Tom Wolfe – Lo scrittore che ha fatto un falò di certa finta cultura americana

 

 

Tom Wolfe è stato uno dei personaggi simbolo di questi ultimi trent’anni. Giornalista statunitense di primo piano, autorevole e noto in tutto il mondo, quando decise di mettersi a scrivere libri, pure nel settore letterario è immancabilmente diventato autore di primo piano. Per denotare la sua scrittura tutta particolare inventò il “New Journalism”, usando uno stile narrativo del tutto letterario anche quando si trattava di articoli giornalistici. Pubblicava su riviste come Esquire, New York, Rolling Stone e da sempre era giornalista del New York Herald Tribune. L’articolo che abbiamo scelto nel FLIP di oggi, curato da Matteo Persivale per il Corriere della Sera, lo ritrae in modo efficace a tutto tondo, perché nel caso di Tom Wolfe è facile trovare tanti estimatori quanti detrattori, come capita a chi ha una personalità carismatica e niente affatto anodina nei confronti di vizi e virtù della contemporaneità. Il primo tratto identitario era il suo abbigliamento elegantissimo, da dandy ottocentesco, con i completi immancabilmente di colore bianco, portati d’estate e d’inverno: giacca e panciotto, fazzoletto nel taschino, ghette, scarpe lucide e bastone da passeggio.

Nato a Richmond, in Virginia, il 2 marzo 1930 aveva studiato a Yale per dedicarsi da subito alla carriera giornalistica, dando vita a reportage straordinari, col suo cocktail dal carattere tutto particolare fatto di giornalismo e letteratura shakerati: periodi interminabili ma comprensibilissimi, uso di neologismi, parole in corsivo o in maiuscolo, punti esclamativi e poi ancora punti esclamativi, dettagli curiosi, descrizioni introspettive. Soprattutto lo distingueva la capacità di evidenziare il conformismo diffuso ed era altrettanto capace di attirarsi addosso gli strali di quelle categorie prese di mira dai suoi caustici testi. Rimarrà famoso per aver inventato l’appellativo di «radical chic», col quale si irrideva di quella moltitudine di rivoluzionari da salotto che riempivano all’epoca circoli politici, aule universitarie, ritrovi mondani. L’espressione apparve per la prima volta a giugno del 1970 sul New York Magazine, in un articolo intitolato “Radical Chic, That Party at Lenny’s”. Il party descritto era quello dato da Felicia, consorte del compositore e direttore d’orchestra Leonard Bernstein. L’ambiente di un attico sfarzoso, personalità della cultura e dello spettacolo newyorchese, camerieri esclusivamente bianchi (e non i neri esibiti dalla “noblesse” razzista). Il ricevimento era stato organizzato come raccolta fondi a sostegno delle “Pantere nere”, gruppo rivoluzionario di estrema sinistra.

Fra tutti i romanzi di Wolfe ricorderemo “Il falò delle vanità” (1987). Perché, in fin dei conti, è la vanità, declinata in mille sfaccettature, che lui colpiva con le sue parole ricercate. La vanità espressa nel mondo della finanza di Wall Street o nel mondo apparentemente antitetico dell’arte o dell’architettura contemporanee. Il suo website ufficiale informa: «Il suo nuovo romanzo I Am Charlotte Simmons , è ora disponibile in edizione economica da Picador. Wolfe vive a New York con sua moglie, Sheila; sua figlia, Alexandra; e suo figlio, Tommy». Qualcuno potrebbe dire che il sito non è aggiornato, dal momento che “Io sono Charlotte Simmons” è uscito nel 2004, seguito nel 2012 da “Le ragioni del sangue” (Back to Blood). Ma spicca soprattutto che “Wolfe vive a New York”. La qualcosa è in un certo senso vera; perché gli autori che hanno descritto e animato le polemiche di un’epoca non muoiono mai, almeno fintanto che non muoiono tutti coloro che ne hanno goduto o sofferto.

 

TOM WOLFE, all’anagrafe Thomas Kennerly Wolfe Jr. (Richmond, 2 marzo 1930 – New York, 14 maggio 2018), è stato un saggista, giornalista, scrittore e critico d’arte statunitense. Wolfe studiò presso l’Università Yale ottenendo un PhD in American Studies. Il suo primo impiego come reporter fu presso lo Springfield Union (Massachusetts) nel 1957. Tre anni dopo fu assunto presso il The Washington Post e vi resta fino al 1962; successivamente si trasferisce al New York Herald Tribune. Scrive articoli anche per la rivista Esquire. È considerato un padre del New Journalism, quella scuola di scrittura sbocciata negli anni Sessanta che adotta e adatta gli stili ed espedienti della narrativa propri della letteratura nel giornalismo, aderendo a una scrittura più consona alle riviste che ai quotidiani per la sua lunghezza. L’innovativo stile, grazie a Wolfe, Truman Capote, Gay Talese, conobbe un’eccezionale fioritura e molti emulatori. Nel 1965 pubblica il libro The Kandy-Kolored Tangerine-Flake Streamline Baby, composta dalla raccolta di alcuni suoi articoli. Anche il successivo The Pump House Gang è una raccolta di articoli. Nel 1970 pubblica Radical Chic & Mau-Mauing the Flak Catchers, un libro composto da due articoli già pubblicati sul New York Magazine, dove per la prima volta conia il termine radical chic. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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CORRIERE DELLA SERA

Morto Tom Wolfe, il cronista delle vanità. Inventò il termine radical chic

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