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Sergio Bertolami
e Rosa Manuli -
EX AQUA -
Il braccio di San Raineri
Pagine 240
Versione brossura
Formato 15,24 x 22,86
Editrice - Experiences Srl
 

Costo Brossura:
Euro 16,00

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  LA FILOSOFIA IN ITALIANO
 
 
 

 

 

Di famiglia numerosa e povera, il padre era un povero libraio e aveva sette fratelli, aveva da bambino un carattere alquanto vivace, ma a causa di una grave caduta, si fratturò il cranio, pur non alterate le sue funzioni mentali, rimase per tre anni senza andare a scuola, divenne alquanto schivo e melanconico.
Studiò inizialmente filosofia nel collegio dei gesuiti di Napoli, per poi iscriversi, su sprone del padre, all'Università di Napoli, dove si laureò nel 1693 in diritto canonico e civile.
Per caso, come capita nella vita, negli anni che vanno dal 1686 al 1695, Giambattista Vico svolse attività di precettore dei figli del marchese Domenico Rocca, residente nel castello di Vatolla. All’interno di questo vi era una biblioteca fornitissima. Tra una lezione e l’altra Vico lesse parecchi testi contenutevi, che andavano da Platone ad Aristotele, da sant'Agostino a Tacito, da Dante a Petrarca. In questi anni a Napoli si diffusero le teorie cartesiano e si accese un dibattito su di esse. Vico, naturalmente, si tenne informato dei nuovi sviluppi filosofici.
Al suo ritorno a Napoli, nel 1699, vinse il concorso per la cattedra universitaria di eloquenza e retorica, che, pur se modesta, Vico tenne per tutta la vita, affiancandola con quella di storiografia regia, donatagli dal re Carlo III di Borbone, nel 1732, dopo il successo della pubblicazione del suo trattato della Scienza Nuova.
Se il pensiero di riferimento per Vico era quello cinquecentesco delle dottrine neoplatoniche, aggiornate dalle moderne teorie scientifiche di Francesco Bacone e Galileo Galilei e dal pensiero giusnaturalistico,.il nuovo afflusso a Napoli delle idee di Cartesio, Hobbes, Gassendi, Malebranche e Leibniz, non lo trovò disinteressato. Quello che sorprende è che il nostro non scelse una fazione in particolare ne un facile ecclettismo, ma, anzi, la ricchezza di versioni filosofiche lo portò verso concezioni del tutto originali, dove razionalità sperimentatrice si fondevano alla tradizione platonica e religiosa. Questa caratteristica innovatrice influì sul suo successo accademico, come capita spesso a chi percorre per primo una nuova strada. Le stesse ristrettezze economiche ebbero ripercussione sulla pubblicazione di trattati filosofici con cui evitare d’essere quasi sconosciuto nel giro accademico. Purtroppo Vico doveva pensare al mantenimento del padre e dei fratelli, non solo: una volta sposato, con la giovane donna Teresa Caterina Destito, ebbe da lei otto figli, anch’essi da mantenere. A causa delle ristrettezze economiche Vico fu costretto a lavorare su richiesta alla composizione di poesie, epigrafi, orazioni funebri, panegirici e molto altro.

Tra prolusioni inaugurali per i nuovi anni accademici dell’Università napoletana, brevi scritti e risposte alle critiche rivoltegli per il suo pensiero innovativo, la sua vita gira intorno ad un solo testo fondamentale: il Principj di una Scienza Nuova intorno alla natura delle nazioni, meglio conosciuta come la Scienza Nuova, pubblicata nel 1725. Da quell’anno, Vico rivide, riscrisse, corresse ed ampliò il suo testo. Ne realizzò una edizione completamente riscritta nel
1730 e, infine, rivista totalmente (ma senza importanti modifiche), per la terza edizione del 1744, che giunse, però, pochi mesi dopo la sua morte.
Altro testo di Giambattista Vico abbastanza conosciuto fu la sua Autobiografia, pubblicata tra il 1728 e il 1729 a Venezia. In quest’opera Vico sorvola sugli anni giovanili e sull’apprendimento  delle teorie cartesiane, che presto, anche a Napoli, furono iscritte nell’Indice dei libri proibiti.

   
   
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