Di famiglia numerosa e
povera, il padre era un povero libraio e aveva sette fratelli,
aveva da bambino un carattere alquanto vivace, ma a causa di una
grave caduta, si fratturò il cranio, pur non alterate le sue
funzioni mentali, rimase per tre anni senza andare a scuola,
divenne alquanto schivo e melanconico. Studiò inizialmente
filosofia nel collegio dei gesuiti di Napoli, per poi
iscriversi, su sprone del padre, all'Università di Napoli, dove
si laureò nel 1693 in diritto canonico e civile. Per caso,
come capita nella vita, negli anni che vanno dal 1686 al 1695,
Giambattista Vico svolse attività di precettore dei figli del
marchese Domenico Rocca, residente nel castello di Vatolla.
All’interno di questo vi era una biblioteca fornitissima. Tra
una lezione e l’altra Vico lesse parecchi testi contenutevi, che
andavano da Platone ad Aristotele, da sant'Agostino a Tacito, da
Dante a Petrarca. In questi anni a Napoli si diffusero le teorie
cartesiano e si accese un dibattito su di esse. Vico,
naturalmente, si tenne informato dei nuovi sviluppi filosofici.
Al suo ritorno a Napoli, nel 1699, vinse il concorso per la
cattedra universitaria di eloquenza e retorica, che, pur se
modesta, Vico tenne per tutta la vita, affiancandola con quella
di storiografia regia, donatagli dal re Carlo III di Borbone,
nel 1732, dopo il successo della pubblicazione del suo trattato
della Scienza Nuova. Se il pensiero di riferimento
per Vico era quello cinquecentesco delle dottrine neoplatoniche,
aggiornate dalle moderne teorie scientifiche di Francesco Bacone
e Galileo Galilei e dal pensiero giusnaturalistico,.il nuovo
afflusso a Napoli delle idee di Cartesio, Hobbes, Gassendi,
Malebranche e Leibniz, non lo trovò disinteressato. Quello che
sorprende è che il nostro non scelse una fazione in particolare
ne un facile ecclettismo, ma, anzi, la ricchezza di versioni
filosofiche lo portò verso concezioni del tutto originali, dove
razionalità sperimentatrice si fondevano alla tradizione
platonica e religiosa. Questa caratteristica innovatrice influì
sul suo successo accademico, come capita spesso a chi percorre
per primo una nuova strada. Le stesse ristrettezze economiche
ebbero ripercussione sulla pubblicazione di trattati filosofici
con cui evitare d’essere quasi sconosciuto nel giro accademico.
Purtroppo Vico doveva pensare al mantenimento del padre e dei
fratelli, non solo: una volta sposato, con la giovane donna
Teresa Caterina Destito, ebbe da lei otto figli, anch’essi da
mantenere. A causa delle ristrettezze economiche Vico fu
costretto a lavorare su richiesta alla composizione di poesie,
epigrafi, orazioni funebri, panegirici e molto altro.
Tra
prolusioni inaugurali per i nuovi anni accademici
dell’Università napoletana, brevi scritti e risposte alle
critiche rivoltegli per il suo pensiero innovativo, la sua vita
gira intorno ad un solo testo fondamentale: il Principj di
una Scienza Nuova intorno alla natura delle nazioni, meglio
conosciuta come la Scienza Nuova, pubblicata nel 1725. Da
quell’anno, Vico rivide, riscrisse, corresse ed ampliò il suo
testo. Ne realizzò una edizione completamente riscritta nel
1730
e, infine, rivista totalmente (ma senza importanti modifiche),
per la terza edizione del
1744,
che giunse, però, pochi mesi dopo la sua
morte. Altro testo di
Giambattista Vico abbastanza conosciuto fu la sua
Autobiografia, pubblicata tra il 1728 e il 1729 a Venezia.
In quest’opera Vico sorvola sugli anni giovanili e
sull’apprendimento delle teorie cartesiane, che presto, anche a
Napoli, furono iscritte nell’Indice dei libri proibiti.
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