Partito Garibaldi, all’esercito piemontese non rimase che
concludere l’opera. Dopo il bombardamento della fortezza di
Capua e la sua presa, le truppe circondarono la piazzaforte di
Gaeta dove si trovava Francesco II.
Inizialmente Napoleone
III, sperava nella resa del re borbonico, e, infatti, le sue
navi proteggevano dal mare la fortezza. Dopo l’intervento di
Cavour, la navi francesi si allontanarono e il loro posto fu
preso da quelle del Regno di Sardegna, al comando
dell’ammiraglio Persano ( la maggior parte dei vapori erano navi
ex borboniche). I bombardamenti furono costanti, anche durante
le trattative di resa, avvenuta il 14 febbraio 1861. Gli ultimi
Borbone di Napoli partirono per l’esilio. Le ultime piazzeforti
borboniche, che ancora resistevano, caddero una dopo l’altra:
Messina (il 12 marzo 1861) e Civitella del Tronto (20 marzo del
1861, al confine tra Abruzzo e Marche), con la fucilazione di
tutti gli Ufficiali e dei Graduati, ritenuti "briganti". In
effetti, la parte finale della liberazione fu condotta
dall’esercito piemontese con grande asprezza, causa, forse,
della successiva fase, chiamata del “brigantaggio”. Per
quanto riguarda il comportamento con gli ufficiali e i soldati
dello sciolto esercito borbonico, fu duplice: a chi accettò di
passare al nuovo esercito Regio venne riconosciuto il precedente
grado e la possibilità di carriera al suo interno; chi, invece,
si rifiutò di prestare giuramento al nuovo Sovrano, fu messo in
carcere nel penitenziario di Forte di Fenestrelle. Anche i
comandanti garibaldini finirono per entrare nell’esercito
italiano. Tra questi: Nino Bixio, il napoletano Enrico Cosenza e
Giuseppe Sirtori.
Qualche giorno prima dello storico incontro tra Garibaldi e
Vittorio Emanuele II a Teano (il 26 ottobre 1860), fu tenuto il
plebiscito del 21 ottobre, che sanciva l'annessione del Regno
delle due Sicilie al Regno di Sardegna. Il 4 e il 5 novembre si
tennero, i plebisciti riguardanti l'annessione di Marche ed
Umbria. Vittorio Emanuele II di Savoia riunì a Torino i rappresentanti di tutti gli Stati annessi.
Attribuendosi il titolo di Re d'Italia per grazia di Dio e
volontà della nazione, (mantenendo, però, il numerale "II"),
Vittorio Emanuele II fu proclamato Re d'Italia
il 17 marzo del 1861. Cavour, conscio del problema di
governare sotto il profilo amministrativo così tanti Stati,
aveva, già tra il 10 e il 26 maggio 1859,
formato la Commissione Giulini, che si occupò di progetti
di legge riguardanti la conduzione della Lombardia, dopo una
futura annessione. Nel 1861, con la creazione dell’Unità
d’Italia, la costituzione liberale adottata nel Regno di
Sardegna nel 1848 (cioè lo Statuto albertino), fu, invece,
semplicemente trasferita anche a tutti gli altri Stati. Lo
Statuto Albertino rimarrà in Italia in vigore sino al 1946.
Massimo D'Azeglio (ma secondo alcuni Ferdinando Martini) disse:
"Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani" La problematica
ispirò tutta la politica successiva all’Unità d’Italia.
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