Il piccolo segreto di Luigi Capuana, fu quello della curiosità e
interesse verso tutte le novità che la modernità andava
proponendo. Il positivismo, con il suo metodo scientifico, e di
conseguenza il Naturalismo, furono alla base delle sue teorie
veriste, ma anche, più in là nel tempo, si interessò al
Futurismo o alla
nascente arte della
fotografia,
fino alle tendenze spiritualistiche
e irrazionali,
pronto a rinnegare, coinvolto sempre nelle nuove
sperimentazioni, le sue stesse tendenze positivistiche. Fu,
quindi, sempre entusiasta delle avanguardie e dei contenuti che
andavano proponendo. Alla base del positivismo vi era, come
visto, il metodo sperimentale. La conoscenza della realtà era,
quindi, il punto di partenza per un approccio scientifico da cui
partire.. Nuove scienze andavano profilandosi: dall'analisi
delle strutture
psicologiche
secondo i principi della
fisiologia,
alla documentazione folkloristica
di una nascente, se vogliamo, antropologia culturale, per la
rappresentazione veritiera e documentata del
mondo contadino.
Capuana si rese conto che la verità scientifica del mondo reale
portava ad una visione, nella descrizione narrativa, il più
distaccata possibile, portava al suo metodo
dell'impersonalità.
L'autore,
quindi,
non
doveva più servirsi dei fatti come di una scusa
per esprimere sé stesso
e le proprie convinzioni, ma, al contrario, partire dalla prima
regola fondamentale di ritrarre direttamente dal vero
(la poetica del vero).
Egli doveva attingere, secondo Capuana,
dalla vita contemporanea materia e fatti realmente accaduti.
Poi, narrativamente, disvelare le cause iniziali e
il successivo
sviluppo mediante il quale il fatto si era
determinato.
Nel racconto, per non distorcerlo e falsificarlo, andava,
inoltre, utilizzata una prosa semplice ed immediata, il più
aderente ai fatti
stessi (ne
"Il Teatro italiano contemporaneo. Studi sulla letteratura
contemporanea").
La sua ricerca, attraverso l’uso della realtà, era soprattutto
mirata alla
"forma vitale" che egli cercava nell'opera d'arte. Scriveva:
“ L'opera
d'arte come organismo vivente - Quando l'artista riesce a
darmi il personaggio vivente davvero, non so che dargli altro e
lo ringrazio. Mi pare ch'egli mi abbia dato tutto quello che
dovea. Pel solo fatto di essere vivente, quel personaggio è
bello, è morale: e se opera bene e predica meglio, non nuoce:
torno a ringraziar l'artista del più. E al pari del personaggio
amo viva l'azione. L'azione allo stesso modo, pel solo fatto di
esser vivente è bella, è morale: non bisogna pretendere
l'assurdo. Sotto la veste dell'artista, convien rammentarselo,
c'è sempre più o meno un pensatore. Se questi fa capolino un po'
più dell'altro, tanto meglio; è quel che ci vuole a questi
benedetti lumi di luna. Ma se si dovesse scegliere ad ogni
patto, o l'uno o l'altro, io non esiterei, trattandosi di
teatro, a scegliere l'artista. “
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