All’epoca i beni di consumo raggiungibili dalla classe operaia non sembrano andare oltre quelli di un’economia di sussistenza. Il rinnovamento oscilla fra tradizione e modernità
Nonostante l’Italia vivesse una delle fasi più floride della sua industrializzazione, il potere d’acquisto delle fasce popolari rimaneva ancorato a un’economia di mera sussistenza. Nel 1911, l’accesso ai beni di consumo per la classe operaia milanese era ancora estremamente limitato: il 70% del salario era assorbito dalle sole spese alimentari.
Tuttavia, l’orizzonte materiale degli italiani si stava ampliando. La produzione, sospesa tra l’ambiente domestico e le prime strutture artigianali composte da qualche decina di lavoratori, iniziava a rivolgersi a un nuovo ceto urbano e impiegatizio, con esigenze più raffinate e una capacità di spesa in crescita.
Le prime manifatture a espandersi furono quelle legate ai materiali tradizionali e a basso contenuto tecnologico: legno, ferro e ceramica, che iniziarono a conquistare un ruolo più significativo negli arredi domestici. La Brianza divenne l’emblema di questa evoluzione, con una crescente specializzazione che portò alla nascita di distretti produttivi ben definiti: Camnago per la produzione di sedie, Meda e Barlassina per i mobili in stile, Lissone per quelli di grande volume, mentre Cantù si affermò come centro di produzione generica e a prezzi competitivi.
Dietro questa fiorente industria del mobile si celava l’influenza della grande distribuzione milanese, che assorbiva circa il 75% della produzione locale. Contemporaneamente, la lavorazione del mobile di lusso, più sofisticata e tecnologicamente avanzata grazie all’impiego di seghe a nastro e piallatrici, si concentrava nelle officine meneghine, seguendo il modello inaugurato da laboratori come quelli di Quarti e Zen.
Parallelamente, il settore della vendita al dettaglio iniziava a mutare volto: comparvero i primi magazzini annessi alle botteghe artigiane, le prime esposizioni e persino i primi cataloghi di vendita, redatti anche in francese per attrarre una clientela internazionale.
Se nel comparto del legno la produzione manteneva ancora una struttura frammentata tra piccole e medie officine, in altri settori – dall’illuminazione alla ferramenta, fino ai sanitari – la distribuzione avveniva ancora attraverso grandi bazar. Questi ultimi, però, non erano più semplici punti vendita di merce importata: aziende come la Fratelli Santini di Ferrara e la Compagnia Continentale di Milano, con centinaia di operai, avevano sviluppato una rete produttiva interna, in cui lavorazioni diverse erano accorpate in piccoli stabilimenti. Pur prive di un’elevata specializzazione, queste imprese riuscivano a soddisfare un mercato in espansione, distribuendo i propri prodotti attraverso filiali dislocate in tutta Italia.
L’epoca attorno al 1910-1911 può dunque essere considerata il periodo aureo della produzione artigianale: la scadenza di molti brevetti stranieri, una maggiore disponibilità di materie prime e il consolidamento di un sapere manifatturiero italiano contribuirono a un’autentica trasformazione del settore. Tuttavia, l’assenza di una razionalizzazione produttiva si rifletteva ancora nell’anarchia tipologica dei cataloghi commerciali, in cui si potevano trovare fino a mille modelli di lampade diverse, decine di portasapone realizzati con materiali differenti e una varietà altrettanto ampia di lavabi.
Se il design degli oggetti risultava ancora disordinato e influenzato da un certo ottimismo proto-industriale, il vero cambiamento si riscontrava nei materiali impiegati. Nel giro di vent’anni, le abitudini domestiche si erano già trasformate: in bagno, la ghisa e lo zinco avevano lasciato il posto a una porcellana più raffinata e igienica; in cucina, rame e terracotta erano progressivamente sostituiti dall’alluminio, mentre il legno veniva relegato agli accessori minori.
Ma il mutamento più significativo fu l’introduzione di nuove fonti energetiche. Gas e Luce elettrica cominciavano a rivoluzionare l’economia domestica: le lampade e i fornelli funzionavano a gas, mentre il ferro da stiro elettrico sostituiva quello in ghisa, che fino ad allora doveva essere riscaldato sulla fiamma viva. Nel settore dell’utensileria, le pentole in rame stagnato coesistevano con nuove casseruole e colatoi in alluminio, mentre l’avanzata delle reti metalliche relegava il legno a un ruolo sempre più marginale, confinandolo a pochi accessori come scolatoi e rastrelliere.
L’artigianato di massa si trovava, dunque, a un bivio: da un lato, un sistema produttivo ancora ancorato alla tradizione, dall’altro, l’emergere di nuovi processi e materiali che avrebbero gettato le basi per la moderna industria manifatturiera italiana.
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