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A Marsala non vi fu nessuna sollevazione, come sperato. Nei giorni successivi, sembra che sbarcarono a Marsala militari piemontesi in abiti civili, con regolare permesso. Unitamente ai picciotti del barone Sant'Anna, il gruppo si diresse verso l’interno. Raggiunta Salemi, Giuseppe Garibaldi, il 14 maggio, assunse la carica di dittatore della Sicilia a nome di Vittorio Emanuele II. Il giorno successivo si scontrò, per la prima volta, contro circa 4.000 soldati borbonici nella battaglia di Calatafimi.
Secondo la versione narrata da Giuseppe Cesare Abba nel suo noto libro Da Quarto al Volturno, in un momento sfavorevole della battaglia, al consiglio di Nino Bixio di ritirarsi Garibaldi disse la famosa frase:Bixio, qui si fa l'Italia o si muore!”. In realtà, il generale borbonico Francesco Landi, dopo aver frenato le truppe, si disimpegnò dallo scontro ritirandosi inspiegabilmente. Ciò aprì ai Mille la strada per Palermo. Tra il 27 e il 30 maggio, i palermitani insorsero e Garibaldi, dopo breve scaramuccia, entrò in città attraverso il Ponte dell'Ammiraglio. Altri scontri si ebbero tra Porta Sant'Antonio e Porta Termini. Diversi furono i caduti tra i garibaldini (ad esempio, l'ungherese Luigi Tüköry) e molti furono i feriti, tra questi: Benedetto Cairoli, Stefano Canzio e lo stesso Bixio. A Palermo Garibaldi si impadronì dell'oro del Banco di Sicilia. Moltissimi volontari, provenienti dalla Sicilia, ma, anche, dal resto d’Italia, si aggregarono ai garibaldini. Importante fu l’arrivo a Palermo da Parigi dello scrittore Alexandre Dumas, che, possessore di diversi giornali, aggiornò, d’ora in poi, il pubblico francese con notizie “dal fronte” della avanzata del generale Garibaldi.
Il 20 luglio, avvenne la battaglia di Milazzo, dove vennero sconfitte le truppe borboniche. La cittadella fortificata di Messina, con un accordo tra Giacomo Medici e il generale borbonico Clay, non oppose resistenza (con la neutralizzazione di Messina): le truppe s’imbarcarono per il continente, lasciando la città ai garibaldini.
Mentre i soldati borbonici attendevano a Reggio l’arrivo dei garibaldini, Garibaldi, sorprendendo tutti, sbarcò (con un esercito di circa ventimila volontari) sulla parte jonica della Calabria a Melito Porto Salvo. In Calabria le truppe borboniche non offrirono un argine adeguato all’avanzata di Garibaldi. Interi reparti si disperdevano o passavano dalla parte dei garibaldini. Truppe borboniche, al comando del generale Giuseppe Ghio, il 30 agosto, si fece disarmare a Soveria Mannelli. Con una marcia ormai trionfale Garibaldi risalì la penisola sino a Salerno.
Ormai al corrente della situazione e del pericolo, conscio d’essere stato tradito da molti generali, Francesco II lasciò Napoli e mettendosi al comando delle truppe rimaste fedeli, circa 50.000 soldati, si diresse nella piana del Volturno, attorniata dalle fortezze di Gaeta e Capua. il 7 settembre, con la città praticamente aperta, Garibaldi entrò a Napoli accolto da liberatore. I soldati rimasti, anche se numerosissimi, rinchiusi nei forti cittadini, offrirono, ormai, una resistenza puramente simbolica, per poi arrendersi. La successiva battaglia del Volturno fu decisiva dell’intera sorte della spedizione. Lo scontro fu aspro, al comando del generale Giosuè Ritucci, le truppe borboniche si batterono con decisione contro i garibaldini, tanto che, alla fine della battaglia, il primo d’ottobre, il risultato fu pari. Ma in una situazione come quella, ormai del tutto compromessa, il “pareggio” voleva dire per Francesco II solo sconfitta.
Contemporaneamente a questi avvenimenti, il genio politico, dalle mille facce, di Cavour, ebbe una “vittoria” decisiva. Egli convinse Napoleone III che Garibaldi andava fermato, perché uomo pericoloso. Questi, infatti, poteva costituire nei territori conquistati, una Repubblica, assai dannosa per le influenze che poteva avere sull’equilibrio dell’intera Europa. Oppure, se non fermato, poteva dirigersi direttamente verso Roma, mettendo a rischio la figura stessa del papa. Napoleone III, messo di fronte all’interrogativo Garibaldi, accettò che il regno di Sardegna inviasse una spedizione militare per fermarlo e mantenere un ordine politico. A questo punto, Cavour inviò due contingenti verso sud, passando per il lato adriatico della penisola. L’esercito piemontese, al comando dei generali Manfredo Fanti ed Enrico Cialdini, in sostanza, invasero Marche ed Umbria, Stati pontifici, scontrandosi con l’esercito papalino nella battaglia di Castelfidardo, presso Ancona, il 18 settembre. Vittoriosi, continuarono l’avanzata passando per l'Abruzzo ed il Molise, invece del Regno borbonico. Come se ci fosse stato un appuntamento, le truppe piemontesi raggiunsero Garibaldi nei giorni successivi a quello della battaglia del Volturno (I ottobre).
Poiché dal 9 ottobre, il comando venne preso direttamente dal re Vittorio Emanuele II, si ebbe il famoso incontro di Teano fra il re e Garibaldi, il 26 ottobre 1860. Dopo l’incontro ed il “passaggio di consegne”, il re, il 7 novembre, entrava trionfalmente a Napoli. Immediatamente sciolse l'esercito garibaldino (che ormai contava più di 50.000 soldati), mentre Garibaldi si ritirava, nuovo Cincinnato, nell’isola di Caprera.

 

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