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Carlo Dossi
Dossi n
acque, nel 1849, a Zenevredo (provincia di Pavia) dalla famiglia antica e benestante dei Pisani-Dossi (egli vantava, addirittura, una parentela con l’illuminista Cesare Beccaria). Fu importante sia sotto il profilo letterario che quello politico.
Già a sedici anni (1865), pubblicò un libro, scriveva come giornalista ed editò, a proprie spese, un periodico, Palestra Letteraria Artistica e Scientifica, a cui collaborarono diversi noti scrittori, tra cui Giosuè Carducci.
Sempre giovanissimo partecipò alla corrente della Scapigliatura milanese, realizzando testi come L’Altrjeri - nero su bianco, Vita di Carlo Alberto Pisani, Note azzurre, Ritratti umani - dal calamajo di un medico. Scrittore personalissimo, sia nei vocaboli (latini e lombardi, tecnici e gergali), la lingua (con termini arcaici, aulici e dialettali), la punteggiatura e la stessa ortografia.

Politicamente si legò con Francesco Crispi e partecipò al suo governo. Fu nominato «Ciambellano del cifrario» al Ministero degli Esteri, Console a Bogotá (nel 1870), Ministro Plenipotenziario ad Atene e verso gli ultimi anni di vita, Governatore dell’Eritrea. Alla caduta del governo Crispi (1896) e la sua successiva morte, Dossi si rinchiuse nella villa di Corbetta, dedicandosi a più che un hobby: l’archeologia. Nella sua vita raccolse, anche in campagne di scavo proprie, e portò in Italia, diversi resti artistici, tanto da costituire un museo (il Museo Pisani Dossi) nella sua stessa villa di Corbetta. Alcuni suoi reperti si trovano al museo archeologico del Castello Sforzesco di Milano.
Morì nella bellissima villa, da lui edificata, a Cardina sul lago di Como (nel 1910). Tale villa è attualmente chiamata Dosso, proprio in suo onore.

Emilio Praga
La “poetica” del maledettismo scapigliato può essere impersonificata dall’opera e dalla vita stessa di Emilio Praga. L'alcool e le droghe riempirono la sua vita disordinata, la contestazione della società borghese, del culto del denaro, l’attacco contro lo stesso progresso scientifico e tecnologico  (che minaccierebbe la bellezza), sono tutti temi tipici della scapigliatura, ma Praga va oltre: scrive testi dove esalta l’abuso di alcool, ma anche l'orgia e l'incesto. E’ il vero poeta maledetto alla Baudelaire, che aveva approfondito a Parigi (tra il 1857 e il 1859 nei suoi viaggi europei), oltre alle tematiche di Victor Hugo, Alfred de Musset ed Heinrich Heine. Se Praga cercava dalla borghesia lo scandalo, l’ottenne con la pubblicazione della raccolta Penombre (del 1864), dove utilizza un linguaggio crudo con termini brutalmente realistici. Il pubblico borghese, che gli aveva tributato un certo qual successo con l’uscita della prima raccolta, Tavolozza (del 1862), gli voltò le spalle, scandalizzato,  tanto che, successivamente, Praga dovette ammorbidire i toni con il ritorno a tematiche di tipo romantico, più che scapigliate. Pubblicò, infatti, l’opera poetica, Fiabe e leggende (del 1869).
Ma era la sua vita ad andare a picco: nel 1873, fu abbandonato dalla moglie e dal figlio Marco. Le sue finanze, che avevano subito un tracollo a partire, già, dalla morte del padre, con il dissesto finanziario dell'azienda familiare (eppure alla nascita, nel 1839, la sua era una famiglia industriale agiata), lo portarono alla miseria totale. Morì povero e alcolizzato, nel 1875 a Milano, a soli 36 anni.
Alla sua prematura morte rimase molto materiale non pubblicato, come i carmi di Trasparenze (editato nel 1878),  o non finito, come Memorie del presbiterio. Questo romanzo, ultimato dall’amico Roberto Sacchetti,  ci presenta un Praga tutto diverso. C’è in questi testi postumi il desiderio intimo (e rassegnato) di una purezza tutta infantile, immersa nella pace della campagna, impersonificata dalla figura del vecchio prete, il personaggio principale del romanzo. L’opera, pubblicata a puntate sul giornale Il Pungolo (1877), uscì in libreria in un volume nel 1881.

 

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