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Osservando con il suo cannocchiale il cielo, Galilei proseguiva nelle sue scoperte che lo portavano necessariamente sempre più verso la teoria copernicana. Studiando sia il pianeta Venere che Mercurio, scoprì, non solo che essi giravano su se stessi, ma anche che essi ruotavano contemporaneamente intorno al Sole (già studiato con la scoperta delle macchie solari, che dimostravano che esso ruota su se stesso). Scrisse a Giuliano de’ Medici: «Venere necessarissimamente si volge intorno al sole, come anche Mercurio e tutti li altri pianeti, cosa ben creduta da tutti i Pittagorici, Copernico, Keplero e me, ma non sensatamente provata, come ora in Venere e in Mercurio». La realtà e la scienza stessa lo portavano fatalmente allo scontro contro la Chiesa, a cui era per altro fedelissimo, che non poteva essere evitato, perché le diverse teorie sulla concezione generale del mondo si contraddicevano e il dubbio sulla teoria tolemaica dell’Universo, si rifletteva come dubbio sulla teologia del suo tempo.
Naturalmente Galilei era consapevole delle sue affermazioni e di quelle della Bibbia e di Padri della Chiesa, e poiché la Chiesa considerava le Sacre Scritture ispirate dallo Spirito Santo, o il modello copernicano veniva considerato al più un semplice modello matematico del tutto astratto, o, come cercò di sostenere Galilei, l’errore non era nella Bibbia, ma nell’interpretazione che ne era stata data.
Intanto la marea degli oppositori cresceva…
I frati domenicani Niccolò Lorini e Tommaso Caccini tennero dal pulpito di diverse chiese fiorentine violenti sermoni contro l’eretica teoria copernicana e Galilei suo sostenitore. Finchè il Caccini, nel marzo del 1615, fece di più: recatosi nel palazzo del Santo Uffizio, di fronte ad un numero notevole di cardinali, denunciò Galileo in quanto sostenitore del moto della Terra intorno al Sole. Furono avviate indagini.

 Il 25 febbraio del 1616 il papa ordinò al cardinale Bellarmino di «convocare Galileo e di ammonirlo di abbandonare la suddetta opinione; e se si fosse rifiutato di obbedire, il Padre Commissario, davanti a un notaio e a testimoni, di fargli precetto di abbandonare del tutto quella dottrina e di non insegnarla, non difenderla e non trattarla». A seguito di ciò si tenne il primo processo contro Galilei, il quale tuttavia ne uscì ancora non pienamente consapevole delle nere nuvole che gli si avvicinavano. Nonostante il decreto della Congregazione dell'Indice che proibiva e bloccava gli scritti di Nicola Copernico De revolutionibus orbium coelestium, Galilei, in una lettera successiva al Picchena, scrive minimizzando: “All'opera del Copernico stesso si leveranno 10 versi della prefazione a Paolo terzo, dove accenna non gli parer che tal dottrina repugni alle Scritture; e, per quanto intendo, si potrebbe levare una parola in qua e in là, dove egli chiama, 2 o 3 volte, la terra sidus”. Evidentemente il rispetto mantenutogli durante i colloqui, convinsero lo scienziato che in fondo egli era al di fuori della mischia. Gli equivoci e gli accomodamenti del primo processo furono, però, alla base della durezza del secondo processo.
Nel lasso di tempo tra il primo e il secondo processo, Galilei visse la sua vita di scienziato, coinvolto dalle scoperte e dal dibattito tra colleghi. Le nuove scoperte, tuttavia, non potevano non lasciare il segno sui tempi. Per rispondere alle teorie copernicane, essendo indifendibile il modello geocentrico, la Chiesa e tutti coloro che non volevano accettare la realtà, iniziarono a proporre un nuovo modello: quello di Tycho Brahe. Secondo la “nuova” teoria la Terra continuava ad essere posta al centro dell'universo, con la differenza che gli altri pianeti erano invece in orbita intorno al Sole, spiegando, così, le nuove prove scientifiche e salvando il vecchio modello. Nel 1618, essendo apparse tre comete nel cielo, cosa che aveva attirato l’attenzione di tutti gli astronomi europei, il gesuita Orazio Grassi, matematico del Collegio Romano, pubblicò la Disputatio astronomica de tribus cometis anni MDCXVIII, dove, per spiegare la natura delle tre comete, le inquadrava all’interno del modello di Tycho Brahe per avvalorarlo. Dapprima vi fu la risposta di Mario Guiducci con lo scritto Discorso delle comete (il Guiducci era un amico e discepolo di Galilei, che porta a pensare che di questi sia l’ispirazione). Nel 1622, arrivò, infatti, la vera risposta di Galilei, il trattato Il Saggiatore, dove, al di là delle comete, Galilei riconfermava la teoria copernicana. Il libro in questo caso (tali erano i tempi), passò l’esame degli accademici dei Lincei e del maestro di Camera del papa Virginio Cesarini, e solo dopo avere ottenuto l' imprimatur dal teologo domenicano Niccolò Riccardi, finalmente giunse alla stampa nel 1623.
Quando, Il 6 agosto del 1623, alla morte di papa Gregorio XV, venne eletto papa il cardinale Maffeo Barberini, amico ed ammiratore dello scienziato, con il nome di Urbano VIII, Galilei ritenne che i tempi ormai fossero definitivamente cambiati. Ad aprile si recò a Roma ad omaggiare il papa ed ottenne ben sei udienze per indurre tolleranza la Chiesa nei confronti del sistema copernicano. Tornò a Firenze, pur non avendo ricevuta nessuna esplicita assicurazione, con la convinzione che i tempi fossero cambiati davvero. Nello stesso anno si metteva all’opera per stendere un Dialogo che confrontasse le diverse opinioni del dibattito in corso. Dopo diverse vicende ultimò l'opera nel gennaio 1630. Desiderando ottenere l'imprimatur ecclesiastico per la stampa, sottopose a deverse autorità il testo, prima a Roma e poi a Firenze. Nel luglio del 1631 arrivò finalmente l’ultima approvazione da parte di padre Niccolò Riccardi, frate domenicano, con l’invito a cambiarne il titolo (Sul flusso e riflusso) troppo esplicito. Galilei lo mutò in Dialogo di Galileo Galileo Linceo, dove ne i congressi di quattro giornate, si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano. Il 21 febbraio 1632, fu ultimata la stampa del trattato.
Sottoforma di dialogo tra tre protagonisti, uno copernicano (il fiorentino Filippo Salviati, suo amico, ormai deceduto), uno neutrale ma tendente a questa teoria (Gianfrancesco Sagredo, sempre un amico morto) e Simplicio, sostenitore del tolemaico. Il Dialogo è diviso in quattro giornate che si concludono con l’«argomento del fine» o «argomento di Urbano VIII», esposto da Simplicio. Con la posizione del papa Galileo cerca di attenuare la convinzione  che il sistema copernicano fosse da lui ritenuta la soluzione “per eccellenza”, senza, cioè, chiudere la porta a possibili altre soluzioni.

