Alla
Rivoluzione francese
seguì, con la Prima Campagna d'Italia svolta dai francesi, anche
il tentativo insurrezionale della Repubblica partenopea, nel
1799. Le nuove idee francesi e giacobine iniziano a
diffondersi in Europa. Ma è solo quando vengono ghigliottinati i
reali di Francia, che idee libertarie e repubblicane cominciano
ad attecchire in Italia. Nel Regno di Napoli borbonico (la
consorte di Ferdinando IV, Maria Carolina d'Asburgo-Lorena era
sorella di Maria Antonietta di Francia), iniziano i primi
arresti e le prime condanne a morte. La cospirazione napoletana
si divise in due strade: verso una nuova monarchia
costituzionale e verso una vera e propria repubblica. Con la
sconfitta dell’esercito borbonico e austriaco contro le truppe
francesi, capitanate dal generale Napoleone Bonaparte, si
formano la Repubblica Ligure e la Repubblica Cisalpina (nel
1797), e la Repubblica Romana (nel 1798). Ad ottobre del
1798 (il 23), mentre Napoleone era in Egitto, truppe borboniche
(70.000 soldati) con il generale austriaco Karl von Mack al
comando, entrarono a Roma con la volontà di reinsediarvi il
Papa. Sul mare la flotta inglese dell'ammiraglio Horatio Nelson,
appoggiò la guerra di terra. Con la nuova riscossa dei francesi,
che riconquistano Roma, il Re borbone fuggì con tutta la
famiglia (e i tesori della corona) a Palermo. La fuga fu resa
possibile dalla flotta inglese di Nelson.
Il vuoto di potere getta la città nel
caos. Il conte Pignatelli, lasciato da Ferdinando IV a Napoli,
si vide costretto ad un armistizio con i soldati francesi (il
12 gennaio del 1799 a Sparanise).
Scoppiò a Napoli e in parte della provincia un’insurrezione
antifrancese, detta dei Lazzari. La contemporanea rivolta dei
repubblicani, i giacobini e i filofrancesi, accentuò lo scontro
in una vera e propria guerra civile. Il 20 gennaio i giacobine
napoletani conquistarono Castel Sant'Elmo,
da dove cannoneggiarono i Lazzari alle spalle, che presto
dovettero arrendersi. Il
23 gennaio, con l’appoggio delle
truppe francesi, fu dichiarata la Repubblica napoletana. Fu
organizzato un governo provvisorio di 25 membri, con sei
ministeri. Tutti i rappresentanti formavano l'Assemblea
Legislativa, che avrebbe dovuto legiferare sull’organizzazione
della nuova repubblica. In questi giorni fu fondato il giornale
ufficiale “il Monitore Napoletano”.
Altri giornali si aggiunsero a questo.
Nepoli,
comunque, non era Parigi. Mancava una vera e propria classe
borghese ed i napoletani erano più propensi verso il governo
borbonico, soprattutto nelle province mom controllate dalle
milizie francesi. I nomi di spicco del governo disconoscevano le
necessità popolari. Il generale francese Championnet, che in
pratica controllava il governo, fece richieste economiche
pesanti ai napoletani, tutt’altro che facili da reperire.
Durante il periodo repubblicano, la repressione contro gli
oppositori fu spietata. Sempre nuovi "processi politici"
portavano a nuovi condannati a morte. L’attività legislativa
fu alquanto limitata e le poche leggi approvate non furono mai
veramente applicate., come la legge di eversione della
feudalità.
Intanto i lealisti ai borboni cominciarono la loro
strada verso la restaurazione. Il cardinale Fabrizio Ruffo,
sbarcato in Calabria, costituì un vero e proprio esercito
(l'Esercito della Santa Fede). Con esso iniziò a risalire la
penisola. Vennero riconquistate, oltre la Calabria, anche la
Basilicata e la Puglia. Mentre l'armata sanfedista
sopraggiunge da sud, le navi repubblicane riportano una vittoria
su una flotta inglese, che aveva occupato l’isola di Procida. Al
comando delle navi napoletane vi era l’ammiraglio Francesco
Caracciolo, che era stato ufficiale della marina borbonica.
Così come la rivolta napoletana era stata possibile col
sopraggiungere da nord delle truppe francesi, sempre ad esse è
collegata la fine della repubblica. Infatti nel nord Italia
queste vennero ripetutamente sconfitte dall’esercito
austro-russo. Le truppe francesi nel sud vennero richiamate,
abbandonando Napoli (il 7 maggio) al suo destino. I
miliziani dell’esercito sanfedista raggiunsero la città il 13
giugno. Nonostante la strenua difesa dei repubblicani, questi
occuparono Napoli, conquistando anche l’estremo baluardo del
Forte di Vigliena. Nel Castel Sant'Elmo, che cadde per ultimo, i
restanti repubblicani trattarono col cardinale Ruffo una resa
“onorevole”, che però non fu accettata, successivamente, né
dall’ammiraglio Nelson né da Ferdinando IV rientrati in città.
Con la restaurazione della monarchia borbonica si aprì a
Napoli il periodo dei processi. Circa 8000 repubblicani vennero
giudicati, di questi ben 124 furono condannati a morte e
giustiziati (tra questi anche l’ammiraglio Francesco
Caracciolo). 222 napoletani furono condannati all'ergastolo, 288
alla deportazione e 67 all'esilio (tra cui lo scrittore Vincenzo
Cuoco).
L’esercito reale che intanto risaliva
la penisola, nell’intento di conquistare la Repubblica
Cisalpina, fu sconfitto e fermato in Toscana, a
Siena, da
Gioacchino Murat. Il 18 febbraio 1801 fu firmato a Foligno
l’armistizio. Il nome di Gioacchino Murat tornerà all’onore
della storia nel seguente periodo francese di Napoli, di circa
10 anni, detto, per l’appunto, periodo "murattiano".
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