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Conclusosi il primo atto dell'unità nazionale, erano ancora mancanti al Regno d'Italia: il Veneto, in mano agli Austriaci e Roma, con gran parte del Lazio, ancora dominio del Papa, cioè le “terre irredente” (come si chiameranno più tardi).
Un altro passo in avanti per il completamento dell’unità italiana, con l'annessione del Veneto, si ebbe  con la Terza guerra di indipendenza, cioè, la tragica partecipazione dell'Italia alla Guerra austro-prussiana del 1866.
Con la mediazione di Napoleone III, il governo italiano del generale Alfonso La Marmora trovò punti di contatto con la Prussia di Otto von Bismarck, concordando un’allenza contro l’Impero Asburgico, che era d’ostacolo ad ambedue sulla strada dell’unificazione nazionale. Il trattato fu firmato l’8 aprile 1866. Agli italiani venne affidato il teatro di guerra meridionale: l’area del Veneto e il controllo delle coste dalmate con la supremazia navale della Marina italiana.
Come capita spesso, scoppiò una diatriba su chi dovesse comandare l’esercito italiano. Questo era reclamato contemporaneamente da Vittorio Emanuele II, dal generale Enrico Cialdini e dal La Marmora stesso, anch’esso generale, ma che era in quel momento presidente del Consiglio. Alla fine prevalse, almeno ufficialmente,il generale La Marmora, ma a soli tre giorni dall’inizio delle ostilità. L’accordo era: il re era al di sopra, e poteva emanare ordini (di fatto scavalcando i suoi generali), a La Marmora spettava il comando, ma poiché Cialdini lo riteneva suo pari, si trovò un accordo: il Cialdini avrebbe diretto le operazioni da sud, lungo la linea del Po in direzione Padova e Venezia, mentre La Marmora operava ad ovest, lungo il Mincio in direzione delle fortezze del quadrilatero. Erano evidenti rischi di un mancante coordinamento globale delle operazioni. Vi erano, in sostanza, due eserciti con due generali, dal carattere diverso, che avrebbero operato indipendentemente l’uno dall’altro. Vittorio Emanuele, di grande decisione, ma sicuramente non di grande esperienza militare, che avrebbe, al di sopra, diretto ambedue. A questo si aggiungeva la quasi rivalità tra l’esercito ex piemontese (del Regno Sardo) e l’esercito ex borbonico (del Regno delle Due Sicilie), e l’altrettanta nella Regia Marina tra la marina ex piemontese e quella ex borbonica.
Il 16 giugno 1866 ebbe inizio la guerra. I prussiani passarono all’attacco contro diversi principati tedeschi filoaustriaci. Ebbero anche inizio le ostilità nel settore italiano con l’offensiva del generale La Marmora, che passò il Ticino, incuneandosi fra le fortezze di Mantova e Peschiera. Purtroppo, il 24 di giugno l’esercito fu sconfitto a Custoza dagli austriaci. Per tutta la prima parte, il generale Cialdini non si mosse, a parte qualche scaramuccia, non tentò, neanche di impadronirsi della fortezza di Borgoforte, posta a nord del Po. Le sconfitte subite misero in allerta i comandi italiani, che, praticamente, rimasero paralizzati. Gli Austriaci fecero due incursioni in Valtellina e in Val Camonica (battaglia di Vezza d'Oglio). Ma furono le vittorie prussiane a determinare gli esiti della guerra: soprattutto la vittoria del 3 luglio 1866 a Sadowa, ad opera del generale von Moltke. Gli Austriaci, sentendosi in pericolo, ritirarono ingenti truppe dal fronte italiano, per la difesa di Vienna e dando priorità alla protezione del Trentino e dell'Isonzo

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