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Fondata a Napoli agli inizi del XIX secolo, come opposizione a Gioacchino Murat e alla sua politica filo-napoleonica, la società segreta italiana della Carboneria, ha finito per legare il suo nome a quasi tutte le rivolte del primo trentennio del secolo, e, poiché,  dopo il fallimento dell’insurrezione del febbraio del 1831 nello Stato Pontificio, quasi tutti i suoi adepti confluirono nella Giovine Italia di Mazzini, a tutti gli effetti, si lega ai successivi moti per l’unificazione italiana.
Ancora oggi non si ha una conoscenza chiara del fenomeno della Carboneria.
L’organizzazione prendeva il nome dal mestiere dei carbonai (che preparavano il carbone e lo vendevano al pubblico) da cui mutuava il simbolismo e i rituali. Nella società segreta, ad organizzazione gerarchica piramidale, gli stessi aderenti non conoscevano capi e finalità, si esprimevano tramite un codice segreto, dovevano mantenere, naturalmente, il più assoluto riserbo, non dovevano lasciare tracce dell’attività su scritti o documenti, perchè, se scoperta dalla polizia, la pena era il carcere o la morte. Vi era al suo interno una cerimonia di iniziazione in cui si diveniva "apprendisti" e solo successivamente si  poteva raggiungere il livello di  "maestro". Al suo interno vi erano due logge: quella civile, che si occupava della propaganda e della protesta incruenta, e quella militare, che, al contrario, era rivolta alle azioni violente.

Tendenze e scopi della società non furono mai ben definiti, ma genericamente si può dire che perseguiva le libertà politiche e, soprattutto, l’ottenimento di una costituzione in vari paesi europei. Quando, dopo Murat, vi fu la restaurazione di re Ferdinando I delle Due Sicilie (che aveva dimenticate le promesse fatte in precedenza), la Carboneria continuò l’opposizione chiedendo a gran voce Costituzione e rappresentanza politica. Ma solo con i moti napoletani del 1820, la società passò ad atti cruenti. Il primo gennaio del 1820, infatti, i due ufficiali Michele Morelli e Giuseppe Silvati, con l’appoggio del generale Guglielmo Pepe, dopo focolai di rivolta, marciarono con i loro reggimenti di cavalleria da Nola verso Napoli. Temendo il peggio, il re Ferdinando I, che fino ad allora aveva fatto orecchi da mercante, concesse una nuova carta costituzionale e la creazione di un parlamento napoletano.
Il metodo napoletano suscitò grandi speranze e imitatori in tutta la penisola. Solo un anno dopo, nel 1821, i carbonari torinesi, capeggiati da Santorre di Santarosa, marciarono alla volta della città, così, il 12 marzo 1821, anche nel Regno di Sardegna, fu introdotta una costituzione democratica.
Sembrava schiudersi un periodo di grandi conquiste politiche dai patrioti carbonari. Invece la Santa Alleanza, adottò un metodo diretto per restaurare le vecchie forme politiche. Nel febbraio del 1821 furono inviate truppe nel sud, che velocemente ebbero la meglio sui rivoluzionari. Nel Regno di Sardegna, il re, Vittorio Emanuele I, indeciso sul comportamento da tenere, abdicò in favore del fratello Carlo Felice di Sardegna, il quale optò per la maniera forte con i rivoltosi. Chiese aiuto all’Austria, che con il suo esercito sbaragliò i carbonari l'8 aprile del 1821, ripristinando l’antico status quo. Le grandi speranze iniziali suscitate dai moti del 1820-1821, fallirono miseramente in grandi bagni di sangue. Molti furono giustiziati, come Morelli e Silvati, altri vennero incarcerati in fortezze come quella dello Spielberg, tra questi Confalonieri, Pellico e Maroncelli. Chi si salvò prese la via dell’esilio.

Eppure la voglia di libertà dei carbonari continuò a pulsare. Nel 1830 eccoli a Parigi nella rivoluzione di luglio a sostenere il re liberale Luigi Filippo di Francia e la sua politica nuova. Il vento francese giunse anche in Italia. Stavolta le rivolte riguardarono Modena e lo Stato Pontificio.
In Emilia fu preparata in grande segreto l’insurrezione. A capo vi era Ciro Menotti, che prese accordi con il duca Francesco IV di Modena, che sembrò accettare l’operazione in cambio del titolo di re dell'Alta Italia. Dicevamo “sembrò”: il giorno prima dell’evento un’azione di polizia catturò Menotti ed altri associati. Su consiglio dell’uomo di stato austriaco Klemens von Metternich, furono tutti passati per le armi. In seguito, nel febbraio del 1831, molte città facenti parte dello stato pontificio, si sollevarono insieme, quasi un ritorno alla vecchia Repubblica Cisalpina. Le città, infatti, furono: Bologna, Reggio Emilia, Imola, Faenza, Ancona, Ferrara e Parma. Cittadini e carbonari uniti innalzarono l’antico tricolore con grande entusiasmo, ma, ancora una volta, le milizie asburgiche, chiamate da Papa Gregorio XVI, soffocarono nel sangue la vita e i sogni dei rivoltosi.
In trent’anni di cospirazioni, rivolte e battaglie, i carbonari naufragarono davanti al muro austriaco. Dalle ceneri della Carboneria nacque una nuova società segreta denominata Giovine Italia ed animata da un ex carbonaro: Giuseppe Mazzini.



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