Con il Dialogo Galileo tocca, forse, il suo apice scientifico, ma è, anche, l’inizio della fine.
All’inizio lo scritto ottenne delle approvazioni, ma già dal 25 luglio partì una lettera del Maestro del Sacro Palazzo Niccolò Riccardi, che proibiva e poi (il 7 agosto) chiedeva il sequestro di ogni copia. L'ambasciatore fiorentino Francesco Niccolini il 5 settembre conferì con il papa, riportando a corte  che “proruppe in molta collera, e all'improvviso mi disse ch'anche il nostro Galilei aveva ordito d'entrar dove non dovea, e in materie le più gravi e le più pericolose che a questi tempi si potesser suscitare.” Il 23 settembre il Tribunale dell'Inquisizione romana chiedeva a Galileo la comparizione al giudizio. Il 13 febbraio 1633, dopo qualche tentativo di evitare il processo, Galilei giunse a Roma. Il 12 aprile, iniziò il Processo con il primo interrogatorio di Galileo. A sua colpa saltò fuori un precetto del cardinale Bellarmino, che avrebbe consegnato allo scienziato già nel 1616, con la diffida d’ogni sua opera, sia scritta che orale, a favore delle teorie eretiche copernicane. Galileo andò sempre più accettando “la sua colpa” (si parlò, anche, del pericolo d’essere posto a tortura e carcere), finchè egli accettò l’abiura, «con cuor sincero e fede non finta», e proibito il Dialogo.

Il carcere fu mutato nel confino all'interno della villa dell'ambasciatore del Granduca di Toscana in Roma, poi in quella dell'arcivescovo Ascanio Piccolomini a Siena, e, infine (poiché egli continuava ad incontrare persone), nell’isolata villa, di sua proprietà, nella campagna di Arcetri. In questi lunghi anni di confino scrisse i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze., dimostrando, se mai ne servisse prova, di pensarla alla stessa maniera di prima dell’abiura.
Morì l'8 gennaio del 1642 ad Arcetri, assistito da suoi discepoli. E’ stato tumulato nella Basilica di Santa Croce a Firenze insieme ai massimi fiorentini come Machiavelli e Michelangelo.


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