1/4 – Siamo tutti sotto una specie di incantesimo
2/4 – Ma è vero che, se non stai pagando, il prodotto sei tu?
3/4 – L’intelligenza artificiale sta già governando il mondo
4/4 – Come fai ad uscire da Matrix se non sai di essere in Matrix?

L’intelligenza artificiale sta già governando il mondo – 3/4

Quante cose stiamo considerando seguendo i contenuti espressi in The Social Dilemma, il nuovo documentario diretto da Jeff Orlowski e prodotto da Netflix. Abbiamo abbandonato, ad esempio, l’idea di un contesto tecnologico basato sugli strumenti, a favore di un contesto tecnologico basato, invece, sulla dipendenza e sulla manipolazione. Ne consegue che i social media non sono, come molti pensano, degli strumenti che aspettano di essere utilizzati, ma hanno obiettivi e mezzi per perseguirli. Ciò che mette più apprensione è che neppure i progettisti di questi mezzi sono in grado di controllarne l’utilizzo. Questo perché la forza di volontà non basta per combattere le tentazioni e le seduzioni che provengono dal web. Il nostro imperativo è divenuto quello di essere costantemente connessi con gli altri. Come se fossimo assoggettati ormai ad una sorta di droga. Questo è spiegabile scientificamente col rilascio di dopamina nel sistema di ricompensa. Che cosa è? La ricompensa è uno stimolo gratificante. Wolfram Schultz, esperto di neuroscienze, spiega che «qualsiasi stimolo, oggetto, evento, attività o situazione che ha il potenziale per farci avvicinare e consumare è per definizione una ricompensa». Al sistema di ricompensa sono, infatti, attribuibili la motivazione, l’apprendimento, tutte le emozioni positive comprese in primo luogo quelle che coinvolgono il piacere. Fanno parte dell’essere umano.

L’evoluzione ha portato a raggrupparci per vivere in comunità. Non c’è, quindi, alcun dubbio che i social media utilizzino questo sistema di connessione tra le persone fino a creare potenzialmente dipendenza nei soggetti più deboli. Sullo smartphone, in continuazione, cerchiamo contatti e siamo presi dal desiderio di rispondere immediatamente a questi contatti, dimenticando il mondo reale che ci circonda. Pare molto interessante il fatto che il documentario, nell’esprimere questi concetti, faccia sempre riferimento proprio all’utilizzo del cellulare, primo fra i dispositivi utilizzabili. Certamente è il più maneggevole fra tutti. Si parla del tempo trascorso al telefono o al computer, ma questo computer è pur sempre lo stesso cellulare con le sue svariate applicazioni. Ci sono dispositivi che forniscono il tempo di utilizzo di tali applicazioni, le loro medie giornaliere o settimanali. Questi sistemi tecnologici sono stati progettati per consigliare alternative riguardo a cosa si può fare. Ad esempio, scattare una foto con filtri grazie alla quale ritoccare il volto. Quali parti vorresti modificare? Quindi, questi algoritmi non controllano soltanto l’attenzione dell’utente, ma scavano sempre più in profondità per prendere il controllo della loro autostima e della loro identità. Ad ognuno interessa sempre di più il parere delle altre persone che fanno parte della medesima “tribù”. Ma la realtà è ben diversa: non ci siamo evoluti tecnologicamente per conoscere il parere di altre persone e ottenere, ogni cinque minuti, la loro approvazione attraverso un like. Costruiamo ormai le nostre vite attorno ad un’idea di perfezione percepita. In tempi stretti attendiamo segnali affermativi – come pollici in su, mi piace, ok! – e confondiamo questi segnali con il valore e la verità. A ben considerare, però, si tratta di una popolarità a breve termine, che lascia spesso un senso di vuoto ancora più grande, che porta ad un circolo vizioso. Tutto questo è applicato a due miliardi di persone. Come reagiscono gli individui alla percezione che gli altri hanno di loro? In ogni istante della giornata molti aspettano approvazioni che non arrivano. Sono portati ad acquisire gli stessi pensieri fissi di certi divi che sentono vicino il viale del tramonto. Solo che queste manie non riguardano soggetti anziani, dal momento che malessere, prostrazione e ansia s’innescano soprattutto fra gli adolescenti. Alcuni grafici del documentario mettono in evidenza che l’incremento vale soprattutto per il 62% dei ragazzi più grandi e il 189% dei preadolescenti. Come passano il loro tempo? Tornano da scuola e si mettono davanti ai loro dispositivi. Ne consegue che si sta sviluppando un’intera generazione più fragile, più inquieta e depressa. Meno propensa a correre rischi. Tali giovani tendono a confrontarsi con uno standard irrealistico di bellezza, di benessere, di successo. Per cui, spiegano gli esperti digitali – come Tristan Harris cofondatore del Center For Human Technology, Justin Rosenstein coinventore del tasto “mi piace” di Facebook oppure Jaron Lanier pioniere della realtà virtuale – di fronte al disagio si pensa di avere a disposizione un “ciuccio” digitale, come si potrebbe definire il cellulare. Questo sta atrofizzando la capacità di affrontare nel modo giusto le avversità della vita. Ecco dunque che i social network e i giganti high-tech, consapevoli della quantità di ore che le persone passano incollate allo schermo, traggono il massimo profitto.

