium adversus Augustinum Niphum del 1519. In questi trattati egli cerca di spiegare che esistono sul tema due verità: una di fede e una di ragione.


Il periodo, alquanto travagliato, gli impedì di pubblicare due opere composte nel 1520: : il De naturalium effectuum causis sive de incantationibus e i Libri quinque de fato, de libero arbitrio et de praedestinatione (saranno pubblicate postume nel 1556 e nel 1557 a Basilea). Con i tre pezzi, il De nutritione et augmentatione (nel 1521), il De partibus animalium (sempre nel 1521) e il De sensu (nel 1524), evitò diplomaticamente ogni ulteriore accusa o polemica.
L’infelice periodo si concluse nel 1525 con la sua morte, per calcoli renali. I suoi studenti sospettarono, per contro, il suicidio (aveva fatto testamento l’anno prima).

   
   
   
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