Proprio a causa di questa morte improvvisa, il nome di Federigo
Tozzi risulta sconosciuto ai più.
La maggior parte delle
sue opere erano rimaste inedite. Fu il figlio Glauco a
raccoglierle con amore e a pubblicarle anche se postume:
Il podere
venne editato nel 1921, Gli egoisti nel 1923 e Ricordi
di un impiegato nel 1927.
Dopo di che, come accennavamo, la sua opera cadde nell’oblio.
Solo negli anni sessanta Tozzi fu riscoperto dalla critica.
Questa aggiornò il giudizio sul suo lavoro. La sua collocazione
letteraria non fu più quella verista-regionalista, ma,
capovolta, realista. Il Tozzi letterato è visto come scrittore
di stampo psicologico, rasente al
simbolismo. La
sua prosa è paragonata a quella di maestri come Kafka e
Dostoevskij. In effetti il suo stile risulta difficile
e, apparentemente, sconnesso, come la sua struttura narrativa
giudicata "imperfetta". Come nei romanzi di Italo
Svevo
(a cui importa
quello che dice la coscienza), la trama del racconto si sviluppa
per salti e scarti repentini. Si tratta di una lettura per nulla
“piacevole”, anche perché è lo stesso Tozzi a non volerlo. I
suoi romanzi sono intrisi di amarezza e tristezza, come gli
occhi dei suoi personaggi, poveri contadini alle prese con la
grama vita dei campi. A volte sui protagonisti incombe
psicologicamente un mondo fatto
di ansia,
angoscia e paura,
tutte inconscie tanto da sfociare in azioni illogiche, non
avendone la percezione materiale (come ne
Il Podere). Tozzi si affaccia al Novecento, mentre il
Naturalismo positivista si sta sbriciolando nel realismo e nel
simbolismo. Alla base vi è la nuova visione psicologica e quella
psicoanalitica di Freud. Non conoscendo quest’ultimo, Tozzi è
concentrato sugli aspetti psicologici del carattere e della
personalità. I suoi racconti sono
tutti ripiegati sull'interiorità umana dei personaggi. La
realtà, col disturbo dell’inconscio, finisce per somigliare ad
un incubo, a volte duro, a volte violento. La sua particolare
visione della realtà poggia sull’inadeguatezza e inettitudine
dei caratteri di fronte alle vicende della vita che chiede
risposte superiori alla forza tutta psicologica dei
protagonisti. Nel confronto duro tra realtà e personaggio nasce
l’incubo, la rappresentazione lirica dello sbandamento umano.
Il tema dell’inadeguatezza dell’individuo di fronte alle
richieste della vita nei libri di Federigo Tozzi ricorda l’opera
di Joyce (Ulisse), Musil (L'uomo
senza qualità),
Kafka (Il processo), Svevo (La coscienza di Zeno,
Una Vita), Mann e Proust.
Tozzi usa le
forme tipiche del realismo, ma come fa notare Pasquale Voza
(1985), spunti regionali e significati universali
interagiscono tra di
loro, tanto che il microcosmo esplodendo incorpora il
macrocosmo.
Molti altri sono gli aspetti scoperti e messi in luce da critici
moderni nell’opera di Tozzi. Ricchezze che vanno dall’espressionismo,
la rappresentazione allucinata della realtà, le "patologie
psicologiche" dei personaggi, la centralità dell'io e il
"realismo-simbolico".
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