L’arte della cucina nella tradizione napoletana

 

«Una cucina antica, amata, ricercata – scrive Giuseppe Trincucci nella prefazione – come quella proposta da Marinella Penta de Peppo potrebbe essere la scialuppa di salvataggio per salvarci da un possibile naufragio, soprattutto morale, che ci attende forse dietro l’angolo». Marinella inizia il suo libro con inflessibili prescrizioni di bon-ton che sanno di antico, forse di sorpassato, ma in realtà riportano a uno stile di vita, di comportamenti, che dettati dalle buone maniere divengono oggi, fra chi intende, un fattore di successo, non solo a tavola, ma nella vita. E poi ci sono le ricette. Sono quattrocento in questo libro e fra queste potremmo sceglierne una a caso e leggerla, come se si gustasse quella vivanda. Per cui ci viene da domandare: come resistere alla preparazione di un ragù, che un tempo solo la domenica si poteva gustare, dopo un rito preparatorio che durava ore. Condiva quei primi piatti, fatti in casa, rigorosamente preparati con ingredienti super-selezionati e iper-biologici. E a seguire, piatti di carne che trasferivano i loro sapori e la loro fragranza attraverso un effluvio di odori che invadeva tutta la casa. Anzi tutte le case, perché non c’era ceto sociale che, tanto o poco, non prospettasse questa filosofia di vita casalinga.

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