La serenità della fanciullezza ha per Renato
Fucini il gusto della Maremma. Il Padre David, infatti, svolgeva
a Campiglia Marittima (Grosseto) il suo lavoro di medico della
commissione governativa delle
febbre
malariche. Tuttavia, dopo aver perso il lavoro, le
difficoltà economiche consigliarono di ritirarsi nella casa del
nonno a Dianella (presso Empoli). Il Fucini svolse le scuole
elementari dai
Barnabiti a Livorno, mentre portò avanti gli studi superiori
privatamente ad Empoli. Si laureò, nel 1863, in Agraria
all'Università di Pisa, cominciando a lavorare presso lo
studio di un ingegnere a Firenze, allora capitale d'Italia.
Nonostante la formazione tecnica, piano piano, si accese il
desiderio della scrittura. Frequentando il Caffé dei Risorti,
si ritrovava a
parlare con gli avventori di vari episodi tragicomici, da
cui iniziò a prendere spunti per diversi sonetti. L’“hobby”
iniziò a non essere più tale quando per questi sonetti iniziò ad
essere conosciuto come poeta, soprattutto dopo la pubblicazione,
nel 1871, della raccolta "Cento sonetti in vernacolo pisano",
che si dimostrarono un successo di livello nazionale. Il libro
fu editato, forse per aumentarne il gusto campagnolo, sotto lo
pseudonimo-anagramma di Neri Tanfucio, di professione muratore
toscano. La falsa identità rivela quali fossero le idee del
Fucini, che spesso si divertiva a recitare il personaggio del
campagnolo rustico, ma sincero e disponibile, che si ritrova
spesso nei suoi racconti.
Nel 1877 provò a pubblicare un
testo in prosa con un reportage su
Napoli,
visitata insieme a Giustino Fortunato, famoso uomo politico e
scrittore, dal titolo "Napoli a occhio nudo: Lettere ad un
amico". Il successo che ne ottenne lo portò a cambiare
attività dandosi all’insegnamento. Divenne professore di Belle
Lettere a
Pistoia e in seguito ispettore scolastico. Da
quest’ultima esperienza, che gli permetteva di vagabondare per i
paesetti della Toscana, nel 1882, trasse la raccolta di novelle
"Le veglie di Neri: paesi e figure della campagna Toscana".
Chiaramente il suo mondo narrativo era fatto della sua vita in
Maremma; trattava della vita agreste e dei contadini della
Toscana e dei borghi dell'Appennino pistoiese. Su tali tematiche
compose altre raccolte, come "All'aria aperta" e "Nella
campagna toscana".
Dopo alcuni anni di lavoro, dal
1901 al 1907, alla
Biblioteca
Riccardiana di Firenze, andò in pensione nel 1907.
Dividendosi tra la casa di Dianella e quella di Castiglioncello
(Livorno), portava avanti le sue relazioni con amici ed ex
colleghi. Nel
1916 ebbe il riconoscimento d’essere eletto socio
dell'Accademia
della Crusca.
Morì, a 78 anni, il 25 febbraio del 1921. Il suo ultimo
lavoro fu pubblicato, nello stesso anno, postumo, "Acqua
passata: storielle e aneddoti della mia vita", raccolta di
testi brevi di carattere autobiografico.
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