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Alcuni scrittori, raccolti a Milano, ma provenienti da tutta l’Italia, si confrontarono sulla rappresentazione della realtà sociale, allora misconosciuta. Il primo teorizzatore della nuova corrente fu Luigi Capuana, con la sua "poesia del vero", ma l’esponente più autorevole fu, senz’altro Giovanni Verga. Inizialmente dissociato dal gruppo milanese, già famoso per opere tardo romantiche, convergendo sulla tematica verista, produsse in principio opere come la raccolta di novelle Vita dei campi. Fu, tuttavia, con la pubblicazione, nel 1881, de I Malavoglia, che si impose all’interesse del pubblico, avviando concretamente la nuova corrente letteraria.
Pur se di nascita milanese, il Verismo si occupò principalmente della società nelle sue classi sociali, proprie
dell'Italia centrale, meridionale e insulare. Infatti, ogni scrittore si occupò degli aspetti della vita da dove proveniva; così Giovanni Verga, Luigi Capuana e Federico de Roberto
scrissero della Sicilia, Grazia Deledda della Sardegna, Matilde Serao e Salvatore di Giacomo di Napoli, Cesare Pascarella di Roma (con le sue poesie) e Renato Fucini della Toscana (con le sue novelle).
Tra le tecniche proprie del movimento la più conosciuta e importante è quella del "Principio dell'Impersonalità", cioè, la ricerca del distacco nei confronti dei personaggi e dell'intreccio narrativo. Il racconto si sviluppa tutto in
terza persona, senza commenti  od opinioni dell’autore. Il giudizio viene lasciato rigorosamente al lettore. Tocca a lui riflettere sia su un certo personaggio o su una specifica situazione.  

Se l’ispirazione dal Naturalismo porta lo scrittore verso l’impersonalità del testo, i veristi italiani dimostrano tutta la volontà dell’opinione personale, a differenza dei colleghi francesi. Le nuove tecniche narrative, create dai veristi, trovano la vera novità, infatti, nelle realtà sociali riscoperte e portate all’attenzione dei lettori: una spinta verso la modernità.
Le questioni socio-culturali di fine Ottocento sono il pane dei veristi. Verga, soprattutto, tende a mettere in risalto la questione della situazione meridionale, con i suoi costumi e le sue usanze, del tutto sconosciute nel nord Italia
dell’epoca.
I protagonisti specialmente in Verga sono di umili origini, pescatori,
contadini o artigiani. Per descrivere il loro mondo viene utilizzata una prosa semplificata, a volte gergale, sicuramente non colta. Oltre  l'artificio di regressione, viene utilizzato il principio della concatenazione e della concatenazione opposta, cioè, l’uso di ripetizioni, di parole di significato analogo o di parole di senso contrario.
Rimane la visione di un mondo senza speranza, senza possibilità. E’ il "concetto dell'ostrica": l’impossibilità di affrancarsi dalla povertà o, come l’umile contadino Mazzarò (nella novella verghiana de La roba
), l’impossibilità, nonostante la fortuna economica raggiunta, di conquistare una nuova e più elevata posizione sociale. E’ il “pessimismo” di Verga, che non gli fa vedere, in quel momento,  la possibilità dello sviluppo economico e di pensiero che, successivamente, ha portato alla realtà attuale. 

 

 

 

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