Théophile Alexandre Steinlen, Tournée du Chat Noir (1896)

Il termine Belle Époque, pur originariamente riferito principalmente alla storia francese e belga, è impiegato anche come riferimento generale alla società europea che precedette la Prima Guerra Mondiale. I diversi sviluppi legati al capitalismo di questo periodo si manifestarono in tutto il continente europeo. La Belle Époque fu contraddistinta, dunque, da una significativa ripresa del commercio, dei traffici e del turismo tra i vari Stati europei.

In questa pagina, tuttavia, vorremmo parlare nello specifico dello spettacolo agli inizi del secolo, quando la Belle Époque effondeva gli ultimo sprazzi. Le grandi capitali europee, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, vivono, infatti, una stagione di straordinaria effervescenza culturale e mondana. Parigi, Vienna, Berlino, Pietroburgo e Londra si trasformano in crocevia di idee e innovazioni artistiche, alimentando un clima di fermento intellettuale e frivolezza edonistica. È l’epoca in cui i caffè si trasformano in cenacoli letterari, i cabaret si moltiplicano, e le sperimentazioni artistiche danno vita a nuovi linguaggi e movimenti.

Il passaggio dal rigore vittoriano a una società più libera e disinvolta segna l’inizio di un’epoca in cui l’arte, il divertimento e la mondanità si fondono e si diffondono. Parigi si conferma il cuore pulsante della vita culturale e notturna d’Europa. Le avanguardie artistiche si sviluppano nei quartieri di Montmartre e Montparnasse, i musicisti esplorano nuove sonorità, mentre i salotti e i café chantant offrono palcoscenici per ballerine audaci e chansonnier. Il Moulin Rouge, Les Folies Bergère e Chez Maxime diventano emblemi di un intrattenimento sfavillante e irriverente.

Vienna, la città del valzer e dell’eleganza, è invece il simbolo di una raffinatezza che cela sotto la sua superficie un’angoscia latente. Tra i fasti della corte asburgica e le contraddizioni di un impero ormai crepuscolare, fioriscono talenti straordinari: musicisti, letterati e filosofi si ritrovano nei caffè lungo il Ring, dando voce a un’epoca segnata dal decadentismo e dalle intuizioni psicanalitiche di Freud.

Budapest risuona delle melodie zingare, mentre Pietroburgo è immersa in un’atmosfera di lusso e decadenza, dominata dallo sfarzo della corte zarista e dalle ombre della repressione politica. Tra complotti e fermenti rivoluzionari, maturano le avanguardie che influenzeranno il panorama culturale del XX secolo.

Anche Londra, scrollatasi di dosso il moralismo vittoriano, riscopre il piacere dei costumi più disinvolti, mentre l’Italia, tra Roma e Milano, si lascia sedurre dalle forme sinuose dello stile Liberty e dall’irruenza del futurismo. L’euforia del progresso e dell’industrializzazione si mescola a un vitalismo impetuoso, che si esprime tanto nelle arti figurative quanto nella letteratura.

Ma questa è anche un’epoca in cui si vive con leggerezza, tra corse a cavallo nel Bois de Boulogne o nel Prater, serate di gioco nei casinò di Montecarlo e speculazioni in borsa. Un’esistenza intensa e spensierata, destinata a interrompersi bruscamente con lo scoppio della Prima guerra mondiale.

I caffè letterari: fucine di idee e passioni

Nei primi anni del secolo, i caffè non sono semplici luoghi di ritrovo, ma autentici laboratori culturali, animati da artisti e personalità letterarie. A Parigi, il Lapin Agile accoglie frequentatori che si imporranno sulla scena internazionale. Animano il quartiere di Montmartre con discussioni accese, bevute interminabili e fervore creativo. Modigliani, Utrillo, Suzanne Valadon, Francis Carco vi trascorrono le loro serate, mentre nei caffè di Montparnasse e di Saint-Germain-des-Prés si riuniscono intellettuali e poeti. Su Champs Elisées, i grandi ritrovi divengono soprattutto mondani, le vetrine sfavillanti dei negozi offrono al pubblico di eleganti signore, ricchi borghesi, militari, le loro merci lussuose.

Anche Vienna vanta una solida tradizione di caffè letterari: lungo il Ring, si possono incontrare Freud e gli esponenti della cultura mitteleuropea, intenti a disquisire di psicoanalisi e filosofia. In Italia, si affermano locali storici come le Giubbe Rosse di Firenze, il Florian di Venezia, l’Aragno di Roma e il Gambrinus di Napoli, frequentati da scrittori, artisti e giornalisti.

Il cabaret: specchio di un’epoca

Il cabaret è l’anima ribelle della Belle Époque. Nato a Parigi come forma di spettacolo leggero e dissacrante, combina musica, teatro e danza, con una forte vena satirica ed erotica. I loro palcoscenici ospitano ballerine audaci e artisti eccentrici, tra cui cantanti, giocolieri e trasformisti. I locali parigini più famosi furono Le Chat noir, il Cabaret des Quat’z’Arts, il Bal Tabarin (che durerà fino al 1953), La Lune rousse (anche questo resterà aperto fino al 1964). Erano ritrovi che potevano ospitare in media anche 150 persone. La linea di distinzione è piuttosto sottile: le Folies Bergère, aperte nel 1869, erano piuttosto un caffè-concerto e offrivano una gamma ampia di spettacoli (acrobazie, danza, numeri circensi…). Mentre Il Moulin-Rouge e il Paradis Latin, inaugurati nel 1889 e dotati di una grande capienza, sono designati nelle guide dell’epoca come cabaret. Durante l’Esposizione universale di Parigi del 1900, il cabaret Belle Meunière fu costruito appositamente per “Mère Quinton” (Marie Quinton, la proprietaria) e accolse migliaia di visitatori da tutto il mondo. I Music Hall si diffondono, invece, a Londra, con il grandioso Alhambra, e a Vienna, sebbene con meno clamore rispetto alla capitale francese.

Sebbene spesso considerato uno spettacolo minore, il cabaret è una vetrina di libertà espressiva e un trampolino di lancio per futuri giganti del cinema comico, come Max Linder in Francia, Maldacea in Italia e il leggendario Charlie Chaplin in Inghilterra. Fregoli, maestro della trasformazione scenica, e Houdini, illusionista dal talento straordinario, incarnano l’arte del metamorfismo e dell’inganno.

L’operetta: il sogno in musica

Se Parigi è la patria del cabaret e del Can Can, Vienna è il regno dell’operetta. Dopo il successo dei valzer e delle operette ottocentesche di Johann Strauss, un nuovo protagonista domina le scene musicali: Franz Lehár. La sua “Vedova Allegra” (1905) conquista i teatri di tutto il mondo, con melodie accattivanti e trame leggere, perfettamente in sintonia con il gusto dell’epoca. In Italia, Virgilio Ranzato ottiene consensi con “Il paese dei campanelli”, mentre persino compositori lirici come Leoncavallo e Mascagni si cimentano nel genere, senza particolare fortuna.

L’operetta rappresenta un’illusione dorata, un mondo fiabesco di principesse, amori rocamboleschi e balli sfarzosi, in cui il Danubio Blu e le note di Offenbach accompagnano gli ultimi bagliori di un’Europa in bilico tra sogno e realtà. Il mito della Belle Époque si spegnerà con il fragore della guerra, lasciando dietro di sé il ricordo di un’era irripetibile.

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