Il settore della pasta in Italia durante l’Ottocento

 

Alla fine del Settecento, in periodo napoleonico, il prefetto della Liguria, Chabrol, censisce, tra Savona e Portomaurizio (Imperia), 148 piccoli pastifici, di circa 5 addetti per ognuno di media. Nel 1857, nella stessa zona, sono presenti 66 pastifici. Nel 1862 la Camera di Commercio di Portomaurizio registra 26 pastifici cittadini, che producono 5 quintali di pasta al giorno. Continuando, nel 1867, un documento d’economia, per la riviera ligure, tra Savona, Genova e Nervi, censisce 134 differenti ditte produttive di pasta, di 1000 operai, per una produzione totale di 450.000 quintali di grano lavorati.
Dai dati economici a confronto, si deduce, non tanto il numero dei pastifici, quanto un aumento della loro produttività, grazie a più operai ed attrezzature non da poco. Ad esempio, nel settore viene introdotta la gramola a molazza, simile ad un torchio per le olive, ma azionato da un motore a vapore. Generalmente, la gramola a molazza, anziché manualmente, viene azionata con forza animale, che si evolverà utilizzando forza idraulica e poi elettrica. Vi è un risparmio di fatica ed una maggiore produttività.

Tutta questa nuova tecnologia è già presente all’esposizione di Genova del 1846. Lo sviluppo tecnico è presente, ovviamente, anche nelle regioni del Sud, ma è più lento. Torre Annunziata si evidenzia sullo scenario nazionale quale la più attiva. Nel 1793 fa registrare 445 quintali circa di produzione giornaliera, mentre Portomaurizio, nel 1862, ne lavora solo un quarto.

Nel 1830, Andrea de Jorio, napoletano, descrive con grande curiosità il “paesaggio” dei pastai. I maccheroni esposti al sole per le strade e davanti ai magazzini, lungo le vie della costiera napoletana. Consiglia ai turisti, oltre alla visita alle strade, anche quella delle manifatture, dove ammirare grossi giovanotti seminudi al pesante lavoro dei torchi per la pasta, non ancora meccanizzati. Anche se, bisogna dirlo, gli stessi viaggiatori stranieri, anziché ammirarli, ridicolizzano i pastai al lavoro.
A Gragnano e a Torre Annunziata le innovazioni sono viste con grande diffidenza e tale situazione permarrà per lungo tempo, giungendo il finire dell’Ottocento. Dopo l’Unità d’Italia, a Gragnano, il numero dei torchi passa da 81 a 120, ma è ancora poco.  Nonostante l’occupazione di migliaia di persone nel settore, la produzione di pasta continua ad essere di manifattura. Si toccano però anche nuove vette produttive.

Ciononostante, a Marsiglia (e in genere al Nord), la produzione di pasta meccanizzata, produce il doppio di quella dei pastifici di Napoli. Le remore verso la modernizzazione e l’automazione, del Sud, lasciano il settore nell’arretratezza, perdendo vendite, diffusione e mercati, conquistati invece da altri. Tutto questo è presente in uno scritto di Alessandro Betocchi, molto critico e impietoso. In ballo vi era il futuro stesso delle loro fabbriche. Infatti, nel 1860, la concorrenza estera, in particolare francese, perfettamente industrializzata, fa balzi in avanti, superando la produzione italiana in generale e napoletana in particolare. Tutto il settore italiano inizia, in questo periodo, un’attenta riflessione e analisi, smuovendo dall’inerzia l’attività intera. Inizia così la modernizzazione, che porta la produzione della pasta da manifatturiera ad industriale.

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