In passato un software di grafica non permetteva di utilizzare un numero considerevole di colori per creare dipendenza o manipolare coscienze, ma per offrire un servizio. Non si utilizzavano ascendenti del tutto nuovi, come migliaia di notifiche o l’intelligenza artificiale, per sfruttare la debolezza delle persone ad essere assuefatte. Certamente ad affermazioni del genere alcuni esperti contrari obiettano che questo è solo l’ultimo nuovo livello, come già si è verificato in passato con l’introduzione di ogni nuova tecnologia. Con gli anni, dicono, ci adatteremo e impareremo a convivere con questi strumenti innovativi. Ma i pentiti della della Silicon Valley rispondono che, rispetto al passato, c’è qualcosa di assolutamente nuovo: tutto è mosso dalla tecnologia che si sta sviluppando in modo esponenziale. Esiste una potenza di elaborazione aumentata 1 trilione di volte. Niente ha avuto un incremento lontanamente simile. Al contrario, i nostri cervelli non si sono evoluti in proporzione. Dal punto di vista mentale l’essere umano, nell’immediato, non subirà cambiamenti sostanziali.

L’intelligenza artificiale, in continuo sviluppo, sta già governando il mondo. Esistono migliaia di computer che eseguono programmi estremamente complessi, scambiandosi informazioni senza interruzione. Dall’altra parte dello schermo di un dispositivo ci sono migliaia di ingegneri che elaborano software. I loro algoritmi non sono di per sé oggettivi, ma sono “opinioni integrate in un codice”. Ciò che spesso si dimentica è che tali algoritmi hanno uno scopo preciso: vendere e poi ancora vendere. In altri termini, se un’impresa commerciale crea un algoritmo per definire il proprio successo, quell’algoritmo ha un interesse commerciale: il profitto. Il computer è programmato per imparare da solo a svilupparsi. Questa tecnica si chiama “apprendimento automatico”, pertanto ogni giorno aumentano le capacità di scegliere fra le migliaia di dati che si accumulano. L’ingegnere elettronico è una persona che materialmente scrive l’algoritmo, ma è la macchina che ha imparato a modificare sé stessa. Sono pochissime le persone al mondo che capiscono come davvero funzionino questi sistemi e cosa accadrà in un prossimo futuro. Abbiamo quasi perso il controllo di questi sistemi, avvertono gli esperti intervistati nel documentario. Immaginiamo, dicono, di giocare contro una intelligenza artificiale che sa tutto di noi, capace di anticipare ogni nostra prossima mossa, mentre a noi compaiono soltanto video di gattini che giocano e foto festose di compleanni. Non è una lotta alla pari.

The social dilemma – Trailer italiano

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica del logo del documentario Netflix – Disegno di Gordon Johnson da Pixabay