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Nel frattempo, la sera dell'8 giugno, mentre si festeggiava la liberazione di Milano, truppe francesi presero la cittadella fortificata di Melegnano, da dove si controllava un importante ponte sul Lambro. Nella fortezza vi erano  asserragliati 8.000 soldati austriaci. La battaglia fu una carneficina e molti furono i morti da ambedue le parti.
Il 12 giugno, l’armata franco-piemontese si rimise in cammino. Rapidamente passò l’Adda, l’Oglio e il Chiese, giungendo lì dove aspettava il generale Gyulai. L’area era quella del “quadrilatero”, che aveva visto vincitore il generale Radetzky, nella la prima guerra di indipendenza. Quella striscia era delimitata ad ovest dal Chiese, ad est dal Mincio e a nord dal lago di Garda. Doveva essere così, ma così non fu.
Incalzato dall’opinione pubblica viennese, scontenta delle continue sconfitte, l’imperatore Francesco Giuseppe commise due errori. Il primo fu l’allontanamento del generale Gyulai, ritenuto non abbastanza deciso, e la presa del comando delle operazioni da parte dello stesso Francesco Giuseppe. Il secondo errore, assai più grave, fu ritenere la strategia difensiva sbagliata. L’Imperatore, consultatosi con il suo Stato Maggiore (che non voleva contraddirlo), ordinò all’esercito di ripassare il Mincio, nell’ottica più aggressiva dell’attacco. Così accadde che, messo tutto a soqquadro, l’esercito austriaco non conosceva le posizioni francesi e viceversa. Gli alleati pensarono di trovarsi di fronte ad una retroguardia, gli austriaci di fronte all’avanguardia franco-piemontese. La verità era che i due eserciti si stavano fronteggiando.
Lo scontro ebbe luogo. Le truppe francesi con un violento attacco ottennero la vittoria nella battaglia di Medole, ma fu il 24 giugno che gli alleati, nelle battaglie di Solferino e di San Martino, sbaragliarono il nemico, ricacciandolo oltre il Mincio. Questi ultimi, approfittando di una pausa delle operazioni militari, ricevettero un ingente numero di rinforzi, non dimenticando la presenza delle fortificazioni del “quadrilatero”. La guerra si prospettava ancora lunga e sanguinosa. Fu così che Napoleone III prese contatto con Francesco Giuseppe ed avviarono colloqui di pace. L’8 luglio fu deciso una specie di sospensione delle ostilità. L'11 luglio, in località Villafranca di Verona, ebbe luogo l’incontro tra i due imperatori. Il giorno successivo  fu sottoscritto l'armistizio di Villafranca.
La pace di Zurigo, siglata fra il 10 e l'11 novembre 1859, fu in realtà un vero pastrocchio. Il Piemonte annetteva solo la Lombardia, mentre l’Austria teneva il Veneto e le fortezze di Mantova e Peschiera. Gli Stati di Modena, Parma e Toscana, che durante la guerra si erano ribellati ed avevano cacciato i loro governanti, dovevano tornare alla situazione precedente le ostilità, così come Bologna allo Stato della Chiesa. Ma non basta: tutti gli Stati italiani (compreso il Veneto) dovevano formare una federazioni sotto il governo di Pio IX.
Un simile trattato era inapplicabile, oltre a scontentare tutti.
E’ a questo punto che si rimise in moto la genialità politica di Camillo Benso conte di Cavour. Diverse erano le ragioni che lo rendevano sgradito ai francesi stessi. L’Austria, attraverso anche la federazione, avrebbe mantenuto, e forse ampliato, la sua egemonia in Italia. Gli Stati dell’Italia centrale, Modena, Parma e Toscana, sarebbero tornati in mano austriaca, o sarebbero caduti in mano ai “terroristi” mazziniani. Ambedue le situazioni erano alquanto “antipatiche”. Ma la ragione, forse principale, era che lo Stato piemontese avrebbe annesso soltanto la Lombardia, ma questo non era nei piani dell’accordo di Plombières. La Francia, quindi, non avrebbe potuto annettere la Savoia e Nizza. Allora, come spiegare all’opinione pubblica francese l’alto costo in vite umane della guerra appena conclusasi in Italia?
Cavour ebbe contatti con tutti i principali regnanti europei, anche se dall'11 luglio 1859 al 19 gennaio del 1860, non faceva più parte del governo. Così Il Regno di Sardegna, impunemente, si annesse, non solo la Lombardia, ma anche Parma, Modena, l'Emilia, la Romagna e la Toscana. Le truppe papaline velocemente tornarono in Umbria e nelle Marche, anche a costo di qualche strage: ad esempio, il massacro di Perugia del 20 giugno 1859.
il 24 marzo del 1860 (tornato al governo Cavour), il Piemonte tenne fede agli accordi stipulati con la Francia. Vennero cedute, con il Trattato di Torino, la Savoia e Nizza ai transalpini (tranne Tenda, passata alla Francia solo dopo la II guerra mondiale).


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